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Atlante della fauna e della flora marina dell Adriatico nord occidentale
Jenner Meletti per “la Repubblica”
Dopo la spiaggia, in attesa della cena in pensione, si andava al porto. Sui moli - da Rimini a Ravenna - si guardavano i pescatori con la lenza. Paganelli a volontà e qualche cefalo. Adesso, se sei fortunato, soprattutto sul lunghissimo molo di Ravenna, puoi vedere pescatori con canne speciali che tirano su una leccia (Lichia amia) di trenta chili o un barracuda boccagialla (Sphyraena viridensis) di tre o quattro chili e lungo un metro e una spanna.
«Anche queste pescate » dice Attilio Rinaldi, docente di biologia marina, «raccontano un mare più ricco e soprattutto diverso da qualche anno fa. L'alto Adriatico è il mare più pescoso del Mediterraneo e fra i primi al mondo. Questo perché abbonda il pesce azzurro, il cibo preferito dei grandi predatori».
La prima immersione nel 1977, come ricercatore del Centro ricerche marine della Regione Emilia Romagna (ne diventerà direttore). «Sì, ho guardato il mare da sopra e da sotto. Quarant' anni fa il nostro Adriatico - noi lo studiamo da Pesaro al delta del Po - aveva tanti colori, troppi.
Trovavi grandi estensioni di acque verdi, rosse, marrone che erano provocate dall' eutrofizzazione. Troppo fosforo nei detersivi arrivati dai fiumi, che si combinavano con l' azoto dell' agricoltura, della zootecnia e delle città. La legge che nel 1989 ha tolto il fosforo dai detersivi è stata un toccasana. Nell' intero mare ora questa sostanza si è dimezzata e c' è un buon equilibrio di sostanze».
Tante volte ha raccontato la catena alimentare del mare ai suoi studenti. «In un mare equilibrato cresce bene il fitoplancton, fatto di micro alghe. Lo zooplancton - mini crostacei - si ciba del fitoplancton e a sua volta è cibo per il pesce azzurro. E tanto pesce azzurro attira i pesci più grandi».
La battaglia subacquea spiega l' arrivo di specie mai viste o comunque rare. « La leccia, il pesce Serra, il barracuda boccagialla e l' Alaccia o sardinella aurita sono arrivate dal Sud del Mediterraneo a causa del riscaldamento del mare. Anche pesci un tempo rari come la ricciola - arriva a 60 chili - o la lampuga ora sono molto presenti. Il Mare nostrum è aumentato di 1,5 gradi, il nostro Adriatico di 1,8-2 gradi. Tutti hanno trovato cibo abbondante e si sono fermati, anche per la riproduzione».
Un Atlante della fauna e della flora marina dell' Adriatico nord occidentale, a cura di Attilio Rinaldi (820 specie, 720 pagine) sarà presentato domani mattina nella sede del Centro ricerche marine. «È un compendio della biodiversità del nostro mare, troppo spesso descritto, ingiustamente, come misero e privo di vita».
Il mare a volte riesce a riparare anche i guasti provocati dall' uomo. Nel 1985, ad esempio, l' incendio della piattaforma Paguro causò la morte di tre lavoratori. Il relitto, paradossalmente, è diventato un "paradiso" dei pesci. «Ha funzionato come una barriera corallina artificiale. Al riparo del Paguro si sono insediati molluschi, crostacei, stelle marine e poi sono arrivati i predatori.
La pesca è ovviamente vietata e così arrivano appassionati di foto subacquea da mezza Europa». Non solo il caldo ha spinto a nord le nuove specie. «Tante arrivano con le petroliere, che quando sono senza carico riempiono le cisterne con acqua di mare, partendo magari dall' Asia. Caricano così molluschi, larve, conchiglie Via petroliera è arrivata qui dalle Filippine la Scafarca ( Anadara inaequivalvis), una grossa conchiglia con guscio spesso.
Nei ristoranti delle Filippine e anche in Indonesia è un piatto ricercato ma da noi - è già presente in tutto l' alto Adriatico - non è ancora riuscita a farsi apprezzare ». Anche la vongola verace filippina ( Ruditapes philippinarum) quando nel 1983 fu seminata nella sacca di Scardovari provocò proteste.
«Non c' entra nulla con le nostre telline». Ora se ne producono 17.000 tonnellate all' anno nella Sacca di Goro, assieme alle 32.000 tonnellate di cozze che in Emilia Romagna hanno cambiato la pesca. Meglio "coltivare" una sacca o una valle che consumare gasolio alla ricerca di pesci selvaggi.
«Il nostro mare è vivo e ricco» racconta Attilio Rinaldi, «eppure la pesca è in crisi. Questo perché la domanda supera l' offerta e il mercato chiede sempre più le stesse specie, come il tonno e pesce spada. Animali, fra l' altro, che vivono decine di anni e sono esposti all' inquinamento da mercurio o altre sostanze ». Nel mare che cambia, seguendo le orme della cugina Verace, anche la bivalve Scafarca forse avrà una speranza.
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