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Ilaria Ravarino per "www.ilmessaggero.it"
A ciascuna voce un colore, un’età e un orientamento sessuale: bianchi doppiati solo da bianchi, neri da neri, omosessuali da omosessuali, e così via nella folla corsa del politicamente corretto a ogni costo.
Sembra una distopia, e invece è una realtà contro cui si sta scontrando il mondo del doppiaggio italiano. «Le major americane stanno esportando la logica dell’inclusività a priori – denuncia Daniele Giuliani da Roma, voce di Jon Snow ne Il Trono di Spade e presidente ANAD (Associazione Nazionale Attori Doppiatori) – si fanno pressioni con richieste esplicite: omosessuali doppiati dagli omosessuali, neri dai neri, età anagrafica più rilevante di quella vocale. Non solo si rischia la ghettizzazione, ma si viola l’articolo 3 della Costituzione».
Come già accaduto in letteratura, con il caso della poetessa Amanda Gorman tradotta, su richiesta della casa editrice, da una scrittrice «preferibilmente di colore» (ci sono state polemiche e problemi in particolare nei Paesi Bassi e in Spagna), anche il doppiaggio si adegua alle regole imposte da piattaforme come Netflix e Amazon.
«Una volta mi hanno chiesto doppiatori solo neri: gli ho risposto che in Italia non ci sono, e il lavoro lo ha preso una società che se li è inventati – racconta Fiamma Izzo, direttrice del doppiaggio de Il principe cerca figlio e Crudelia – Un’altra volta mi hanno chiesto un doppiatore “liquido” per dare voce a un attore non binario, nel rispetto della sua scelta identitaria. Ho chiamato una persona molto giovane, con una voce eterea da ragazza. Niente da fare. Non andava bene».
Le piattaforme, specifica Giuliani, «non si comportano tutte allo stesso modo. L’ingresso dei loro ricchi cataloghi nel mercato del doppiaggio – un migliaio di professionisti, quasi tutti a Roma – resta comunque positivo anche se i problemi non sono pochi. Hanno portato milioni di euro nella filiera. Oggi un doppiatore può coprire fino a una ventina di serie e una decina di film all’anno».
Nel giro di cinque anni le società di doppiaggio sono più che raddoppiate, passando dalle 10 “storiche” alle 25 di oggi, scatenando però una corsa al ribasso: «Se le società prima chiedevano alle major un costo di 210$ al minuto, oggi arrivano anche offerte a 120». E il potere di persuasione delle major, inserito in un mercato diverso da quello americano, genera cortocircuiti imbarazzanti.
«Quanto possono lottare le società di doppiaggio contro i loro maggiori clienti?», si chiede Chiara Gioncardi, voce della supereroina Sharon Carter nei film di Capitan America. Sconfortata anche Letizia Ciampa, voce di Emma Watson in Harry Potter: «Non abbiamo mai escluso nessuno e il rischio è cominciare a farlo. Doppiare secondo il colore della pelle è una follia. Se uno come Michael Jackson fosse stato un attore, oggi da chi lo faremmo doppiare?».
Per David Chevalier, voce del supercattivo Loki nei kolossal Marvel, «le piattaforme hanno gravi problemi con il razzismo, ma dobbiamo sgonfiare questa bolla puritana che ci sta travolgendo». Il percorso di reclutamento di una voce, oggi, parte dalle società di doppiaggio, che propongono i doppiatori al cliente (la piattaforma). È il cliente, a quel punto, a inviare le sue richieste particolari. «Ma le piattaforme non conoscono il mercato italiano, dove i doppiatori neri non esistono – spiega Laura Romano, voce di Viola Davis - ho visto chiamare una modella colombiana a doppiare un’attrice colombiana ed è stato un disastro».
Se per Luca Ward, doppiatore di Samuel L. Jackson, «l’importante è non alzare barriere», per Flavio Aquilone, voce dell’afroindiano Dev Patel, «la voce non ha razza, orientamento politico e religioso». E nemmeno età: «Io ho 80 anni, doppio i 60enni e mi pagano per farlo – dice Michele Gammino, voce di Harrison Ford – l’età della voce è una stupidaggine». Eppure anche su questo punto le piattaforme sono intransigenti: «Ti richiedono il curriculum, l’anno di nascita e a volte pure il mese – denuncia Ilaria Stagni, voce di Scarlett Johansson – e io, che ho cinquant’anni, ho paura di perdere il lavoro. Servono referenti. Ma non c’è un signor Netflix con cui parlare».
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