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Estratto dell’articolo di Massimo Gaggi per www.corriere.it
VIGNETTA DI ANN TELNAES CENSURATA DAL WASHINGTON POST
Il Washington Post, quotidiano di proprietà di Jeff Bezos, non pubblica una vignetta nella quale Ann Telnaes trasforma in satira abrasiva la corsa dei tycoon della tecnologia, un tempo nemici giurati di Donald Trump, ad ingraziarsi il nuovo presidente degli Stati Uniti: disegna lo stesso Bezos di Amazon, Sam Altman di OpenAI, Mark Zuckerberg di Meta-Facebook, il proprietario del Los Angeles Times Patrick Soon-Shiong, inginocchiati, insieme a Topolino, davanti a una statua di Trump alla quale offrono sacchi di dollari.
La disegnatrice, collaboratrice del Post dal 2008 e vincitrice di un premio Pulitzer reagisce alla censura dimettendosi dal quotidiano e rendendo noto, su internet, il caso e la vignetta che fa il giro del mondo. David Shipley, direttore delle pagine dei commenti del giornale della capitale che si considera un baluardo della democrazia americana, dapprima dice di «dissentire dalla interpretazione degli eventi» di Telneas.
Ma lei, nel denunciare il rifiuto della vignetta come «una svolta epocale e pericolosa per la stampa libera», spiega che in tanti anni ha avuto discussioni e anche contrasti coi responsabili editoriali del quotidiano, «ma mai, fino ad oggi, un disegno era stato respinto per via dei personaggi e fatti che prendo di mira».
A quel punto Shipley aggiunge di aver bloccato la vignetta perché il quotidiano aveva pubblicato di recente un editoriale sullo stesso argomento e si apprestava a pubblicarne un altro, stavolta satirico: «Il mio pregiudizio era solo contro la ripetizione del messaggio».
[…] I personaggi ritratti dalla Talnaes sono andati alla corte di Trump, hanno donato, hanno vietato ai loro giornali di dare l’endorsement a Kamala Harris (Bezos e Soon-Shiong) mentre Topolino, steso davanti a Donald, sta lì a ricordare che la Disney ha preferito chiudere una controversia fra Trump e la sua rete tv Abc, riconoscendo il torto e versandogli danni per 15 milioni di dollari, anziché sostenere la correttezza del suo operato in sede giudiziaria, come fatto in passato. […]
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