enrico nicoletti paolo adinolfi

I SERVIZI DEVIATI, IL RUOLO DELLA BANDA DELLA MAGLIANA E LE PRESUNTE COLLUSIONI DEI MAGISTRATI CON LA CRIMINALITÀ: TUTTE LE IPOTESI SULLA SCOMPARSA DI PAOLO ADINOLFI - IL GIUDICE SPARITO NEL NULLA IL 2 LUGLIO 1994, DI CUI SI CERCANO I RESTI NEI TUNNEL SOTTO LA CASA DEL JAZZ, A ROMA, DECRETÒ IL FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ "FISCOM", LEGATA AL MONDO DEI SERVIZI SEGRETI E DELLA MALAVITA ORGANIZZATA (PER IL CRAC FU CONDANNATO, TRA GLI ALTRI, ENRICO NICOLETTI, CASSIERE DELLA BANDA DELLA MAGLIANA E PROPRIETARIO DELLA CASA SU CUI SI STANNO CONCENTRANDO LE RICERCHE). MA PERCHÉ UN COLLEGA DI ADINOLFI, MENTRE LUI ERA IN FERIE, REVOCÒ LA SUA DECISIONE? - LA TESTIMONIANZA DI UN COLLABORATORE DI GIUSTIZIA: "ADINOLFI È STATO UCCISO DALLA BANDA DELLA MAGLIANA, SU ORDINE DEI SERVIZI" - IL "BUCO NERO" NELLA RICOSTRUZIONE DEGLI SPOSTAMENTI DI ADINOLFI

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Estratto dell'articolo di Fabrizio Peronaci per www.corriere.it

 

paolo adinolfi 3

Il 2 luglio 1994 era un sabato. Caldo terrificante, oltre i 40 gradi. «Roma batte l’Africa», titolavano i giornali. Paolo Adinolfi, 52 anni, consigliere presso la Corte d’appello di Roma, sposato e padre di due figli, residente in un bel condominio di via della Farnesina, uscì di casa alle 9 di mattina e sparì.

 

Lui e Nicoletta Grimaldi si erano sposati nel 1970: una coppia affiatata, rinsaldata dalla formazione culturale affine, cattolici praticanti, scout, rigore assoluto nella dedizione al lavoro e alla famiglia. [...]

 

Vinto il concorso in magistratura a soli 28 anni, dopo il matrimonio nella chiesa di Sant’Andrea al Quirinale lui era stato assegnato a Milano. Nicoletta Grimaldi per stargli vicino aveva rivisto i suoi progetti e interrotto la pratica da avvocato, per darsi all’insegnamento, diritto ed economia negli istituti tecnici.

 

scavi alla casa del jazz a roma collegati alla scomparsa di paolo adinolfi 3

A Milano l'ambientamento non era stato facile, anche se la casa era stata presto rallegrata dall'arrivo di una bambina, Giovanna, e lui, Paolo, forte della sua solidità professionale, dopo la prima laurea in Legge e la seconda in diritto canonico alla Lateranense, s'era integrato senza problemi nel gruppo dei «pretori d’assalto».

 

Ma poi, soprattutto in Nicoletta, la nostalgia del sole e degli affetti più cari aveva preso il sopravvento, e così erano tornati a Roma, in tempo per la nascita del secondo figlio, Lorenzo, oggi avvocato civilista, nel 1978.

 

La famiglia al primo posto. Aveva mollato le inchieste penali, il magistrato Adinolfi, che già s'era conquistato la fama di irreprensibile «rompiscatole», accettando l'assegnazione da giudice nella Sezione fallimentare. Negli uffici di via Giulio Cesare era rimasto per oltre un decennio. Tempi duri, per via del «clima» romano.

 

paolo adinolfi 2

L'eccessiva «permeabilità» degli ambienti giudiziari alle pressioni di certi zone grigie (l'imprenditoria rampante, la politica...) e la tendenza ad «aggiustare» le sentenze turbavano i sonni del giudice mite all'apparenza, ma tetragono e invincibile nel sentirsi servitore dello Stato. E di nessun altro.

 

Fino a che era stato lui stesso a chiedere il trasferimento in altra sezione, nell’estate 1990. Una decisione traumatica: un collega d’ufficio, approfittando del fatto che Adinolfi era in ferie, aveva annullato una dichiarazione di fallimento a carico di una società in odore di malaffare, e lui s’era infuriato.

