DAGOREPORT - MA QUALE TIMORE DI INCROCIARE DANIELA SANTANCHÈ: GIORGIA MELONI NON SI È PRESENTATA…
Caterina Maniaci per "Libero quotidiano"
Alla fine di gennaio del 2020, pochi giorni prima di finire nel turbine oscuro della pandemia, a Rimini fa rumore la morte di una anziana signora, Irma, mancata a 84 anni. Il virus non c' entra nulla. Perché lei ha voluto che all' annuncio della dipartita si accompagnasse una sua foto in cui compare con un sorriso sornione e l' inequivocabile gesto del dito medio alzato. Le figlie hanno dichiarato che la madre era uno "spirito libero" e dunque questa non è stata che la logica conclusione di una vita vissuta all' insegna della provocazione. Ma Irma voleva offendere qualcuno o voleva così rispondere a qualche offesa ricevuta? O si trattava di un' offesa, o meglio di uno sberleffo universale, indirizzato al mondo e al destino?
La vignetta con gli insulti di Qui, Quo e Qua. A fianco, il libro «Offendersi» L' episodio e le conseguenti domande aprono le riflessioni, le osservazioni, le conclusioni contenute nel saggio di Remo Bassetti dal titolo Offendersi, edito da Bollati Boringhieri (pp.288, euro 15). Il titolo indica con chiarezza il tema: l' atto di offendersi, l' atto di offendere e il diritto, per semplificare, a offendersi e a offendere. Soprattutto ai nostri tempi.
Senza il diritto di offendere, sostiene Salman Rushdie, la libertà di espressione non esiste. E oggi, dicevamo, offendere e sentirsi offesi sono fenomeni dilaganti, dall' intimità della famiglia, dai social alle arene televisive, dai seggi parlamentari alle colonne dei giornali. I tribunali traboccano di cause pendenti su diffamazioni, ingiurie, e simili.
La verità, nuda e cruda, è che tutti continuamente si offendono, si sentono in diritto di offendere ma non si ritiene giusto accordare lo stesso diritto agli altri.
DUE ACCEZIONI Questo saggio si occupa dell' offesa nelle due accezioni, aggressiva e riflessiva, considerandole come facce della stessa medaglia e quindi imprescindibili. Una forma di "esercizio democratico", del diritto di espressione. Con i dovuti limiti. Sono espressione di un fenomeno umano universale che attraversa la storia e le società: da Omero ai rapper, da Shakespeare a Trump, dalle tribù indigene ai tweet, dai poeti ai giornalisti. L' autore, anche e soprattutto grazie all' arma dell' ironia, indaga nella dimensione storica e culturale, letteraria e antropologica della denigrazione e delle molteplici reazioni, a volte insospettabili, che essa provoca, usando esempi concreti, alcuni tratti dalla letteratura, dal cinema, dal teatro, a volte dall' esperienza personale. Nell' Ottocento si organizzavano duelli, oggi ci si attacca via social.
Si grida alla libertà di satira, ma poi ci si indigna per le conseguenze di vignette, imitazioni, parodie. Con l' ingresso sull' agone dell' offesa continua di categorie inusuali, inaspettate: «E chi avrebbe mai pensato che, non appena gli avessero tolto i capsomeri e l' acido nucleico da sotto il naso e ficcato un microfono sotto la bocca, i virologi avrebbero rapidamente convertito la sotterranea cattività da laboratorio in scoperta cattiveria dialettica, scambiandosi vituperi come camionisti che si contendono la corsia di sorpasso?», sottolinea infatti Bassetti.
FUNZIONE SOCIALE Sfogarsi insultando è una pratica tanto diffusa quanto antica. In realtà l' insulto espresso attraverso la parolaccia, la volgarità insistita, non vuole primariamente denotare la "vittima" destinataria degli insulti stessi. «Stronzo» e «testa di cazzo», spiega l' autore, non indicano qualità dell' individuo che ti ha appena tagliato la strada non fermandosi al semaforo, o che insiste nel dire che tu non hai capito niente di quella tal questione, o che le tue idee sono «fasciste», «razziste», «comuniste», ecc. Quando il confronto si blocca, scatta il momento della parolaccia, essendo chiaro che esprimere sinteticamente un giudizio che dovrebbe coincidere con «ti sei comportato male», «ti comporti sempre male» o «non hai ragionato in modo corretto» o anche «non si passa all' incrocio se il semaforo è rosso» non sortisce alcun effetto.
Del resto le parolacce esprimono più che altri stati d' animo, non certo elaborati concetti. Il puro insulto è sopravvalutato, secondo Bassetti, «nella sua qualità di realizzare offese durevoli» e se è pur vero che spesso le parole sono pietre, è altrettanto vero che «certe forme di disattenzione sono randellate». Infatti, l' autore individua tre macro-categorie dell' offesa, che diventano molto "sensibili" per ciascuno di noi: la prima, quella del «hai detto male di me»; la seconda, sintetizzabile nell'«hai violato un confine»; la terza, quella che provoca più reazioni e risentimento, ossia «non ti sei accorto di me quanto, o come, avresti dovuto». Declinata, quest' ultima, nell' atteggiamento contro la "vittima" con la fredda constatazione: «Non ho tempo da dedicarti, mi dispiace». Qualcosa che ferisce più profondamente di qualsiasi parolaccia o provocazione.
In difesa (parziale) dell' offesa, come recita il titolo dell' ultimo capitolo del saggio, bisogna ricordare che l' insulto, la presa in giro, lo sberleffo, costruiscono lo spazio in cui si negozia il conflitto, personale e sociale. Uno spazio dialettico, anche se esasperato, in cui ci si insulta per evitare di accoltellarsi.
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