PRENDI QUESTA MANO! - SE UNA COPPIA SI TIENE PER MANO SI RIDUCE LA SENSAZIONE DEL DOLORE - LO SOSTIENE UNA RICERCA DEI NEUROSCIENZIATI DELLA “UNIVERSITY OF COLORADO”, PUBBLICATA SULLA RIVISTA SCIENTIFICA PNAS: “L’EMPATIA PROVATA DA UN PARTNER PER L’ALTRO PUÒ ESSERE TRASMESSA ATTRAVERSO IL CONTATTO TATTILE”

RENZI E BOSCHI

Enrico Franceschini per www.repubblica.it

 

Tenersi per mano è un segno di affetto. Ma è anche un antidoto contro il dolore, secondo quanto afferma la ricerca di un’università americana, pubblicata sulla rivista scientifica Pnas e riportata dal Times di Londra. Lo studio rivela che l’effetto è abbastanza forte da diminuire la sensazione del bruciore provocata da un pezzo di metallo caldo applicato a un braccio. Funziona per entrambi i sessi, ma sembra dare risultati migliori nelle donne.

 

MANO NELLA MANO

I neuroscienziati della University of Colorado ritengono che l’empatia provata da un partner per l’altro può essere trasmessa attraverso il contatto tattile. In pratica, tenendosi per mano, le onde cerebrali di una coppia viaggiano allo stesso ritmo e questo ha la conseguenza di aiutare a contenere stress e dolore. Più ci si ama, più forte è l’effetto, affermano i ricercatori americani: il sollievo dal dolore è apparso maggiore nelle coppie con la maggiore connessione di attività cerebrale. Marito e moglie in un matrimonio infelice, insomma, non possono aspettarsi che tenersi per mano riduca la sensazione di un malessere fisico.

 

MARIA ELENA BOSCHI DA' IL CINQUE A MATTEO RENZI

L’esperimento è stato condotto su 22 coppie eterosessuali fra i 23 e i 32 anni d’età. Tenersi per mano ha ridotto mediamente l’intensità del dolore del 34 per cento. Studi analoghi sugli animali avevano dato indicazioni simili. La tesi degli scienziati del Colorado, guidati dal professor Pavel Goldstein, è che tenersi per mano rilasci nel corpo degli agenti chimici che riducono lo stato dolorifico. Ma non tutti gli studiosi sono d’accordo. “Toccarsi può aiutare”, commenta Flavia Mancini dell’università di Cambridge, “ma quello che conta davvero è la connessione sociale”. Ovvero non sentirsi soli davanti al dolore.