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ROMA SANTA, DANNATA E PAPALINA – FILIPPO CECCARELLI E IL LEGAME INDISSOLUBILE TRA LA FIGURA DEL PAPA E LA CAPITALE: LE CENE ELEGANTI DI ALESSANDRO VI, I FANATICI LIBERALI CHE VOLEVANO BUTTARE NEL TEVERE LA SALMA DI PIO IX E IL CAMERAMAN CHE GRIDÒ A PAPA PACELLI: “SANTITÀ, SE SPOSTI PE’ PIACERE, CH’ER BIANCO SPARA!” – “COME NEL DOCU-FILM DI DAGO E GIUSTI, IN CUI DA SEMPRE COABITANO, CONFRONTANDOSI, LE ROVINE E L’ETERNITÀ. TUTTA QUESTA IMPERTERRITA FAMILIARITÀ CON L’ASSOLUTO, CON IL CIELO, CON IL SACRO, MA POI ANCHE CON L’INDISPENSABILE INFERNO CHE SI TRASCINANO DIETRO, COMPORTA PER I ROMANI UN TALE PESO DA…”

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Estratto dell’articolo di Filippo Ceccarelli per “la Repubblica”

https://www.repubblica.it/politica/2025/04/26/news/roma_rapporto_papi_nella_storia-424149110/

FUNERALE PAPA FRANCESCO

 

La storia di Roma e dei suoi Papi è al tempo stesso drammatica e pimpante, per cui pensando al serpentone che dal Vaticano è destinato a «passare ponte» per deporre la salma di Francesco «in zepportura», si fa strada il ricordo del corteo discreto e notturno che nell’estate del 1881 venne approntato per trasferire definitivamente le spoglie di Pio IX a San Lorenzo fuori le mura.

 

Sennonché, gruppi di fanatici liberali si appostarono lungo il tragitto con la precisa idea di «buttare a fiume» la bara del Papa che aveva scomunicato il Risorgimento. La profanazione fu evitata, ma altri papi medievali, sulle cui efferatezze la polvere del tempo ha steso un velo di oblio, erano già stati gettati nel Tevere.

 

PIO IX

Questo per stabilire i confini della memoria che lega la città eterna alla figura del «Romano Pontefice ». […] Se poi si vuole mettere a fuoco il senso di tali definizioni varrà la pena di dare una ripassata al XXXVIII canto del Purgatorio, là dove Beatrice promette a Dante: «E sarai meco sanza fine cive (cittadino, ndr )/ di quella Roma onde Cristo è romano».

 

La Roma celeste, intendeva, e quella terrena, il regno dei Beati e la chiavica del mondo: dalle cenette eleganti organizzate nei sacri palazzi da Alessandro VI Borgia al discorso della luna con cui Papa Giovanni annunciò a braccio l’apertura del Concilio, dalla tonaca di Pio XII macchiata di sangue dopo i bombardamenti del ‘43 alla sorte oscura di Emanuela Orlandi. Roma santa e dannata, come nel docu-film di Dago e Giusti, in cui da sempre coabitano, confrontandosi, le rovine e l’eternità.

 

ROMA SANTA E DANNATA DAGO E MARCO GIUSTI

Esattamente al centro di questi geometrici opposti […] a mezz’aria si colloca l’essenza funzionale, ma anche la persona fisica del Papa sul cui aspetto fin dall’inizio si va ad appuntare lo scrutinio selvaggio dei romani — prima di accanirsi sui vizi e i peccati del vescovo di Roma; una specie di creatura, metà Santo e metà Orco, vestito in candide vesti — donde il grido rivolto allo ieratico Papa Pacelli da uno dei primi e brutali cameramen dell’archeo-tg: «Santità, se sposti pe’ piacere, ch’er bianco spara!».

 

Ora, è chiaro che questo indissolubile legame ha implicazioni storiche, morali, teologiche e geopolitiche, vedi la microspia nascosta nella statuetta della Madonna sul comò del cardinal Casaroli […] E però tutta questa imperterrita familiarità con l’Assoluto, con il Cielo, con il Sacro, ma poi anche con l’indispensabile inferno che si trascinano dietro, comporta per i romani un tale peso da aver sagomato nei millenni quello spiritaccio che a vivisezionarlo in relazione ai loro papi sembra fatto per un po’ di affettuosa comprensione, ma soprattutto di sapiente scetticismo e beffarda, spesso sarcastica e a volte feroce incuriosità.

 

papa gregorio xvi

Al sommo grado di poesia lo espresse in un turbinoso periodo della sua vita (poi si pentì, diede ordine a un monsignore di bruciare tutti i sonetti, ciò che il prete fortunatamente si guardò bene dal fare) Giuseppe Gioachino Belli nel suo “monumento” alla plebe di Roma; là dove il Papa — eminentemente Gregorio XVI — figura come una straordinaria risorsa narrativa in endecasillabi, fuori da ogni schema e da ogni analisi sul potere temporale di allora, divenuto nel frattempo soft-power di riconosciuta influenza sui popoli.

 

Un’autorità che mai qui nessuno davvero invidia: «Io Papa? Papa io? Fussi cojone!». Un sovrano infallibile e assoluto, ma più che altro un uomo da accettare e deridere per le sue conclamate debolezze: brutto, vecchio, ridicolo, severo e farfugliante, magnone e talvolta ubriaco, attaccato al denaro, insensibile ai dolori della povera gente, circondato dai peggiori. Guai a credergli, specie quando sembra aprirsi al sorriso: «Er Papa ride? Male, amico, è segno/ ch’a momenti er su’ popolo ha da piagne!». E tuttavia vissuto come se la sopportazione fosse un obbligo della vita e la maldicenza il suo parziale contrappasso teologico: «A papa Grigorio je volevo bene — è un’annotazione privata di Belli — perché me dava er gusto de potenne dì male».

 

FEDELI A PIAZZA SAN PIETRO PER IL FUNERALE DI PAPA FRANCESCO - FOTO LAPRESSE

[…]. Impossibile in questa giornata non ricordare, con il pensiero al corteo diretto a Santa Maria Maggiore, il sonetto che fotografa «er mortorio», cioè il funerale di Leone XII che in movimento, a bara scoperta, «tritticando la testa sur cuscino/ pareva un angeletto appennicato». Segue elencazione in mondovisione: «Vienivano le trombe cór zordino,/ Poi li tamburri a tamburro scordato:/ Poi le mule cór letto a bardacchino/ E le chiave e er trerregno der papato./ Preti, frati, cannoni de strapazzo,/ Palafreggneri co’ le torce accese,/ Eppoi ste guardie nobbile der cazzo/. Cominciorno a intoccà ttutte le chiese/ Appena uscito er morto da Palazzo». In conclusione, autentico roman pride: «Che gran belle funzione a sto paese! ».

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