 

scavi alla casa del jazz a roma collegati alla scomparsa di paolo adinolfi 1

Quella mattina del 2 luglio 1994 Giovanna non aveva lezioni all’università e stava dormendo nella sua stanza. Lorenzo, sedicenne, era in vacanza-studio in Inghilterra. Attorno alle 8, Paolo aveva preparato il tè, come al solito, per tutti e due. [...]

 

Il caso diventò pubblico il giorno dopo, domenica 3 luglio 1994, alle 15:45, con un lancio Ansa dal titolo: «Scomparso magistrato a Roma». Nella foto girata dalla famiglia ai giornali, nella speranza che potesse essere utile a trovarlo, il dottor Adinolfi aveva un aspetto quasi curiale, in linea con la sua forte spiritualità: sguardo mite, occhialoni quadrati e calvizie già accentuata.

 

paolo adinolfi 4

«Cattolico osservante, ai limiti del bigottismo», lo avrebbe definito con affetto la moglie. Il suo hobby era costruire presepi, solo, per ore, nel silenzio del suo garage allestito come un laboratorio artigianale.

 

Il martedì precedente, alla figlia tornata dopo un anno all’estero aveva detto di voler andare a ringraziare la Madonna del Divino Amore. Spesso, Andando al tribunale con la sua Bmw 316, si fermava nella chiesa di San Valentino, al Villaggio Olimpico, per raccogliersi in preghiera. Ma non quel giorno, stando alla testimonianza del parroco, che non lo aveva visto.

 

scavi alla casa del jazz a roma collegati alla scomparsa di paolo adinolfi 2

La successione degli eventi della mattina del 2 luglio è il fulcro del giallo: una serie di movimenti di Paolo Adinolfi, non tutti spiegabili, tra Prati, Flaminio, Parioli e infine dalle parti della stazione Termini.

 

Sette spostamenti all'interno dei quali si cela il buco nero, la chiave del mistero, un incontro non noto, il possibile «aggancio» da parte di malintenzionati, che potrebbero averlo obbligato (magari con la pistola puntata sulla schiena) alla messinscena dell'allontanamento volontario. [...] La prima commissione di Adinolfi fu passare nella banca interna del tribunale civile, all’epoca aperta anche di sabato. Alle 9:30 si presentò allo sportello per trasferire il suo conto corrente, dopo il cambio d’ufficio.

enrico nicoletti storico cassiere della banda della magliana 2

 

«Incontrai Paolo Adinolfi nella Cassa di risparmio, in fila, da solo. Sarà stato lì almeno venti minuti», il racconto di un avvocato suo conoscente, Paolo Loria. Seconda mossa: il pagamento delle bollette dell’anziana madre (residente da sola ai Parioli, in via Scipio Slataper, dove lui andava spessissimo a trovarla) nell’ufficio postale interno. Nessuno degli impiegati notò in Paolo segni di turbamento o ansietà.

 

Siamo al terzo spostamento. Attorno alle 10 Adinolfi si recò nella biblioteca del tribunale, per ritirare la copia di una sentenza relativa all’esproprio di un terreno edificabile. Colpo di scena, però: stando al racconto dell'impiegato Marcello Mosca, il giudice sembrava aver fretta e non era più solo, bensì in compagnia di «un giovane sui 30-35 anni con una camicia a maniche lunghe, senza barba, occhiali o altri segni distintivi, alto più o meno come Adinolfi, circa 1 metro e 65».

 

enrico nicoletti storico cassiere della banda della magliana 1

Chi era il mister X? «Questo personaggio non è stato mai identificato - ha puntualizzato a più riprese Lorenzo Adinolfi- In Procura ci fecero intendere che il testimone si poteva essere confuso. Noi andammo a parlarci, con l’impiegato, e ci confermò tutto».

 

Quarta tappa, dopo le 10:30, lo spostamento nel suo nuovo ufficio, la Corte d’appello di Roma situata in via Varisco, a ridosso di Piazzale Clodio. Qui Adinolfi passò in cancelleria, stavolta da solo, per ritirare due fascicoli, «procedimenti ordinari, ai quali doveva ancora lavorare», secondo l’impiegata, Pina Formato. Atti che però, stranamente, nella macchina non furono trovati. 

