DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN FAMIGLIA…
Francesca Caferri per “la Repubblica”
La notizia arriva che in Australia sono le 5.30 del mattino. «E per fortuna avevo tolto la suoneria al cellulare per non disturbare mio figlio piccolo», dice con una voce che trilla per l'emozione Manal al Sharif, dalla casa dove si è trasferita da pochi mesi. «Quando mi sono svegliata l'ho trovato pieno di messaggi di ogni tipo. Pensavo fosse uno scherzo: ho controllato sulla Bbc. Poi mi sono messa a piangere: io, e con me un'intera generazione di saudite, ho vissuto per vedere questo giorno. È la nostra liberazione».
Non esagera Al Sharif: era il 2011 quando, a 32 anni e fresca di divorzio, si mise alla guida della sua auto per le strade di Damman, la città della Provincia orientale dell'Arabia Saudita dove viveva. Al suo fianco, un' amica la riprendeva con il cellulare e trasmetteva le immagini su Internet. Nel giro di poche ore, divenne una star del web. Il successo la convinse a provare di nuovo. Ma questa volta fu arrestata: rimase in isolamento per otto giorni e ne uscì solo firmando un foglio in cui si impegnava a non guidare, a non parlare con la stampa e a non sfidare più le autorità.
Forse più duri dei giorni in cella furono i giorni che seguirono: perse il lavoro, fu minacciata, la sua famiglia insultata. La pressione era tale che nel giro di qualche mese fu costretta a lasciare il Paese, lasciandosi alle spalle un figlio su cui l'ex marito aveva ed ha tuttora il diritto di custodia. Il suo arresto è stata la molla che ha fatto ripartire #Saudiwomendrive, la campagna che negli ultimi sei anni ha tenuto sotto costante pressione la monarchia saudita, costringendola ad abolire, due giorni fa, una norma che era unica al mondo.
Manal, come si è sentita quando ha capito che il divieto di guida era davvero abolito?
«Non potevo crederci. Per anni ci siamo dette che sarebbe stata l'ultima cosa su cui la monarchia avrebbe ceduto. Per anni abbiamo lottato, siamo state arrestate, minacciate, insultate. E oggi, eccoci qui».
Perché ora?
«La monarchia vuole dimostrare che i tempi sono cambiati. Che il potere è cambiato. Che a decidere oggi è un giovane. Il principe ereditario Mohammed Bin Salman vuole essere popolare. E ci sta riuscendo: basta guardare i titoli in queste ore».
Le donne come strumento di propaganda?
«Le donne a lungo sono state usate come strumento per compiacere gli estremisti. Ora vengono usate per mostrare al mondo che l' Arabia Saudita è un Paese moderno e liberale».
L'Arabia Saudita è un Paese moderno e liberale?
«È un Paese che sta cambiando. Da mesi vedo i consiglieri della Corte reale seguirmi su Twitter, prestare attenzione a quello che dico o scrivo io e altre donne come me. Questo non è mai successo prima».
Ma il sistema del guardiano resta in vigore. E senza di quello Lei continuerà a non avere il passaporto senza il "sì" di suo fratello, a non poter chiedere la custodia del suo figlio maggiore. E molto altro
«La battaglia vera era la guida. Era la più simbolica delle riforme, la più imbarazzante delle leggi. La norma che impediva alle donne di accedere a posti di lavoro dove lo stipendio sarebbe finito tutto in tasca all' autista incaricato di accompagnarle a lavoro ».
ARABIA SAUDITA DONNE ALLA GUIDA 2
Festeggerete?
«Sì. Il 6 novembre: l' anniversario del giorno in cui nel 1990 47 donne per la prima volta sfidarono le autorità guidando nelle strade di Riad. Questa vittoria è anche loro: hanno sacrificato le loro vite per questo».
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