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di Gabriele Cereda per “la Repubblica”
"La scuola non accetta nostro figlio perché è omosessuale". Bastano poche parole a Ionela Anisoara, mamma di un ragazzo di 16 anni, per raccontare quanto sta succedendo al figlio, che già lo scorso anno, per lo stesso motivo, aveva dovuto subire l'umiliazione di rimanere fuori dalla classe mentre i compagni facevano lezione.
Il 16enne frequentava l'istituto religioso Ecfop (Ente cattolico per la formazione professionale) di via Manara, a Monza, nel cuore di San Biagio, quartiere a ridosso del centro città. A giugno ha finito il secondo anno del corso di "sala da bar", pochi giorni fa avrebbe dovuto cominciare il terzo e ultimo anno. Ma per lo studente le porte dell'istituto sono rimaste chiuse.
"La prima volta abbiamo chiamato dopo la metà di luglio - racconta la mamma - e ci hanno risposto di richiamare più avanti. E così abbiamo fatto. Una volta ancora ad agosto, e poi all'inizio di settembre. E' stato allora che ci hanno detto che non c'era più posto, che era troppo tardi e che tutte le classi erano già state formate. Io e mio marito siamo sicuri che si tratti di una punizione nei confronti di nostro figlio per quanto successo lo scorso anno".
Ed è il papà ad aggiungere: "L'anno scorso le classi erano di 25 studenti, quest'anno quella che avrebbe dovuto frequentare mio figlio ne conta 18. Mio figlio è depresso - dice - rimane a letto tutto il giorno. Vorrebbe solo andare a scuola".
All'inizio dello scorso anno scolastico, la storia del giovane studente discriminato perché gay era finita su tutti i giornali e aveva alzato un putiferio in Rete. Proprio là, da dove era partita.
Un passo indietro. A fine settembre del 2015 su Instagram spunta una foto del giovane a torso nudo insieme ad un amico: chi scatta fotografa dalla cinta in sù. I compagni di scuola parlano di quella fotografia, la voce gira velocemente e arriva al preside Adriano Corioni. Per il quale non ci sono dubbi: i due sono in atteggiamento intimo, tanto che parla di pedopornografia. Il 16enne allora finisce in isolamento, in corridoio, mentre i compagni fanno lezione normalmente.
A quel punto la madre dello studente chiede spiegazioni. "All'epoca mi avevano detto che nostro figlio era stato messo fuori dall'aula per non influenzare negativamente i compagni", racconta oggi la donna. Le motivazioni fanno infuriare i genitori i quali chiamano i carabinieri e si muovono per vie legali. Pochi giorni e il ragazzo viene riammesso a seguire le lezioni. "Allora abbiamo deciso di ritirare la denuncia, anche per non inasprire gli animi", sottolinea la madre.
L'anno scolastico si chiude senza intoppi e il giovane porta a casa anche dei buoni voti. "Pensavamo che la vicenda fosse chiusa, ma ci sbagliavamo. Stavano solo aspettando il momento buono per metterci alla porta. Mio figlio non merita un trattamento del genere per il suo orientamento sessuale, è un'ingiustizia e ci batteremo per i suoi diritti", dice la donna. Il preside dell'istituto, invece, preferisce non parlare.
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