
DAGOREPORT - COSA FRULLAVA NELLA TESTA TIRATA A LUCIDO DI ANDREA ORCEL QUANDO STAMATTINA…
1 - IMPIANTI FERMI E AMA LENTA LE PIAGHE DEL SISTEMA PULIZIA
Lorenzo De Cicco per “il Messaggero”
Una mandria di 1.200 elefanti. O 70 carri armati modello super-pesante. O ancora un centinaio di tir di grandi dimensioni incolonnati uno dietro l'altro. Ecco, per avere un'idea dell'enormità di immondizia che produce ogni giorno la Capitale si potrebbe partire da qualche immagine così. Aiuta a capire perché, se non c'è dietro un sistema collaudato per raccogliere, smistare, trattare e smaltire la spazzatura, Roma va subito in crisi.
Maledizione ciclica, più che emergenza, considerato che, per i romani, la famigerata monnezza sui marciapiedi accanto ai bidoni stracolmi è tutto fuorché straordinaria, nonostante il business per il trattamento dei rifiuti valga 2 miliardi di euro in dieci anni.
LA DELEGA IN BIANCO
Il peccato originale è la delega in bianco firmata a un signore che oggi ha 90 anni e che per quaranta ha gestito per conto del Campidoglio l'immondizia capitolina, fino a trasformarla in un monopolio. Manlio Cerroni da Pisoniano, classe 1926, il ras di Malagrotta, quella che fu la più grande discarica d'Europa, 240 ettari dove per decenni i netturbini comunali hanno sversato tra le 4 e le 5mila tonnellate di rifiuti.
Praticamente tutta quella prodotta dentro e fuori al Raccordo anulare. Fino a quando, il primo ottobre del 2013, l'ex sindaco Ignazio Marino schiacciò il pulsante game over e l'enorme buca chiuse i battenti. Il problema è che Roma, all'epoca come oggi, non era e non è autosufficiente. Per una sfilza di fattori (e di errori), a partire dal fatto che - e veniamo alla seconda piaga dell'immondizia Capitale altre discariche, a Roma e provincia, non ce ne sono.
Non ci sono, forse, proprio per come si è trascinata per decenni la parabola di Malagrotta, smobilitata dopo una ridda infinita di polemiche e battaglie dei residenti, messa sotto tiro anche da Bruxelles con una procedura d'infrazione per danni ambientali. E così ogni volta che il Comune, negli anni successivi, ha provato a suggerire un nome per un nuovo «sito di smaltimento» (guai a chiamarlo discarica), gli abitanti del luogo hanno issato le barricate fino a quando l'amministrazione non si è dovuta rimangiare tutto.
Una strategia da passo del gambero che spiega solo in parte la crisi di questi giorni, ma che serve a comprendere perché il M5S, appena arrivato al governo della città, abbia provato a dribblare la questione. Spiegando che, di nuove discariche, non ce ne sarebbe stato bisogno. Anche se la Regione, a trazione Pd, ha chiesto più volte al Comune di indicarne una, anche «piccola» e «di servizio».
monnezza a roma dal sito romafaschifo
A incagliare quello che gli esperti chiamano «ciclo dei rifiuti», è pure il fatto che nella Capitale gli impianti di trattamento sono pochi. L'Ama, la partecipata del Campidoglio che si occupa di ambiente, per dire, ha solo due Tmb, cioè le strutture di «trattamento meccanico-biologico» che inghiottono la spazzatura indifferenziata e separano i rifiuti organici da carta, plastica e vetro.
Anche queste osteggiatissime da chi abita nei paraggi ma soprattutto troppo poche, numericamente, tanto che il Campidoglio, anche dopo avere archiviato Malagrotta, ha bussato alle porte di Cerroni, per sfruttare i suoi, di Tmb, che oggi sono sotto commissariamento dopo un'interdittiva antimafia. Lì ogni giorno arrivano 1.200 tonnellate di pattume. E altra spazzatura ancora viene spedita nelle province del Lazio, in Abruzzo, perfino in Austria.
Andrebbe detto poi che la raccolta porta a porta, a Roma, non è mai andata veramente a regime, non solo oggi, con interi quartieri sommersi di sacchetti, da Pietralata alla Romanina, da Portonaccio a Tor Sapienza, e dieci municipi su quindici sono in crisi da giorni. Per spiegare i disagi bisognerebbe anche raccontare che ogni giorno in Ama si assentano 1.100 dipendenti, quasi un lavoratore su sette.
