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“SONO STATA MOLESTATA DURANTE LA TAC IN OSPEDALE E DOPO LA DENUNCIA MI INSULTANO ONLINE” – LA STUDENTESSA 23ENNE MARZIA SARDO IN UN VIDEO HA RACCONTATO CHE DURANTE UN ESAME AL POLICLINICO UMBERTO I DI ROMA PER UNA FORTE EMICRANIA UN OPERATORE SANITARIO ULTRA50ENNE, BRIZZOLATO, CON BARBA E QUASI CALVO LE AVREBBE DETTO: “SE VUOI TOGLIERTI IL REGGISENO, FAI TUTTI CONTENTI” – “NON HO AVUTO LA FORZA DI REAGIRE. ERO SOTTO SHOCK. DOPO IL VIDEO UNA SIGNORA MI HA INVIATO UN MESSAGGIO IN PRIVATO: “LUI HA SBAGLIATO, MA TU RISCHI DI ROVINARGLI LA VITA. COME TI PERMETTI?”. IO INVECE MI PERMETTO PERCHÉ…” - VIDEO
Valentina Lupia per repubblica.it – Estratti
«Se vuoi toglierti il reggiseno, fai tutti contenti». Questo si sarebbe sentita rispondere Marzia Sardo — una ventitreenne siciliana che vive e studia a Roma — mentre in preda a una forte emicrania veniva sottoposta a una tac al policlinico Umberto I. L’ospedale, tra i più grandi d’Europa, è il centro di riferimento delle facoltà di Medicina e Odontoiatria e di Farmacia della Sapienza. La denuncia della ragazza, via social, è diventata virale in poche ore.
Partiamo dal principio. Quando è andata in ospedale?
«Venerdì 21 agosto. Avevo un’emicrania fortissima, che si chiama “con aura”. Non riuscivo a tenere gli occhi aperti, così sono andata al pronto soccorso. Sono stata visitata e il medico che mi ha seguita ha richiesto una tac urgente al cranio».
Così è stata portata in un’altra stanza.
«Sono stata accompagnata nell’area della Radiologia. Erano circa le 21. (...)
«All’inizio un operatore sanitario mi ha risposto in maniera professionale, spiegandomi che non ce ne sarebbe stato bisogno perché la tac avrebbe coinvolto solo la testa. Poi, guardando i suoi colleghi, ha aggiunto: “Ma se lo vuoi togliere ci fai felici tutti”».
Lei ha risposto?
«Lì per lì non ho avuto la forza di reagire. Ero sotto shock. Sola e impaurita, lontana da casa, in una situazione di estrema fragilità e vulnerabilità, durante un esame diagnostico delicato. Insomma: era una situazione pesante già in partenza. Poi quella frase...».
Come hanno reagito i colleghi dell’uomo?
«Non li ho visti, perché stavo facendo la tac. Non ho sentito commenti o risate, ma nessuno ha redarguito l’operatore sanitario, che — ci tengo a precisarlo — non era il tecnico radiologo. Lui era dietro al vetro, penso che non abbia sentito nulla».
Cosa l’ha ferita di più?
«Che l’ennesima battutina sia arrivata da chi in quel momento avrebbe dovuto prendersi cura di me».
L’ospedale ha aperto un’indagine interna. Lei ha denunciato?
«Sono stata dimessa nel tardo pomeriggio di venerdì 22 agosto e sono corsa subito a casa. Ho inviato all’Ufficio relazioni con il pubblico un reclamo formale via pec».
E alle forze dell’ordine?
«Per ora no. Sono convinta che l’Urp possa intervenire più rapidamente sul proprio dipendente. Che ha sicuramente più di cinquant’anni, è brizzolato, con barba e quasi totalmente calvo».
Però ha denunciato via social. Il suo video, girato nel bagno dell’ospedale, ancora con l’ago cannula nel braccio, e pubblicato su Instagram e su TikTok, è diventato virale in poche ore. Perché ha scelto lo strumento del web?
«Per tutelarmi. Per raccontare subito quello che avevo vissuto. Le reazioni di chi ha visto il filmato sono state essenzialmente due: tante ragazze mi hanno scritto e mi hanno ringraziata per la forza e il coraggio che ho dimostrato nel denunciare. Ma altre persone mi hanno insultata e alla fine sono stata costretta a cambiare le impostazioni dei post, per impedire agli utenti di commentare la clip».
Quali parole l’hanno fatta stare peggio?
«Ho letto frasi tremende. Come “mio cugino piange meglio”. O anche “fatti una risata”. Altri hanno criticato la mia reazione. Ero visibilmente scossa e mi hanno scritto parole come “che esagerazione, addirittura piangere così”. Una signora mi ha inviato un messaggio in privato: “Lui ha sbagliato, ma tu rischi di rovinargli la vita.
Come ti permetti?”. Io invece mi permetto. Perché è importante denunciare, non si deve normalizzare una molestia verbale. E nemmeno il victim blaming, cioè la colpevolizzazione della vittima, che è quello che ho vissuto io dopo quella frase shock».
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