 

enrico nicoletti storico cassiere della banda della magliana 3

Uscendo, Adinolfi incrociò un collega magistrato, Paolo Celotti, che notò un intervenuto malumore: «L’ho salutato e mi ha risposto con un brusco ‘ciao’, visibilmente turbato. Camminava a occhi bassi e sembrava a disagio per qualcosa». Cosa era successo nel frattempo?

 

Il vaglia del mistero

E siamo al passaggio più sorprendente e inquietante. Attorno alle 11.00 Adinolfi riprese l’auto e raggiunse il Villaggio Olimpico, parcheggiò in via Svezia, dove la Bmw sarebbe stata ritrovata nelle ore successive, ed entrò nell’ufficio postale di via Nedo Nadi, dove effettuò un’operazione degna di un dottor Jekyll/mister Hyde.

 

tommaso buscetta

Spedì un vaglia di 500.000 lire alla moglie, che sarebbe arrivato una settimana dopo. Senza riempire lo spazio della causale. Senza che lei, Nicoletta, ne sapesse nulla. Senza nessuna logica, visto che tra due ore sarebbe dovuto tornare a pranzo. Sicuro che questa operazione non gli fu estorta, per accreditare una sorta di commiato alla famiglia?

 

Le chiavi e l'avvistamento sul bus

Ecco la sesta e settima tappa. Attorno alle 12:00, secondo la ricostruzione della polizia, il giudice prese un bus che lo portò ai Parioli, all’abitazione della madre, dove, però, non si fece vedere né sentire. Giunto nell’androne di via Slataper, depositò le chiavi di casa e dell’auto nella buca delle lettere e uscì.

 

enrico nicoletti1

Come per dire alla famiglia: tenetele voi, a me non servono più. Un'altra messinscena ottenuta con la violenza? L'ultimo (presunto) spostamento è l'ennesima stranezza della «mattinata dei misteri». Un altro avvocato, Franco De Bernardinis, il giorno seguente, a notizia diventata di pubblico dominio, riferì di aver incontrato il giudice sul bus 4, all'altezza di via XX Settembre, alle 12:20. «Abbiamo scambiato due chiacchiere. Non dava l’idea di essere agitato. Io sono sceso e lui è rimasto a bordo».

 

Tale avvistamento alimentò due scenari: che Paolo stesse andando a Termini, per salire su un treno e sparire, oppure in zona San Giovanni, a una fermata in comune con la linea 218, diretta al santuario del Divino Amore, luogo perfetto per «sceneggiare» una crisi mistica. L'avvocato, stranamente, in seguito non confermò questa versione.

 

Il ritrovamento della Bmw

tommaso buscetta

E in famiglia che si diceva? Già la sera del 2 luglio 1994, al momento di presentare la denuncia al commissariato di zona, Nicoletta, non sapendo cosa pensare, ipotizzò una crisi di amnesia legata a uno sbalzo di pressione, provocato dal caldo.

 

Intanto numerose pattuglie della Squadra mobile percorrevano avanti e indietro il tragitto tra via della Farnesina e gli uffici giudiziari, facendo attenzione ai dirupi oltre i marciapiedi del lungotevere, ai movimenti sotto i ponti Duca d’Aosta, ai giardinetti. Dai carabinieri arrivò la prima vera novità: furono loro, quella stessa notte, a trovare la Bmw.

 

La figlia, Giovanna, era presente. Fu lei ad aprire il bagagliaio. «Fu uno choc. Ero convinta di trovare il suo corpo. All'epoca in seguito al caso Moro si associava un bagagliaio a un cadavere», racconterà. Invece il corpo non c'era. All’interno, venne rinvenute le ricevute delle bollette pagate e la sentenza ritirata in biblioteca, ma non i due fascicoli presi in cancelleria e la ricevuta del vaglia postale.

massimo carminati

 

Le frenetiche ricerche

Dal lunedì 4 luglio 1994 - con la notizia su tutte le prime pagine - la caccia diventò frenetica, il dispiegamento di forze gigantesco. Una sezione della Squadra mobile composta da trenta agenti fu interamente dirottata sulle ricerche.

 

Ospedali, case di cura, locali pubblici, parchi, stazioni ferroviarie e della metro passati al setaccio. Foto dello scomparso distribuite a tassisti, autisti di bus, mense dei poveri. ­­Elicotteri in volo nella zona del Divino Amore. Niente. Di Paolo neanche un'unghia.

 

No malore, no incidente, no suicidio...

