
DAGOREPORT - COME È RIUSCITO IL FUNERALE DI UN SOVRANO CATTOLICO A CATTURARE DEVOTI E ATEI, LAICI E…
1 - IL PRIMO CASO DI EBOLA IN EUROPA INFERMIERA SPAGNOLA COLPITA DAL VIRUS
Andrea Nicastro per il “Corriere della Sera”
Ebola ha lasciato l’Africa e riesce a trasmettersi anche in Europa. È successo per la prima volta a Madrid, a un’infermiera entrata in contatto con un missionario malato. Il religioso, Manuel García Viejo, era stato rimpatriato dalla Sierra Leone quando già i sintomi del virus erano evidenti. Ha lottato contro il male pochi giorni, quindi ha ceduto morendo undici giorni fa, il 26 settembre.
Tutti sapevano della pericolosità del virus che ad oggi ha contagiato più di 7mila persone e ne ha uccise più della metà. Tutti erano preparati per proteggersene quando García Viejo è sceso dall’aereo che lo portava a casa dall’Africa. Eppure la gabbia di contenzione non è bastata. Un’infermiera di 44 anni che è entrata appena due volte nella sua stanza d’isolamento all’ospedale La Paz Carlo III della capitale spagnola si è ammalata.
La ministra della Sanità Ana Mato, tesissima, garantisce che la salute pubblica spagnola è all’altezza del compito, che Madrid partecipa ai piani di prevenzione sin da quando Ebola, l’8 agosto, è stato dichiarato emergenza internazionale. Garantisce, infine, che tutti i protocolli di sicurezza sono stati rispettati: doppi guanti, tute di protezione, maschere. Ma invece di rassicurare, la ministra spaventa perché, evidentemente, il virus ha beffato ogni precauzione.
Di fatto, Ebola si è propagato in ospedale e, senza che nessuno lo immaginasse, ne è uscito, nel sangue dell’infermiera. È stato in metropolitana con lei, al supermercato, a casa di amici, con altri pazienti e colleghi. Ieri, a 10 giorni dalla morte del missionario, a 14 giorni dal suo arrivo in Spagna, il virus si è rivelato con una febbre altissima e due test hanno confermato il contagio.
Ma già dal 30 settembre la donna aveva qualche linea di febbre. Correttamente, secondo le norme di sicurezza, aveva avvertito l’ufficio rischi del proprio ospedale. Non le hanno suggerito nulla se non misurarsi la febbre. Per sei giorni la temperatura non è mai salita oltre i 38,6 che sono la soglia di allarme ufficiale per il riconoscimento di Ebola. Sei giorni in cui l’infermiera ha continuato le sue vacanze iniziate all’indomani della morte del religioso.
Secondo gli studiosi, un malato di Ebola è contagioso solo durante la fase sintomatica. Ma quando il 30 settembre la febbre ha cominciato a salire, il virus poteva già trasmettersi? Solo ieri, con la febbre ormai abbondantemente sopra i 38,6 gradi è scattato il ricovero e le vere misure precauzionali.
Com’è arrivata al pronto soccorso dell’ospedale di Alcorcon? In metrò? In auto? In taxi?
Perché ha scelto quell’ospedale e non il suo, il Carlo III? Ad Alcorcon, alcuni sanitari dicono che la malata europea numero uno non è stata accolta con precauzioni particolari. Al Carlo III, invece, c’è chi critica l’attrezzatura anti contagio sostenendo che guanti e tuta sono legati da un sistema poco pratico di nastri adesivi.
Il ministero della Sanità rivela che ora le persone poste in osservazione epidemiologica sono almeno 34. Trenta sono i colleghi dell’infermiera che accudirono il missionario malato. A loro vanno aggiunti il medico e i due infermieri del pronto soccorso di Alcorcon. Ultimo, ma forse quello a maggior rischio, il marito della donna. La lista però potrà allungarsi nelle prossime ore per includere tutti coloro che sono entrati a contatto con la malata europea numero uno dal 30 settembre, quando in ferie, aveva solo poche linee di febbre.
