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Massimiliano Nerozzi per il “Corriere della Sera”
Giocando online attraverso i mondi post-apocalittici e i personaggi di Fortnite - un culto più che un semplice videogame, per i giovanissimi - da aprile un diciassettenne veneto si era infilato nelle vite di un gruppetto di bambini, tra i 10 e i 12 anni, inviando loro e, poi, facendosi mandare immagini e video pedopornografici. A metà luglio se n' è accorta la mamma di una delle piccole vittime, sbirciando per caso lo schermo dello smartphone del figlio, illuminato da un messaggio sospetto - «Vuoi vedere una cosa?» - che ha spalancato un universo oscuro e avviato le indagini della polizia.
Fino al blitz di due giorni fa, di primo mattino, finito con tantissimo materiale sequestrato nell' ambito dell' inchiesta coordinata dalla Procura dei minori di Torino, che ipotizza i reati di pornografia minorile e adescamento di minorenni. L' operazione, denominata Fortnite appunto, dal nome della piattaforma di gioco utilizzata dal ragazzo indagato, è stata condotta dagli agenti del Commissariato di Rivoli, alle porte del capoluogo piemontese, con la collaborazione dei colleghi della Polizia postale di Piemonte e Veneto.
Tutto inizia nei primi giorni del lockdown, quando la pandemia costringe a casa i bambini, spingendoli ancora più a contatto con smartphone e tablet, pc e piattaforme di videogame. E infatti, agli effetti della pandemia si penserà, in un primo momento: «Avevo notato qualche cambiamento - dirà una mamma agli investigatori - come qualche problema del sonno o un po' più di irrequietezza, ma diedi la colpa al lockdown».
I genitori sono nella stanza accanto, ma il videogame spalanca universi digitali a loro ignoti. Di più, nella modalità del gioco online, in rete, quella che consente di combattere negli scenari di Fortnite - «Salva il mondo» o «Battaglia reale» - insieme ad altri ragazzini, anche conosciuti casualmente. Con i quali, come accade per tanti altri famosi titoli, una chat consente di comunicare. È in quel modo che il giovane di 17 anni s' infila, conoscendo un piccolo gruppo di bambini, residenti nel torinese e in Piemonte: fiducia e confidenza, crescenti, fanno spostare la conversazione su altri social.
Da TikTok a Instagram, fino a WhatsApp, come ricostruiranno le indagini coordinate dal commissario capo della Polizia (a Rivoli) Marilina Castaldo. Lo sconosciuto s' è fatto (quasi) amico, con l' attrazione che sempre i più grandi esercitano sui pre-adolescenti. Magari la prima richiesta è insospettabile: «Dai, mandami un video divertente». Poi, a un certo punto, il tono cambia, tra uno smile con i cuoricini o un «ti amo».
Fino all' invio di un' immagine palesemente sessuale da parte del diciassettenne. Con la domanda di fare altrettanto: «Me ne mandi una tua?». Dietro la promessa di soldi, in contanti, o ricompense sotto forma di ricariche telefoniche. Il rifiuto non è contemplato, perché in quel caso, ecco le minacce: «Ti vengo a prendere e ti faccio male».
Per un bimbo di 10 anni è un messaggio terrificante. Così, spuntano immagini e video, prodotti dai bambini, nelle loro camerette.
A scoprire il gioco virtuale che si era fatto incubo reale è stata la mamma di una delle piccole vittime, nei primi giorni di luglio. Dopo aver visto quel messaggio, racconterà ai poliziotti: «Era una frase dai toni per lo meno strani, di certo inusuali, per una conversazione tra bambini». Incuriosita, e non meno allarmata, si era letta tutta la chat, scoprendo un mondo che mai avrebbe immaginato. Il mattino dopo era negli uffici del Commissariato di Rivoli, per denunciare tutto.
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