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Antonella Piperno per “Panorama” - da Il Foglio del lunedì
Alcuni le chiamano «le assopigliatutto », altri preferiscono definirle come vincitrici di un «win-for-life da fine matrimonio». Tra gli avvocati i neologismi sulle donne separate sono sempre più feroci. Del resto, un’agenzia d’investigazione privata ha da poco lanciato uno spot dove un uomo racconta di avere comprato una nuova auto dopo essere riuscito a ridurre l’assegno all’ex moglie che, «si è scoperto, aveva due lavori in nero».
NESTING OVVERO SEPARATI IN CASA
Al maschio della finzione pubblicitaria è andata decisamente bene. Perché per parecchi ex mariti «l’auto è diventata la nuova casa»: così dice la presidente dell’Associazione padri separati, Tiziana Franchi, certa che «se non si sentissero così tutelate dai tribunali, le donne spingerebbero meno per la separazione, visto che il 70 per cento delle iniziative parte da loro».
Il baratro in cui finiscono tanti separati è ribadito anche dall’ultima indagine del Centro studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica: segnala che un terzo dei padri separati, pagato l’assegno di mantenimento a ex mogli e figli, può contare su un reddito residuo che va dai 300 ai 700 euro netti mensili. Il 17 per cento deve accontentarsi di una cifra che oscilla dai 100 ai 300 euro.
Ma c’è un 15 per cento cui restano in tasca meno di 100 euro al mese. Secondo l’Istat, nel 2012 (ultimo dato disponibile) la media degli assegni di mantenimento di una ex moglie era di 496 euro mensili lordi, quello di un figlio 521 euro. Dati comunque alti, ma sicuramente inferiori a quel che è la media reale, visto che l’Istat segnala in nota di avere considerato «solo gli importi mensili pari o superiori a 25 euro e inferiori a 10 mila euro », il che di fatto significa avere imposto l’eliminazione dalla statistica dei soli assegni più elevati.
NESTING OVVERO SEPARATI IN CASA
Le storie tragiche di maschi italiani impoveriti nel conto e nel rapporto con i figli sono ormai una realtà consolidata, esattamente come quella di ex mogli a terra perché non ricevono assegni per la prole da chi, invece, potrebbe permetterseli eccome. Ma oggi la situazione dei primi ha assunto i contorni dell’emergenza, con un numero crescente di separati e divorziati in fila davanti alle mense dei poveri, o in lista per avere un alloggio temporaneo dal Comune.
Le cause sono essenzialmente tre: il fallimento della legge 54 del 2006 sull’affido condiviso, la crisi economica che morde, e gli affitti inavvicinabili. Partiamo dalla prima causa. In questo caso, le cifre ufficiali non parlano chiaro: nel 2004 l’84 per cento dei figli era affidato alla madre, mentre oggi formalmente primeggia l’affido condiviso con l’89,9. Tutti felici della conclamata «bigenitorialità»?
Per nulla, come spiega a Panorama il presidente dell’Associazione avvocati matrimonialisti italiani, Gian Ettore Gassani (che sul tema ha scritto anche I perplessi sposi, Aliberti editore): perché il 92 per cento delle madri protagoniste dell’affido condiviso sono «collocatarie», quindi in realtà tengono i figli con sé. Esattamente come l’appartamento.
Con la nuova legge, insomma, i padri partecipando alla decisione su medici, vacanze o sport, ma continuano a vedere i figli a weekend alternati e uno o due pomeriggi alla settimana. Con un disastroso effetto sulle finanze: «Drammi affettivi a parte, chi ottiene i figli ha anche la casa e gli assegni di mantenimento, e non è neanche obbligato a rendicontare le spese» dice Gassani.
«Oggi la separazione è roba per coppie ricche, quelle con i mariti che arrivano a trasferire società per risultare nullatenenti e mogli che pensano già al divorzio in viaggio di nozze, raccogliendo fatture di hotel e tutto quel che può comprovare un certo tenore di vita. Ma difficilmente uno dei due andrà sul lastrico».
A fine gennaio la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sul concetto del «tenore di vita» da mantenere al coniuge «debole» anche dopo il divorzio, ha confermato quel che la Cassazione ha più volte stabilito: e cioè che il tenore di vita non è l’unico parametro per calcolare l’assegno. I matrimonialisti sperano faccia scuola. Ma intanto, continua Gassani, «un impiegato che si separa è un uomo morto». Perché il più delle volte perde la casa in cui vivono mamma e figli, continuando a pagare in proporzione tasse e spese, e in più deve mantenerli e trovarsi anche un appartamento in affitto.
È per questo che, sui 2 milioni di padri separati, in 500 mila sono tornati a vivere dai loro genitori: li chiamano «boomerang kid». Anche se sarebbero ben felici di occuparsi dei loro figli diventando collocatari. E invece non è raro che li vedano col contagocce. È successo a Maurizio C., barese, 47 anni, webdesigner: nel 2011, racconta, la sua ex si è trasferita a Verona con i figli che oggi hanno 11 e 9 anni, con l’accordo che si sarebbero incontrati a metà strada una volta al mese.