2 - ALLARM E EBOLA A MADRID, SECONDO CASO DI CONTAGIO
Da Ansa.it
Allerta a Madrid. Sono quattro le persone ricoverate all'ospedale madrileno Carlo III-La Paz per ebola: oltre all'infermiera ausiliaria di 44 anni, ricoverata ieri mattina con una diagnosi conclamata, ci sono altre tre persone sotto osservazione. E' quanto ha detto oggi il gestore dell'ospedale, Rafael Perez-Santamarina, in una conferenza stampa.
Anche il secondo caso riguarda un'infermiera dell'ospedale Carlo III. La donna si è messa ieri in contatto con il servizio di emergenza della comunità, per sintomi di febbre. Trasferita nello stesso nosocomio, dove sono stati assistiti i due missionari spagnoli rimpatriati dalla Sierra Leone e poi deceduti, l'infermiera è stata messa in isolamento e sottoposta agli esami per la conferma della diagnosi. Se dovesse confermarsi, si tratterebbe del secondo caso di contagio in Spagna e al di fuori dell'Africa, dopo l'infermiera di 44 anni ricoverata domenica mattina per ebola.
La Commissione Ue ha chiesto "chiarimenti" al governo spagnolo per individuare la falla nel suo sistema sanitario che ha permesso il contagio del virus Ebola di una infermiera in un ospedale di Madrid al di fuori dell'Africa. Lo ha detto il portavoce Ue, Frédéric Vincent.
Il ministero della sanità sta cercando di individuare le "fonti del contagio" del'infermiera di 44 anni di Madrid, il primo in Europa, che nella notte è stata trasferita dall'ospedale di Alcorcon al Carlo III-La Paz, nel reparto dove erano stati ricoverati i due missionari spagnoli rimpatriati dall'Africa e deceduti il 12 agosto e il 26 settembre scorsi. Lo si apprende da fonti sanitarie.
L'ausiliare di infermeria, che è in condizioni stabili e con la febbre alta, faceva parte dell'equipe di sanitari che ha assistito Miguel Pajares, di 75 anni, e Manuel Garcia Viejo, di 69 anni, entrambi religiosi dell'ordine di San Juan de Dios, rimpatriati dopo aver contratto il virus in Sierra Leone.
La donna, sposata e senza figli, dal 26 settembre - data della morte di Garcia Viejo - era andata in vacanza, conducendo una vita normale. Ma dal 30 settembre scorso aveva registrato sintomi come febbre e distonia, che ne avrebbero consigliato l'immediata applicazione del protocollo di isolamento.
"Esiste la possibilità che qualcuna delle persone entrate in contatto con lei si siano infettate", ha riconosciuto in dichiarazioni a radio Cadena Ser il coordinatore del Centro di Allerta ed emergenze del ministero della Sanità, Fernando Simon.
"Questo non comporta rischi per la popolazione, ma dobbiamo garantire che questa situazione non torni a prodursi", ha aggiunto. Secondo il responsabile sanitario, "esiste la possibilità di contagio", che "è bassa, ma esiste".
Il coordinatore del Centro emergenze del ministero della Sanità spagnolo ha confermato che si sta redigendo una lista delle persone entrate in contatto con l'infermiera per porle in isolamento, così come già fatto con il marito della donna, durante i 21 giorni in cui possono svilupparsi i sintomi dell'infezione.
Lorenzin, chiesto aumento fondi controlli frontiera ?Abbiamo chiesto un aumento fondi nella legge di Stabilità da destinareßall'Usmaf", gli uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera del Ministero della salute,ß"al fine di aumentare i controlli presso porti e aeroporti".ßLo ha detto il ministro della Salute Beatrice Lorenzin nel corso dell'audizione in Commissioni riunite Esteri e Affari Sociali della Camera dei Deputati.