E veniamo alle ipotesi, esaminando le quali si spiega l'improvvisa svolta di oggi, con gli scavi inattesi nella Casa del jazz. La prima - malore o perdita di memoria - fu scartata dopo qualche giorno, perché nessuno si fece vivo da ospedali o cliniche, così come la seconda, l’incidente stradale.

 

MASSIMO CARMINATI

Se Adinolfi fosse stato investito e caricato su un’ambulanza lo si sarebbe saputo. Ancora, un possibile suicidio. Anche questo da scartare, dice con forza il figlio avvocato: «Papà stava bene, era felice del rientro a Roma di mia sorella, innamoratissimo di mamma, motivato dal nuovo incarico in Corte d’appello. E oltretutto la sua intensa fede religiosa, assieme al profondo legame a noi e a nonna, glielo avrebbe impedito».

 

La signora vestita di rosso

Eccoci al quarto e quinto scenario, prima di imboccare la piste più seria e inquietante. Allontanamento volontario? L’ipotesi fu lanciata dai giornali, imbeccati da fonti investigative, ma lo scomparso non aveva prelevato nulla dai conti correnti. Un amore clandestino? Dal Friuli, in effetti, giunse la segnalazione di un ristoratore convinto di averlo servito a cena, in compagnia di una signora vestita di rosso, «molto avvenente e di gran classe».

 

ERNESTO DIOTALLEVI

Bufala clamorosa e rimasta senza seguito. Mancò poco che Nicoletta, parlando con i giornalisti, scoppiasse a ridere. Una donna segreta? Non era proprio il tipo. Anche l'ipotesi che si fosse volontariamente chiuso in un convento finì in un vicolo cielo: «Li abbiamo sentiti praticamente tutti, i monasteri. In tutta Italia», allarga le braccia il figlio.

 

Domande atroci

E arriviamo così all'oggi, alla sola pista che giustifica l'arrivo in forze, cani molecolari compresi, nella Casa del jazz che fu residenza di Enrico Nicoletti, noto come il «cassiere» della banda della Magliana, morto nel dicembre 2020. Il consigliere Paolo Adinolfi fu eliminato perché scomodo? Il suo è un caso di «lupara bianca» ambientato nella capitale, che è doveroso perseguire anche decenni dopo? Lo sventurato giudice dalla schiena dritta fu fatto sparire in un pilone o sciolto nell’acido?

 

Il post-it: «Non dare ad Adinolfi»

Il dubbio sul movente era già emerso il 3 luglio 1994, nel dispaccio Ansa delle 19:35. «Il magistrato da circa un mese era entrato nell’organico della IV sezione civile della Corte d’appello, dopo essere stato per diverso tempo alla Sezione fallimentare, occupandosi di importanti questioni giudiziarie. Nel corso degli anni si era scontrato con loschi interessi di gente pronta a tutto per pilotare le sentenze, e lui è sempre apparso rigoroso e incorruttibile». Più chiaro di così...

 

ERNESTO DIOTALLEVI

Quella più citata nelle cronache fu la faccenda della Fiscom, una finanziaria in odore di malaffare, di cui lo scomparso decretò il fallimento, nel giugno 1992, poi revocato mentre era in ferie. Su questo episodio nacque lo scontro che aveva portato Adinolfi a mollare. Nel suo armadio, sopra un fascicolo delicato, fu trovato un post-it con su scritto: «Non dare ad Adinolfi».

 

Fu l'Espresso, con un'inchiesta dell'estate 2015 che provocò le ire di Massimo Carminati (alle quali l'allora direttore Tommaso Cerno e il cronista sotto scorta Lirio Abate replicarono con «Il boss prova a intimidirci. Non ci ferma»), ad approfondire più di altri il movente affaristico. Tre i passaggi per arrivare alla Fiscom.  Primo: «L’anno in cui viene fatto sparire Adinolfi è cruciale per le organizzazioni criminali su Roma.

 

C’è in corso l’istruttoria per la banda della Magliana. Massimo Carminati è in carcere perché accusato di banda armata e calunnia nell’ambito della strage di Bologna, da cui verrà assolto. L’imprenditore Ernesto Diotallevi è fra quelli per cui il giudice istruttore Otello Lupacchini nell’estate 1994 ordina il rinvio a giudizio».

