
FLASH! – MISTERO BOFFO! È DURATO APPENA UN ANNO GUIDO BOFFO ALLA DIREZIONE DE “IL MESSAGGERO”, CHE…
“DOVREI AVERE SENSI DI COLPA PERCHÉ FOTOGRAFO I POVERI? NON NE HO. FOTOGRAFO IL MIO MONDO, CHE VOI CHIAMATE TERZO MONDO” – SEBASTIAO SALGADO, IL GRANDE FOTOGRAFO BRASILIANO MORTO IERI A 81 ANNI, ERA UNO DEGLI ARTISTI PIÙ RICONOSCIUTI AL MONDO, MA ANCHE UNO DEI PIÙ CRITICATI – SMARGIASSI: “’ESTETIZZAZIONE DELLA MISERIA’, ‘SFRUTTAMENTO DELLA SOFFERENZA’, INSOMMA IMPUTATO DI DELITTO DI BELLEZZA, COME SE FOSSE SCONTATO CHE L’ETICA È NEMICA DELL’ESTETICA E IL BELLO È NEMICO DEL BUONO. LA FOTOGRAFIA FU LA SUA MEDICINA. LA BELLEZZA IL SUO LINGUAGGIO, SCEGLIENDO PERÒ DI USARLO PER RACCONTARE LE GRANDI CRISI PLANETARIE…”
Estratto dell’articolo di Michele Smargiassi per “la Repubblica”
[…] Sebastião Salgado, il più epico fra i fotografi, è morto a 81 anni, a Parigi, dove viveva con la moglie Lélia Wanick e i due figli, Juliano e Rodrigo. […]
Visionario dei due mondi, nato nel cuore del Brasile, fuggito nel cuore dell’Europa, tornato a casa per costruire un’utopia, recuperare alla foresta la fazenda semidistrutta della sua famiglia, ripiantando due milioni di alberi. E in tutto questo, decenni di peregrinazioni sulla crosta del pianeta, cercando di guardare in faccia i dolori e le speranze degli uomini, che erano per lui Il sale della terra , titolo del film sul suo lavoro girato dal figlio Juliano e prodotto da Wim Wenders.
Né missionario né rivoluzionario, “né gesuita né militante” per autodefinizione, diceva di sé: «Ho avuto una grande fortuna, nascere dove sono nato. Quello che poi ho fotografato, prima l’ho vissuto». Nel Minas Gerais, a otto ore di cavalcata dalla città più vicina, bambino sognò di fare il pilota d’aereo, ma il giorno dell’esame d’ammissione al corso, a Rio de Janeiro, lo prese l’angoscia e tornò di corsa a casa. […]
esule politico a Parigi, economista, specializzato nella filiera del caffè, inciampò nella fotografia solo perché Lélia, architetto, nel ’73 gli prestò la sua fotocamera di lavoro; e lui, folgorato: «Con questa cosa, puoi far vedere quello che senti». Che lo avesse preventivato o no, quel che ci lascia è un compiuto poema omerico sul pianeta, composto con la lentezza di chi lavora per la storia lunga e non per la notizia che brucia
.
Dopo un’esperienza nelle agenzie francesi Gamma e Sygma, e un passaggio non felice in Magnum, scelse di lavorare per conto proprio, da “cowboy solitario”, e di farlo per grandi progetti, destinati a grandi libri. Ogni singolo lavoro gli ha richiesto anni di tempo, da sei a otto ciascuno, finanziati da sponsor e dalla vendita di anteprime a grandi testate internazionali (in Italia Repubblica ), per sfociare in mostre e libri, in un progetto di comunicazione di cui Lélia è stata sempre la indispensabile, sapiente regista.
sebastiao salgado foto di bacco
Guardandoli tutti assieme, quei lavori compongono un racconto che sembra risalire, a ritroso, i grandi libri dell’Antico Testamento: se La mano dell’uomo , narrazione globale dell’umanità al lavoro, era la biblica condanna alla sudor della fronte, Exodus , l’epopea dei migranti, era la cacciata dal paradiso terrestre, e dopo ancora, cioè idealmente prima, ecco Genesi , viaggio nei recessi ancora primordiali del pianeta, ovvero il ritorno nell’Eden. […] l’ultimo grande lavoro è corso dall’altro capo della storia, all’apocalisse, con Amazzonia, omaggio dolente all’umanità primigenia degli indio condannati alla scomparsa.
mostra fotografica di sebastiao salgado (9)
Un programma da brividi, sui cui scherzava: «Dicono che sono un megalomane, non è colpa mia, sono nato in un Paese immenso». Salgado è uno dei due o tre fotografi del Novecento che l’uomo della strada saprebbe nominare a memoria. Il successo delle sue mostre ha fatto di lui una celebrità popolare, ma anche il bersaglio delle accuse più velenose del suo stesso mondo. «Estetizzazione della miseria», «sfruttamento della sofferenza», insomma imputato di delitto di bellezza, come se fosse scontato che l’etica è nemica dell’estetica e il bello è nemico del buono.
mostra fotografica di sebastiao salgado (5)
Accuse che lo ferirono, ma che considerava «polemiche da Paesi ricchi»: «Dovrei avere sensi di colpa perché fotografo i poveri? Non ne ho. Forse perché non sono europeo. Quando fotografo il mio mondo, che voi chiamate terzo mondo, fotografo la mia parte, vista dalla mia parte, e la trovo bella. La bellezza non è un diritto di proprietà esclusiva della bella gente nel nord del pianeta».
Per proteggere i suoi indio amazzonici indifesi dalle aggressioni dei colonizzatori, delle sette religiose e da ultimo pure del Covid, attaccò duramente il presidente brasiliano Bolsonaro, mettendo a rischio di ritorsione il suo Instituto Terra, concreta utopia ambientalista di ripristino delle foreste. Nelle sue mostre, la documentazione e la testimonianza non mancano mai. […]
Non furono le polemiche ma la realtà a ferirlo quasi mortalmente: dopo il suo reportage nell’inferno della carestia del Sahel, nel 1984, il suo fisico crollò sotto il peso delle cose viste, sentì «la morte dentro». Si riprese a fatica. La fotografia fu la sua medicina. La bellezza il suo linguaggio, scegliendo però di usarlo per raccontare le grandi crisi planetarie. «Mi dicono spesso Sebastião, tu sei un artista, io rispondo, no, sono un fotografo, è una fortuna, è una cosa unica nella storia, noi fotografi esistiamo da meno di due secoli, forse fra vent’anni non ci saranno più fotografi, tutto cambia». […]
sebastiao salgado attentato a reagan 3
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