DAGOREPORT – IN POLITICA IL VUOTO NON ESISTE E QUANDO SI APPALESA, ZAC!, VIENE SUBITO OCCUPATO. E…
Guido Ruotolo per “la Stampa”
Gli arresti di sei ufficiali della Marina militare, dopo la grande retata dei padroni dell’acciaio, i Riva, rischiano di far affondare definitivamente Taranto. La Marina militare che sta nella città dei «due mari» è per l’Italia, per l’Ue, per la stessa Nato, la base militare - che occupa circa 20.000 dipendenti, tra civili e militari - più avanzata nel Mediterraneo. Qui ormeggiano le portaerei Garibaldi e Cavour, stazionano i sommergibili nucleari alleati, gli elicotteri, gli Harrier e gli F35 quando arriveranno.
Insomma, quello che il pm Maurizio Carbone ha individuato non è un giro di mazzette di provincia, colpisce la Marina militare al cuore del suo sistema, e rischia di provocare un effetto domino le cui conseguenze non sono al momento prevedibili.
Scrive il gip nella sua ordinanza: «Gli indagati hanno creato all’interno della base navale di Taranto, con la complicità anche di alti ufficiali in servizio presso lo Stato maggiore della Marina militare, un proprio e vero “sistema concussivo” che opera da tempo risalente, tanto da divenire una vera e propria “prassi” illecita che si trasferisce da un comandante all’altro, in un ideale “passaggio di consegne” più o meno tacito».
Siamo alla terza, quarta generazione di tangentisti. Impressionante che nessun ammiraglio o ufficio ispettivo interno se ne sia mai accorto. Non si tratta - per l’accusa - solo di un cesto di «mele marce».
Tutto ha avuto inizio l’11 marzo scorso, l’imprenditore Vincenzo Bruno si è presentato dai carabinieri per raccontare delle mazzette del 10% (130.000 euro) pretese dal capitano di fregata Roberto La Gioia, a capo del Quinto reparto, per l’appalto (biennale, 1.300.000 euro) per il ritiro e il trattamento delle acque di sentina di tutte le navi di Taranto e Brindisi.
L’imprenditore concorda con gli investigatori che quando dovrà portare la rata quindicinale di 2500 euro, i carabinieri riprenderanno la scena della busta consegnata dall’imprenditore in ufficio.
Dopo l’arresto in flagranza. gli sviluppi dell’inchiesta fino alla retata di ieri con il ritrovamento di una pen drive dove La Gioia riportava la contabilità, l’impresa che si è aggiudicata l’appalto, il suo importo, le tangenti. E gli appunti manoscritti sequestrati nella cassaforte dell’ufficio, nei quali segnava le quote delle tangenti che spettavano a ciascun ufficiale o collaboratore. Una quindicina di imprenditori ha confermato. Ora gli inquirenti sperano che altri decidano di raccontare. La Gioia ha scelto di collaborare decifrando i suoi appunti.
L’epicentro era il Quinto reparto di «Maricommi», il commissariato che gestisce la base di Chiapparo, nel mar Grande, che ha cinque reparti che si occupano di vettovagliamento, mense, approvvigionamento dei materiali, carbolubrificanti e oli minerali. Il direttore del commissariato che viene chiamato in causa da La Gioia per il momento è solo indagato mentre il suo vice è in carcere.
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