«Ma presto la mia ex moglie ha iniziato a far saltare gli incontri». Dopo tre ricorsi caduti nel vuoto, insieme alla richiesta di rivedere l’assegno di 1.100 euro «perché ho perso il lavoro e ora lei guadagna più di me», Maurizio ha ceduto: «Spero di ricomporre il rapporto con i miei figli quando saranno più grandi» sospira. Le ricadute psicologiche spesso sono davvero drammatiche. Racconta la psicoterapeuta Gianna Schelotto: «Ho in cura ex coniugi costretti a farsi aiutare dai genitori, devastati quando i figli finiscono in un’altra città. Si sentono sconfitti e perdenti, soprattutto rispetto ai bambini».
Servirebbero politiche nazionali per il problema abitativo, suggeriscono gli addetti ai lavori, ma anche un salto culturale dei tribunali: «Oggi un padre può essere anche un premio Nobel, ma difficilmente i giudici lo riterranno in grado di badare ai figli da genitore collocatario» dice Gassani. Le aule di giustizia, insomma, sembrano rivestite di muri di gomma culturali: «I giudici raramente esaminano casi concreti, prevalgono criteri standardizzati e calendari di frequentazioni simili a quelli di 30 anni fa» osserva Francesco Morcavallo, avvocato di famiglia a Roma e fino a due anni fa giudice minorile.
«Dovrebbero perderci un po’ più di tempo, affidarsi meno ai consulenti tecnici e soprattutto liberarsi del retaggio storico che tende a negare la parità dei ruoli». Eppure, in Italia siamo così indietro che per il 14 marzo, un giorno esattamente a metà strada tra la festa della donna e quella del papà, l’Associazione padri separati organizzerà un volantinaggio di sensibilizzazione davanti al Tribunale di Bologna, nel nord Europa la bigenitorialità è già realtà.
Spiega Marcello Adriano Mazzola, responsabile dell’ufficio legale dell’Adiantum, che raggruppa le associazioni nazionali per la tutela dei minori: «In Olanda, Svezia e Danimarca una coppia che si separa vende la casa comune per acquistarne due, frequentate dai figli equamente. Qui invece i giudici sono fermi alla divisione di ruoli da anni Sessanta: la donna appare quasi sempre come vittima, l’uomo colpevole». Con una scala di drammaticità infinita: figli usati come armi di ricatto per ottenere assegni più cospicui, denunce e pignoramenti.
Fino ad arrivare ai casi estremi, spiega Mazzola, di quelle donne che «puntando a liberarsi per sempre dell’ex», ricorrono alla «pallottola d’argento»: l’accusa di abusi sessuali. Arriva all’86 per cento la quota di denunce di abusi sessuali contro uomini che deriva da una causa di separazione. In attesa delle indagini, i giudici spesso interrompono la frequentazione padre-figlio, anche se poi la quasi totalità dei procedimenti (oltre il 92 per cento) viene archiviata.
Ma è davvero così? Donne spietate e tribunali schierati da una parte, maschi vittime e associazioni che li assistono dall’altra? Monica Velletti, giudice della prima sezione civile del Tribunale di Roma, difende la categoria ma conferma la tesi: «Noi dobbiamo prendere atto dell’organizzazione sociale. Oggi sono ancora le donne ad avere occupazioni meno impegnative e meno retribuite. Se devo pensare di collocare un figlio da un padre che poi lo affiderà alla baby sitter, io scelgo la madre».
Le genitrici davanti a tutto, insomma: «Tanti padri rimasti senza lavoro chiedono la sospensione dell’assegno» continua la giudice. «Ma io devo pensare a chi ai figli deve preparare da mangiare». E ai padri consiglia: «Organizzatevi, fatevi aiutare». Sullo stesso piano si pongono Chiara Saraceno, sociologa della famiglia, e l’avvocato Simona Napolitani, responsabile dell’associazione Codice donna, convinta che siano comunque le donne quelle che s’impoveriscono di più dopo la separazione «perché, gravate dalla quotidianità familiare, fanno fatica a trovare lavoro e comunque guadagnano meno».
Una guerra dei Roses tra (nuovi) poveri. Spiega Saraceno: «Le donne sono abituate a riorganizzarsi, mentre con la separazione gli uomini perdono il ritmo della vita, si destrutturano. Non sanno cavarsela». Claudio D., 51 anni, bolognese, ci sta provando: ex benestante advisor finanziario, dopo una separazione cruenta condita da una serie d’infondate denunce per inidoneità genitoriale e insistenti richieste di revisione dell’assegno, è costretto a vivere dalla madre. «E attingo ai risparmi di mio padre» confessa con vergogna. Giura che non si risposerà più: «Forse all’estero. In Italia no, equivale a impiccarsi».
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