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UN TESTIMONE SVELA COSA HA SENTITO DIRE DA UNO 007 EGIZIANO ACCUSATO DI AVER TORTURATO E UCCISO...
Estratto dell’articolo di Andrea Ossino per "La Repubblica"
La sua identità è riservata, il suo nome è protetto dietro la lettera "Gamma" dell’alfabeto greco ma le sue parole, il racconto di quello che ha visto nell’estate del 2017, sono state rivelate durante il processo sulla morte di Giulio Regeni.
Il testimone Gamma ieri in aula ha detto di aver sentito due uomini parlare del ricercatore italiano in questi termini: «Lo abbiamo fatto a pezzi. Lo abbiamo distrutto». Uno dei due commensali sarebbe Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, ufficiale dell’intelligence accusato di essere l’uomo chiave del sequestro Regeni.
Il racconto di Gamma inizia in un ristorante di Nairobi, al Sippers. È qui, 5.200 chilometri a sud del Cairo, che l’agente della Nca egiziana incontra un poliziotto keniota. Parlano a margine di un incontro antiterrorismo tra 007 africani. E Gamma, seduto al tavolo vicino, sente tutto.
Ascolta i loro discorsi sulle ingerenze europee, sulle manifestazioni che andrebbero represse col pugno di ferro. E anche le parole pronunciate dall’egiziano seduto al tavolo, «Ibrahim Sharif», lo chiamava il poliziotto che era con lui. Sharif parlava di un «accademico italiano».
«Pensavamo fosse un agente della Cia o del Mossad — riferisce — era un problema perché godeva di una certa popolarità tra la gente comune». Gamma ricorda le parole di uno dei due uomini: «Diceva: lo abbiamo fatto a pezzi, lo abbiamo distrutto». E ancora: «L’ho colpito, lo abbiamo picchiato ». «Crash, crashing, crashed», ripetevano. [...]
Il resoconto di Gamma coincide con il verbale del poliziotto seduto a quel tavolo. Ed è importante non solo per la ricostruzione dei fatti ma anche per il messaggio che lancia: Gamma ha trovato il coraggio di testimoniare. Altri si sono tirati indietro. E la corte li ha “giustificati”.
Qualcuno è arrivato in aula stanco da notti insonni, altri non sono proprio venuti. «Se accettassi di testimoniare sarei esposto al pericolo di ritorsione, l’arresto, la tortura o anche l’uccisione», dicevano ricordando di essere stati arrestati dopo aver parlato con i pm italiani.
Il colonnello egiziano Uhsam Helmi
Per questo motivo la corte d’Assise di Roma ha acquisito i loro verbali. Un fatto inusuale dettato da un timore fondato. I giudizi espressi da «Ong, da governi internazionali, da autorità giurisdizionali di massimo livello e, persino, dagli organi tecnici del governo italiano», dice la corte, «concordano sul fatto che il Paese egiziano è connotato da significative violazioni dei diritti umani… che si traducono in esecuzioni arbitrarie o illegali, comprese esecuzioni stragiudiziali, sparizioni forzate, torture, punizioni crudeli, inumani o degradanti da parte del governo, condizioni carcerarie dure e pericolose per la vita; arresti e detenzioni arbitrarie».
I testimoni sono in pericolo se parlano contro le autorità. Lo dice anche la scheda con cui il ministero degli Esteri ha considerato l’Egitto un paese sicuro.
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