C'è "l'esigenza di unßrafforzamento dei sistemi di controllo", secondo Lorenzin, "non abbiamo bisogno di allarmismi ma di misure di sicurezza e informazione". Il tema della salute, ha sottolineato "è un tema globale". "Sars, Mers,ßresistenza agli antibiotici, poliomielite in Siria, ßmeningite dall'est Europa" sono esempi di come il rischio viaggi, oggi "a livello globale". Per questo è "fondamentale unaßsorveglianza epidemiologica a livello globale", nell'ambito della quale "anche il tema della vaccinazione di massa è importantissimo".
3 - L’EPIDEMIA AVANZA: IN SIERRA LEONE 121 MORTI IN UN GIORNO
Michele Farina per il “Corriere della Sera”
In 40 ruotano giustamente intorno al letto di Ashoka Mukpo, il giornalista americano che lotta per la vita in un ospedale del Nebraska dopo essersi infettato in Africa. La Sierra Leone, 5 milioni di abitanti, ha più o meno lo stesso numero di medici: 40 per tutto il Paese. Quanto al virus, il ministro della Sanità di Freetown ha contato 121 vittime e 81 nuovi casi in un giorno solo: sabato scorso. Immaginate un titolo e una foto per ciascuno. Pensate che persino un funerale è un sogno impossibile per gli appestati africani di Ebola.
I morti si fanno sparire in fretta in Liberia, Sierra Leone e Guinea, i tre piccoli vicini colpiti da un’epidemia cominciata in sordina nel dicembre scorso. Sepolture senza cerimonia né parenti. E se esiste un inceneritore, come a Monrovia dove la comunità indiana ha messo a disposizione il suo, ci sono pire collettive da smaltire la notte quando il fumo svanisce senza dare nell’occhio.
Per i malati non ci sono abbastanza letti, figuriamoci se si può contare su un numero sufficiente (quattro per malato è l’ideale) di operatori scafandrati. Ci sono contagiati che agonizzano nelle case, lungo le strade, rifiutati dalle strutture per mancanza di posti. Gli Usa mandano migliaia di soldati per costruire venti ospedali da campo, la Francia ha promesso 70 milioni di aiuti (l’Italia 5), la Gran Bretagna costruisce centri di trattamento.
Ma tutto il poco che arriva è troppo lento rispetto all’accelerazione del virus: servirebbero infermieri più che soldati, capitale umano e non solo finanziario come denuncia Medici Senza Frontiere che finora ha trattato circa il 60% dei malati nella regione.
Con quel nome di fiume africano che viene da una regione del Congo dove nel 1976 si è fatto conoscere al mondo, Ebola ci ha messo anni per raggiungere la prima vittima in Africa Occidentale: un bambino di 2 anni infettato da un incontro casuale con un pipistrello della frutta (vettore sano) in una foresta della Guinea.
Nei primi mesi del 2014 si è spostato nei villaggi e nelle città, seguendo le vie dei funerali quando ancora si tenevano, attraversando frontiere che significano poco per comunità abituate a spostarsi: fino a pochi anni fa per sfuggire alle guerre, adesso per il commercio e le visite familiari. Si è diffuso contando sulla mancanza di strutture sanitarie, sul sospetto che non fosse un’emergenza ma un’invenzione dei governi per ottenere soldi o sterminare rivali, sul vuoto in cui sono caduti gli appelli alla comunità internazionale e agli altri Paesi africani, prima di assumere l’estate scorsa un passo letale.
Gran parte delle compagnie aeree ha interrotto i voli da e per Ebolaland. I governi cercano di fermare il virus isolando le persone. Con il coprifuoco, lo stop ai campionati di calcio, la chiusura delle scuole. Fa più rabbia o tenerezza sapere che la gente se può usa le maniche lunghe? Anche il sudore è una via di contagio. Niente baci o strette di mano. « Don’t touch » è la parola d’ordine che hanno imparato tutti i bambini. Eppure Ebola continua a uccidere in Africa: centinaia di persone in un giorno solo.
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