 

Le sentenze di fallimento nel mirino

Secondo: «Nello stesso periodo il pentito Tommaso Buscetta parla pubblicamente di Diotallevi, nel giugno 1994, rispondendo alle domande dei pm durante. C’era molta tensione a Roma e forse anche per questo l’eliminazione di un magistrato che avrebbe potuto creare problemi ai clan criminali doveva avvenire in silenzio: con la lupara bianca».

agente segreto 4

 

Terzo: «Il giudice Adinolfi aveva incrociato gli interessi di Diotallevi nel 1992 occupandosi del fallimento della Fiscom, società legata a personaggi del mondo dei servizi segreti e della malavita organizzata. Per questa storia furono condannati in primo grado Enrico Nicoletti, il notaio Michele Di Ciommo e uomini d’affari come Salvatore Tuttolomondo ed Enzo Zanetti, accusati di bancarotta fraudolenta».

 

«La sua condanna a morte»

Eccola, la possibile concatenazione che ci porta, oggi, alla Casa del jazz. Una ricostruzione integrata dal figlio Lorenzo: «Chiedendo di andar via, papà aveva ratificato la sua estraneità al clima romano. È questo che ha pagato. Mio padre venne a sapere che il suo collega Carlo Nocerino, pm milanese, stava indagando sul fallimento della Ambra assicurazione, compagnia legata alla Fiscom, e decise di sentirlo di persona. Qualcosa mi dice che quest’ultimo contatto pochi giorni prima della scomparsa, dettato da una indefettibile volontà di giustizia, considerata la tempistica, possa aver rappresentato la sua condanna a morte».

 

agente segreto 2

Siamo ormai vicini alla conclusione di questo viaggio che sembrava definitivamente concluso, e oggi riprende con la caccia alle ossa nelle catacombe sotto via Cristoforo Colombo. L'accelerazione che ha portato alle acquisizioni investigative appena sintetizzate fu resa possibile nel 1996 (poco dopo l'archiviazione delle prime indagini, motivata con «la prevalenza dell’ipotesi dell’allontanamento volontario»), dall'entrata in scena di tal Francesco Elmo, faccendiere siciliano pentito, coinvolto nell’operazione «Cheque to cheque» (traffico di armi e riciclaggio), il quale chiese di essere ascoltato per fare «importanti rivelazioni» sul magistrato romano.

 

Secondo il collaboratore di giustizia, Adinolfi era stato ucciso da uomini della banda della Magliana, su ordine dei servizi segreti.  Il pm Nocerino, all’Ansa il 4 giugno 1996, fu esplicito. «Paolo Adinolfi mi aveva telefonato a fine giugno 1994. Sosteneva di avere informazioni molto utili da darmi. Io gli dissi di metterle per iscritto e di mandarmele, ma lui precisò che non voleva parlarmi come giudice, ma come semplice cittadino. Non concordammo una data. Mi disse che sarebbe venuto qualche giorno dopo, ma io non lo vidi mai. Il 2 luglio sparì e di lui non si seppe più nulla...»

 

Il contatto tra i due magistrati, ricostruì l’Ansa, era nato «nell'ambito dell'inchiesta sui risvolti penali del fallimento delle assicurazioni Ambra. In questa vicenda il dottor Nocerino aveva fatto arrestare diverse persone tra cui Enrico Nicoletti, indicato come il cassiere della banda della Magliana».

 

Gli scavi a Villa Osio

Cerchio chiuso?  Il passato che ritorna? Fu proprio a fine anni Novanta, dopo le rivelazione del pentito Elmo, che avvenne la prima tornata di scavi. Secondo le voci girate in ambito malavita, Paolo Adinolfi era sepolto a Villa Osio, l’ex residenza di Nicoletti a ridosso delle Mura Latine, confiscata e in seguito trasformata nella Casa del jazz.

agente segreto 3

 

Scavi durati qualche giorno, ma senza esito. A quanto pare, bucata una parete nella sala al seminterrato, ci si fermò dopo i primi colpi di badile. Anche se fu trovata terra fresca «da riporto» e i sospetti non parevano tanto fugati. Fatto è che anche la seconda inchiesta fu archiviata.

 

Ma Lorenzo Adinolfi non era convinto allora e non lo è oggi. «Il dubbio che il corpo di mio padre sia davvero lì sotto mi ronza ancora in testa, così come quando hanno telefonato al parroco dicendo di cercare il corpo nel lago Trasimeno. Non basta dire: abbiamo controllato. Io vorrei che fossero approfondite le ricerche già fatte e analizzati gli eventuali intoppi». [...