Nel frattempo da qualche mese, il Comune sta ragionando sull'ipotesi di reintrodurre in alcuni quartieri i vecchi cassonetti stradali, per evitare il pendolarismo da bidone, quel fenomeno per cui, pur di non ritrovarsi con le buste nere (e maleodoranti) dentro casa per giorni, la gente va in trasferta nelle zone dove i contenitori dell'Ama non sono stati ancora smantellati.
Difficile da smantellare, di sicuro, è anche l'inciviltà di certi romani, a giudicare dal colpo d'occhio di materassi, divani e lavastoviglie perennemente abbandonati accanto ai cassonetti, nonostante il ritiro degli ingombranti a domicilio sia gratuito. Più che il «complotto dei frigoriferi», come azzardò la Raggi a ottobre, la banalità della maleducazione.
2 - SOSPETTI SABOTAGGI (COME IN PASSATO) E C' È CHI IPOTIZZA UN COMMISSARIO
Sergio Rizzo per il “Corriere della Sera”
Beppe Grillo aveva previsto il sabotaggio, ma preventivo.
«Ci faranno trovare l' emergenza per dare la colpa a Virginia», profetizzava prima delle elezioni del 2016. E pure la futura sindaca, intervistata dal settimanale Oggi , lanciava messaggi: «Notiamo strani movimenti intorno ai rifiuti.
Mormorano che si vogliono lasciare questi problemi al prossimo sindaco». Segnali che il nervo era scoperto ancor prima di iniziare la partita. E non poteva essere diversamente per una forza politica che predica la teoria del rifiuto zero contro ogni impianto, dovendo però amministrare una città che produce 5 mila tonnellate al giorno di spazzatura.
Un pandemonio, fatalmente destinato a spiovere in quella frase pronunciata lunedì da Virginia Raggi, mentre l' immondizia tracimava dai cassonetti: «Nell' impianto di Rocca Cencia sono stati registrati atti di sabotaggio».
E che quei fatti si siano verificati è incontestabile. Un oggetto che ottura la presa d' aria di un motore non finisce lì per caso, soprattutto se la conseguenza è il surriscaldamento dello stesso motore con relativo blocco per cinque ore dell' impianto. Così come non è certo un colpo di vento che rovescia i pesantissimi cassonetti ricolmi di immondizia, impossibili da rialzare se non con l' aiuto di un mezzo meccanico, né un mozzicone di sigaretta che li manda a fuoco.
Episodi non trascurabili. Ma di sicuro non le prime pratiche di stile luddista che l' Ama deve sperimentare. Tanto per dirne una, ben più grave fu l' incendio che nel 2015, quando al Comune non c' erano grillini ma Ignazio Marino, paralizzò non per cinque ore ma per cinque mesi i macchinari sulla Salaria. Di conseguenza l' Ama fu costretta a portare la spazzatura al re della monnezza Manlio Cerroni.
Diverse le tecniche di sabotaggio, differenti anche le motivazioni. Tutto oggi, al contrario di ieri, depone per una guerra interna all' azienda. Dove l' aria intorno al direttore generale Stefano Bina non sembra molto respirabile. Nei siti internet che sposano le ragioni dei suoi oppositori campeggia questa parola: «Tradimento». Imputato, a quanto pare, proprio ai 5 stelle.
Troviamo quella parola in un post pubblicato dall' Agoa, acronimo che sta per Agenzia giornalistica operatori Ama-Atac. Dove c' è scritto: «C' era un patto con il movimento: cambiare il management aziendale (...). Il tradimento sta nel non aver accettato il piano dei lavoratori, aver lasciato il management al suo posto () e di non aver sostituito il direttore generale lombardo estraneo alla città e ai lavoratori». Nome e cognome. Stefano Bina. Ovviamente impossibile stabilire un collegamento fra certi episodi e quelle parole, che comunque indicano un clima.
Perché qualcosa si è rotto.
Così una situazione già complicata, rischia di diventare sempre meno governabile: tanto più se, a giudicare dalle reazioni dei cittadini, lo scarico delle responsabilità sul disastro ereditato dai predecessori smette di funzionare. Il fatto è che la faccenda dei rifiuti rischia davvero di essere il primo problema serio della giunta grillina con la città che finora le ha perdonato tutto.
A meno che, come alcuni ipotizzano, la patata bollente non finisca a qualcun altro, per esempio un commissario. Ovvero, la Regione. Ovvero, il Pd.
Un disegno perfetto: governare la città, ma stare comodamente all' opposizione nella partita più rognosa per il Movimento. Quella dei rifiuti.
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