L’intervento dell’Enac
Visto l’andazzo l’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) ha detto basta. Venerdì ha avvertito le aviolinee che operano in Italia. Ieri ha comunicato di aver avviato «alcune istruttorie per l’erogazione di sanzioni» nei confronti di quelle «che non applicano il regolamento europeo» che prevede — in caso di cancellazioni e mancata informativa — la riprotezione, il rimborso («non il voucher») e la compensazione («ove dovuta»).
Secondo l’Enac — che al Corriere non ha voluto dare una lista di vettori sotto osservazione — i voli non possono saltare a causa del coronavirus perché «dal 3 giugno sono state rimosse le restrizioni alla circolazione delle persone» in Italia, nell’area Schengen, nel Regno Unito. Quindi l’accusa: si tratta di «cancellazioni operate per scelte commerciali e imprenditoriali».
«Troppi voli»
«Ci sono molti voli che vengono tolti dai sistemi di prenotazione anche a sette giorni dalla partenza», spiega via e-mail John Grant, analista della società specializzata Oag. «Guardando all’Italia ci sono 2.513 voli previsti questa settimana e 4.500 la prossima, ma è evidente che si tratta di un tasso di crescita improbabile dato il modesto incremento della domanda che stiamo registrando». Insomma: ancora troppi sedili e pochi clienti. Il Corriere ha contattato diverse compagnie, ma non tutte hanno risposto. EasyJet conferma di aver avviato «l’allineamento dei sistemi con le nuove disposizioni» offrendo anche il rimborso, oltre alla riprotezione su un altro volo e al voucher (con un bonus di 10 euro).
Il vettore tricolore
Lo stesso sta facendo Alitalia che sta «aggiornando le modalità di ri-prenotazione e rimborso». I passeggeri dei voli cancellati dal 3 giugno al 30 settembre potranno scegliere un altro collegamento, optare per un buono maggiorato di 15 euro per le rotte nazionali ed europee e di 60 euro per quelle intercontinentali oppure chiedere il rimborso (vale anche per chi ha biglietti da/per Trapani e Trieste). Fuori Italia per ora è una giungla.
«Le compagnie ovviamente preferiscono tenersi i soldi e dare i voucher», sottolinea Grant. Toccherebbe alla Commissione europea decidere cosa fare e in fretta. «Ma vista la velocità con la quale l’Ue lavora forse rischiamo di dover aspettare fino al Covid-23».