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Conchita Sannino per “la Repubblica”
Non ce la fa a frenare la rabbia, alla fine. Quella sentenza dei giudici di Napoli? «Una cosa tipicamente italiana, a metà, senza coraggio», posta su Facebook. E ieri sera, a Ballarò: «Così facendo, hanno vinto loro, i boss. Non riesco ancora a darmi pace: come è possibile che un avvocato possa essere considerato slegato dai suoi clienti?».
Lo sfogo di Roberto Saviano arriva prima con un filmato registrato al buio e postato sui social.
Poi a Repubblica, ospite della riunione del mattino, infine nel talk show Rai condotto da Massimo Giannini e aperto ieri col caso Casalesi. Così monta la reazione dello scrittore sul verdetto che un po’ lo soddisfa e molto lo delude. È la decisione con cui il Tribunale di Napoli, lunedì scorso, ha condannato il penalista Michele Santonastaso per minacce «aggravate dalla finalità mafiosa» lanciate contro di lui e la giornalista (oggi senatrice Pd) Rosaria Capacchione: ma ha assolto i padrini dei Casalesi, Antonio Iovine (pentito) e Francesco Bidognetti (ergastolano al 41 bis), insieme all’altro legale Carmine D’Aniello.
Al centro del dibattimento, l’istanza di remissione con cui i difensori dell’epoca dei due capimafia, Santonastaso e D’Aniello, lanciarono accuse e calunnie sui due autori e sui due magistrati, Cafiero de Raho e Cantone, per provare a strappare dal collegio naturale l’appello del maxi processo Spartacus 2. L’autore di Gomorra e di Zero zero zero si filma con il cellulare, parla come se fosse in un bar nella notte, e avesse proprio davanti una birra e la folla dei suoi amici, lettori, sostenitori che gli scrivono da ogni parte del mondo. Si dice «stanco», mostra la sua giornata in salita.
«Mi dispiace, in questi anni di vita così difficile e complicata ho sempre avuto la sensazione che i clan non avessero “contro” la parte più forte del paese. No: invece avevano “contro” solo una parte che ora, sento di dire, è quella migliore del paese. Ma tutto il resto, anche se non connivente, era silenziosa e, quindi, connivente».
Il giorno dopo di Saviano comincia con una visita al teatro del Rione Sanità, cuore antico di Napoli che diede i natali a Totò e che custodisce un immenso patrimonio di ipogei, catacombe, basiliche, dipinti: lì ha aperto il Nuovo teatro Sanità e l’autore incontra allievi attori e Mario Gelardi, direttore artistico e regista della versione teatrale di Gomorra.
«Questo è un luogo prezioso. Sono venuto qui anche per lasciare Napoli con un sorriso. Mi ritrovo tra amici. E tra strade e posti ricchi di storia, e assetati di riscatto ». Poi torna con la mente a quella lunga attesa in Tribunale, aula 116.
«Il pm antimafia Sirignano ha detto che indicare un nome di uno scrittore significa condannarlo a morte, per me c’è stato un brivido dietro la schiena ma ha significato anche sono vivo, voglio esserlo. Continuo a scrivere contro quella alleanza fatta di zona grigia: avvocati, imprenditori, giornalisti di certi ambiti locali spesso conniventi. Contro questo mi batterò». Dentro e fuori dall’Italia. Di cui vuole restare anche pungolo. E spina.
Sull’esecutivo, dice a Ballarò : «Nel contrasto alle mafie il governo Renzi si è mosso poco. Qualcosa si è fatto rispetto al passato, ma la lotta alle mafie non può essere un nodo tra i tanti. Si doveva approfittare del semestre europeo. La prima cosa da fare era portare in sede europea la di leggi antiriciclaggio, che è l’unico modo di recuperare denaro».
A margine poi aggiunge: «Il governo ha nominato figure importanti, come Grasso al Senato e Cantone all’Anticorruzione; ma non possono bastare nomi che fanno da “ombrelli”». Poco dopo Cantone difende le scelte del governo e aggiunge: «Saviano dice una cosa giusta: si può fare di più e meglio. Ma abbiamo introdotto, ad esempio sulla corruzione, strumenti e meccanismi di controllo e di commissariamento che non c’erano mai stati. C’è discontinuità netta col passato».
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Poi lo scrittore torna sui verdetti delle polemiche. «Al di là di una sentenza che va male — riflette — dietro la vicenda Cucchi c’è un mondo che grida vendetta. Dietro L’Aquila c’è un problema non risolto, dietro la sentenza su Bidognetti e Iovine c’è un potere enorme. Sono sentenze che aprono ferite. Forse anche noi chiediamo troppo alla giustizia, e dietro certe sentenze c’è un’assenza di coraggio. Una ferita che si riapre». Il finale è una risposta alla domanda di Giannini. «Ma tu rimarresti in Italia, dopo una sentenza come questa?» Saviano: «E tu, rimarresti dopo un verdetto del genere?».
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