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LA LINGUA PIEGATA AL POLITICAMENTE CORRETTO - LA TRECCANI MANDA IN PENSIONE IL TERMINE "VU CUMPRÀ", USATO PER DESCRIVERE I VENDITORI AMBULANTI IN SPIAGGIA: È UN’ESPRESSIONE CONSIDERATA RAZZISTA - MATTIOLI: “IN UN MONDO DOVE ORMAI PERFINO OTELLO COMPARE IN SCENA PIÙ BIANCO DI UN GIGLIO E TUTTI SONO DIVENTATI 'DIVERSAMENTE QUALCOSA', DIVERSAMENTE ALTI, ABILI, BELLI, L’USO DI “VU CUMPRÀ” NON È PIÙ LESSICALMENTE ACCETTABILE. È PIÙ FACILE SENTIR PARLARE DI UN “ROSARIO”, CIOÈ DEL “BANGLA” O DEL “PAKI” CHE VUOLE VENDERTI LE ROSE…”

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Estratto dell’articolo di Alberto Mattioli per www.quotidiano.net

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[…] I diversamente giovani ricorderanno l’imperversare di “vu cumprà” e delle sue infinite varianti, “vu’ cumprà”, “vù cumprà”, “vucumprà”, “vuccumprà” e perfino “vo’ cumprà” (quasi stilnovistico): anni Ottanta in purezza, come il pentapartito, le spalline delle giacche, la Milano da bere e le “Domeniche in” di Baudo.

 

All’epoca, fu un’espressione più inflazionata della lira, poi rimossa dai media in quanto politicamente scorretta, razzista, colonialista, e chi più ne ha più ne accusi. Adesso un dotto saggio di Rocco Luigi Nichil ne ripercorre ascesa e caduta in “R&S – Ricerca e soccorso. Piccolo dizionario di parole migranti” sulla rivista “Lingua italiana” della Treccani, dunque autorevole. E, come sempre, una parola inventata per definire gli altri, i migranti che vendevano merce taroccata sulle spiagge, racconta in realtà soprattutto noi che l’abbiamo inventata.

 

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Tutto nasce, come spesso capita, in Romagna. È l’estate del 1986 e le amate sponde sembrano invase da torme di venditori ambulanti e abusivi. […] Indi proteste dei commercianti, polemiche, controlli delle forze dell’ordine e i giornali che fanno il loro mestiere: raccontano. Il termine “vu cumprà” è certificato dall’agosto 1986 sul “Resto del Carlino” e sulla “Stampa” e, come tutti i neologismi azzeccati, diventa subito d’abuso comune.

 

Nemmeno un anno, ed è già registrato da Claudio Quarantotto nel suo “Dizionario del nuovo italiano”: “vucumprà (o vu cumprà) s.m. Venditore ambulante, gen. negro, così detto per il caratteristico invito che rivolge agli eventuali acquirenti”. Per inciso, oggi quel “nero” con l’aggiunta di una “g” comporterebbe il linciaggio mediatico immediato. Poi arrivano il Devoto-Oli, il Garzanti, il Gabrielli. […]

 

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Nel 1988, su Italia1, quel genio del male di Antonio Ricci piazza alla conduzione de “L’araba fenice” un vero “vu cumprà” marocchino, Mazouz M’ Barek in arte Patrick che, come chiunque nel suo quarto d’ora di celebrità, incide subito anche un disco, “Viva vu cumprà”. Stesso anno, nel film balneare “Rimini Rimini un anno dopo”, Gianfranco D’Angelo si esibisce nella macchietta del venditore africano Alì, una spremuta di stereotipi che non si vedeva dai tempi gloriosi di Totò ambasciatore del Catonga con l’anello al naso in “Totò truffa ‘62” (che però faceva molto più ridere, anzi lo fa tuttora).

 

Ma poi arriva l’ondata politicamente corretta degli anni Novanta. “Vu cumprà” è ormai un’espressione razzista, anche se qui sembra molto più creativo definire “risorse” gli immigrati, secondo un’indimenticabile definizione dell’ormai dimenticata Laura Boldrini.

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In un mondo dove ormai perfino Otello compare in scena più bianco di un giglio e tutti sono diventati diversamente qualcosa, diversamente alti, diversamente abili, diversamente belli (ma molti, ahimè, restano diversamente intelligenti), l’uso di “vu cumprà” non è più lessicalmente accettabile, almeno in pubblico e dentro l’arco costituzionale. È più facile sentir parlare di un “Rosario”, cioè del “bangla” o del “paki” che vuole venderti le rose (che poi naturalmente finiamo tutti per comprare, siamo pur sempre italiani, brava gente che parla male ma razzola – forse - bene…).

 

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