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Edoardo Sassi per il Corriere della Sera
Da una parte Parigi, dall' altra New York, all' epoca polo sempre più emergente dell' arte mondiale. Fino ad allora l' antagonismo era stato Informel contro Action Painting . Poi, in quella che fu una vera e propria guerra fredda tra stili-scuole-tecniche, la sfida si sposterà sempre più dalla pittura all' oggetto , con i Nuovi Realisti europei a rappresentare una possibile riposta del Vecchio Continente all' egemonia del Neodada americano. E un' egemonia di lì a poco sancita (anche) dal Gran premio che la Biennale di Venezia tributerà - 1964, stesso anno del dilagare della Pop Art - a Robert Rauschenberg.
Ed è in questo ampio orizzonte storico che si colloca la mostra Arman 1954-2005 , aperta ieri a Roma nelle sale di Palazzo Cipolla e promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro. Un' ampia retrospettiva dedicata all' artista francese poi naturalizzato americano, che il curatore della rassegna, Germano Celant, così riassume: «Questa mostra si inserisce bene nel lavoro che porto avanti da anni, teso a rivalutare l' arte europea di quella stagione e incentrato su grandi artisti che a oggi non hanno avuto un vero riconoscimento a livello mondiale. C' è, insomma, anche un aspetto polemico nelle mie scelte, con la precisa volontà di ripercorre storicamente quella che fu la caduta di Parigi ad opera di un certo imperialismo culturale americano».
Dunque Arman (all' anagrafe Armand Pierre Fernandez, 1928-2005), poetico accumulatore e trasformatore di oggetti scomposti-distrutti-riassemblati, come uno degli alfieri della creatività europea? Una risposta, oltre che nelle storie dell' arte, si trova nelle settanta opere, molte di dimensioni monumentali, selezionate per questa antologica in grado di raccontare l' intero cammino dell' artista: dalle prime prove ancora solo pittoriche e bidimensionali (a partire dalla serie di Gouaches del 1953-54), attraverso le più note Accumulations , fino agli ultimissimi lavori del 2005.
«Usavo oggetti di ogni tipo e avevo cassetti pieni di ingranaggi e lampadine per radio. Un giorno, nel 1959, ho visto che un cassetto pieno di lampadine era un' opera completa. Ho applicato sopra un foglio di Rhodoid, ho dipinto i lati di nero e l' ho esposto così com'era.
È stata la mia prima Accumulation »: così raccontò lo stesso Arman (tante le sue citazioni riproposte lungo l' allestimento), il quale l' anno dopo, ottobre 1960, con la sua personale il Pieno nella galleria parigina di Iris Clert consacrerà la sua estetica dell' objet trouvé e il suo ruolo nel neonato gruppo dei Nouveaux Réalistes, così battezzato dal critico Pierre Restany.
Un Pieno , quello di Arman, evocato anche nella suggestiva sezione documentaria della mostra (foto, testi, depliant originali) e fin dalle origini opposto al Vuoto con cui due anni prima Yves Klein, suo compagno di strada, aveva sbaragliato Parigi sempre nella galleria di madame Clert: «A Yves - ricordava Arman - piacque molto l' idea della nostra complementarietà. Mi disse: tu sei l' ingranditore del quantitativo e io il guardiano del vuoto».
Utensili, scarti, resti: a una certa poetica della poubelle - massicciamente presente soprattutto nelle prime opere degli anni Sessanta e certo non immemore della lezione di Duchamp, che già mezzo secolo prima aveva consacrato l' autonomia espressiva dell' oggetto - Arman alternerà sempre più un' estetica del meraviglioso industriale; via via con un approccio creativo più construens che destruens , pur continuando a spezzare gli amati oggetti, violini in primis.
E il percorso - con una straniante cronologia al contrario voluta dallo stesso Celant: si parte dalle ultime opere e si arriva agli esordi - si apre proprio con una scenografica sala tutta dedicata al tema musica. «Sono davvero lieto di ospitare a Palazzo Cipolla - ha detto ieri il presidente della Fondazione Terzo Pilastro, Emmanuele Emanuele - questa ampia e articolata retrospettiva di Arman a distanza di ben tre lustri dall' ultima esposizione a lui dedicata nel nostro Paese».
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