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“SENZA DISARMO DI HAMAS NON SI ARRIVA DA NESSUNA PARTE” – LA TREGUA PER GAZA SIGLATA DA TRUMP MOSTRA TUTTA LA SUA FRAGILITÀ - L’AMBASCIATORE STEFANINI: “TRUMP HA ALTERNATO LA MINACCIA DI IMPORRE IL DISARMO DI HAMAS CON LE BLANDIZIE DI FARE DEI MILIZIANI LA FUTURA POLIZIA LOCALE. QUANTI SOPRAVVIVEREBBERO SENZA KALASHNIKOV NELLA SELVA DI CONTI DA REGOLARE E VENDETTE CHE LI CIRCONDA, IN UNA GAZA DI CUI HANNO CAUSATO LA DEVASTAZIONE?” – “COME REAGIREBBE ISRAELE, RITROVANDOSI AL PUNTO DI PARTENZA DOPO DUE ANNI DI GUERRA? RIPRENDENDOLA?”
Estratto dell’articolo di Stefano Stefanini per "la Stampa"
miliziani di hamas pattugliano il territorio della striscia di gaza
Ieri la diplomazia americana è andata in tilt per salvare il cessate il fuoco a Gaza. Militanti di Hamas erano spuntati da un tunnel a Rafah con missili anticarro; l'aviazione israeliana aveva subito risposto contro una ventina di obiettivi del movimento.
[…] Israele aveva avvertito gli americani; Hamas si è precipitato a dire «non ne sappiamo niente» (compagni che sbagliano?), vogliamo tener ferma la tregua. Washington si rassicura dicendo che nessuno dei due vuole tornare alla guerra in grande scala. Sarà vero ma la Casa Bianca sa benissimo che il grande successo diplomatico di Donald Trump va strenuamente puntellato. Da solo, non si regge.
benjamin netanyahu e donald trump in israele foto lapresse 1
L'incidente di ieri è tollerabile – rientra nella logica dei cessate il fuoco specie quando da una parte non ci sono forze regolari ma milizie eterogenee. L'estrema fragilità della tregua, e dell'intero accordo Israele-Hamas, nasce però a monte. Si è manifestata dal primo giorno, sotto gli occhi tutto il mondo, con le immagini dei giustizieri di Hamas e delle loro vittime – palestinesi – inginocchiate e bendate. […]
[…] Basta un incidente imprevisto a mandar per aria il migliore dei piani. Nelle acque già tempestose di Gaza, l'esecuzione a sangue freddo di una ventina di miliziani avversi – lo stigma del collaborazionismo con Israele gli è stato affibbiato senza tanti scrupoli di istruttoria – è l'onda anomala abbattutasi sul fragile vascello del piano di pace.
Il vascello non è affondato ma, spinto nelle secche dal redivivo movimento di Resistenza Islamico, stenta a riprendere la navigazione. La tregua nella Striscia è appesa a un filo. Il resto del piano Trump per il Medio Oriente pure.
L'esecuzione di venti miliziani è una goccia nell'oceano delle vittime civili e delle miserie di Gaza. Ma dava un segnale molto preciso: siamo tornati. Erano passate a malapena ventiquattrore da che le bombe israeliane avevano smesso di cadere sulla Striscia in macerie.
Hamas, tutt'altro che disarmato, non perdeva tempo a colmare il vuoto di potere nella metà (43%) di Gaza dalla quale Tsahal si era appena ritirato, in adempienza dell'accordo accettato da entrambe le parti sotto le convergenti pressioni americana, qatarina, saudita e turca. Rispettato nello scambio ostaggi-detenuti, pur mancando ancora all'appello una ventina di salme israeliane, probabilmente perché Hamas non sa dove siano.
Ma tutt'altro che rispettato nei due successivi anelli della catena: il disarmo e l'esclusione dall'autogoverno locale della Striscia del Movimento. Il "siamo tornati" va nel senso opposto.
Difficoltà già nell'aria quando Trump ha lasciato Sharm el-Sheikh in pompa magna, dopo aver firmato la "Dichiarazione di Trump per una pace e prosperità duratura". Con il sesto senso che non gli fa mai difetto, il Presidente americano ha rinviato l'annuncio del Consiglio della Pace di Gaza sotto sua presidenza. Sa bene che prima di qualsiasi pace viene il disarmo di Hamas.
Ha alternato la minaccia di imporlo con la forza – di chi, visto che esclude l'uso di militari americani a Gaza? – con le blandizie di fare dei miliziani del Movimento la futura polizia locale. Forse toccherà agli egiziani o ai turchi che non manifestano grande entusiasmo per entrare nella Striscia prima che Hamas abbia deposto le armi. Volontariamente?
Quanti sopravviverebbero senza Kalashnikov nella selva di conti da regolare e vendette che li circonda, in una Gaza di cui hanno causato la devastazione?
miliziani di hamas fanno passare le auto della croce rossa a gaza
Superato il test del cessate il fuoco – per il momento tiene pur a fatica – il piano Trump affronta dunque l'ostacolo Hamas. Il disarmo è indispensabile altrimenti nessuno – occidentale, arabo, tecnocrate palestinese – si azzarda a mettere il piede nella Striscia, se non per finalità umanitarie.
Niente disarmo – operazione complicata anche in un contesto più permissivo – niente stabilizzazione. Sull'esclusione del Movimento dal futuro di Gaza si può forse lasciare che i portatori d'acqua, non i leader, si riciclino sotto diversa bandiera. Ma cosa succede se Hamas rimane nella Striscia come forza politica e militare? Se falliscono le indubbie capacità di convincimento arabe e turche, sulle quali il piano Trump fa affidamento?
Una Gaza in mano al Movimento e/o ingovernabile mette in questione l'intera architettura del piano Trump. Come reagirebbe Israele, ritrovandosi al punto di partenza dopo due anni di guerra? Riprendendola? Sigillando la metà di Gaza che non occupa? Per quanto degradata militarmente e politicamente Hamas, con una base territoriale al confine dello Stato ebraico, resterebbe una minaccia esistenziale. 7 ottobre docet. Una totale dipendenza dagli aiuti internazionali attenderebbe due milioni di abitanti, per lo più senza tetto.
Gaza con Hamas significa Gaza senza ricostruzione. Resterebbe solo la visione geopolitica su cui poggia il piano Trump: gli accordi di Abramo che integrano Israele nel tessuto regionale di sicurezza, economia, energia e tecnologia. A vantaggio di tutti. Prova ne sia che la guerra di Gaza non ha messo fine ad affari e commercio fra Golfo, specie Emirati, e Stato ebraico.
Ma per interessati che siano all'intesa con Gerusalemme, i leader arabi non possono ignorare la piazza che chiede lo Stato palestinese. Tant'è che il piano Trump lo contempla, pur cripticamente e all'ultimo punto. Di arrivo. Ma senza disarmo di Hamas e stabilizzazione della Striscia non si arriva da nessuna parte.
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