Emanuela Audisio per la Repubblica
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A volte capita. Che lo sport torni ad essere una partita dove ci si strattona. In modo energico. Senza la paura di stancarsi. Alla Sinner, insomma. Un gioco da bambini grandi. Smisurati di testa e di fisico. Senza carezze. Dove non c'entra il dover difendere il proprio piedistallo, tenere in vita il passato, aumentare il peso della gloria, riparare le cicatrici e il destino. Niente cianfrusaglie, nessun conto da pagare, qui c'è solo freschezza. E conta solo duellare, sfidarsi, senza paura di cadere.
L'avventura di crescere è tutta qui: andare in cerca di tempeste e non di ripari. Jannik Sinner a 19 anni e 230 giorni stasera è in finale a Miami, al primo Masters 1000 che gioca sul cemento. Se vincerà da domani sarà n. 14 del mondo, altrimenti 22. Non male per un ragazzino.
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Il suo avversario è il polacco Hubert Hurkacz, n. 37 nella classifica Atp, 24 anni, 8 cm più alto, con cui non esistono precedenti. Hubert viene da una famiglia (benestante) di sportivi, ha un bel servizio, a Miami ha battuto 4 top 20 e ha vinto due tornei. I due ragazzi sono molto amici, si conoscono, a Dubai hanno giocato il doppio insieme. Nessun problema, nessuno sconforto psicologico, agli amici si fa comunque male, tanto è un gioco.
Sinner: «Hurkacz è una bravissima persona, forse il migliore amico che ho nel circuito. Qualche volta ci alleniamo insieme, anche in spogliatoio ogni tanto parliamo. Mi ha scaldato prima dei quarti, proviamo ad aiutarci un po'. Alla fine ognuno però deve fare il suo, in finale non c'è spazio per l'amicizia, sono sicuro che anche lui la pensa così. In questo sport il vincitore è solo uno». E tutti a chiedersi: ma da dove viene uno così? Dove trova questa lucidità? In campo e fuori. Perché Sinner dal fondo è il braccio armato dal tennis, molla schiaffi uno più pesante dell'altro, non cerca respiro, ma altre accelerazioni.
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Ha ragione il kazako Alexander Bublik ad avergli urlato: «Non sei umano»? E già, Jannik nato a San Candido, provincia di Bolzano, profondo Nord, inizio con gli sci in slalom gigante, ha come sfondo le stesse montagne di Armin Zöggeler da Merano, il Replicante dello slittino, capace a 20 anni di esordire con un bronzo ai Giochi di Lillehammer e di salire sul podio in tutte le sei Olimpiadi. Per non parlare di Gustavo Thoeni di Trafoi, Stelvio, che a 18 anni si aggiudica la sua prima Coppa del Mondo di gigante, che ai Giochi di Sapporo '72 vince l'oro nello sci alpino e a 107 domande risponde 84 volte con un monosillabo.
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E poi il tuffatore Klaus Dibiasi cresciuto a Bolzano che a 17 anni nella piattaforma si prende l'argento ai Giochi '64. Come Sinner, tutti precoci, ragazzini terribili, di poche parole, sì, no, gente di montagna, mite, solida, considerata nello sport quasi anti-italiana per i pochi vizi, per il non piangersi addosso, per non maledire il tempo, il caso, la sfortuna. Testarda nel non voler mollare la presa, nel pensare che il successo non si concede ai libertini e che la speranza va meritata. Non va' dove ti porta il cuore , ma dove ti spinge la forza e la testa. Ma Sinner a 13 anni ha lasciato quel mondo e la famiglia, si è trasferito al mare di Bordighera, in Liguria, per costruirsi e riscaldarsi. Non è un robot, è solo un tennista moderno.
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Rabbioso come tutti gli adolescenti che picchiano sempre più forte la palla contro il muro, pronti a fare a braccio di ferro con il mondo, convinti che prima o poi cederà. Basta solo un colpo in più, e se non è stavolta sarà la prossima. Se perde punti, come ha fatto 59 volte con Agut, li recupera. Non cerca il dialogo, ma la riga, è ossessivo, vuole l'affermazione. Nel suo audio i rumori della vita sono lontani, ci sono solo quelli del campo. Resta che Federer a 20 anni e 7 mesi a Miami nel 2002 perse in finale da Agassi, e Nadal a 18 anni e 9 mesi nel 2005 fu sconfitto da Federer. Resta che dal '90, nei Masters 1000, solo un giocatore italiano, Fabio Fognini nel 2019 a Montecarlo, è arrivato in finale e l'ha vinta, proprio nel giorno di Pasqua.
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Resta che Sinner più che un altro del Nord è un altro della Next Gen azzurra, ormai nemmeno tanto next. C'è Filippo Ganna, c'è Benny Pilato, c'è in arrivo Larissa Iapichino, c'è una nuova gioventù che in molti sport avanza, senza lamenti, e prende il comando (non nella società). Non importa se vincerà, ma ha capito che per salire a certi livelli in un mondo allargato e anche affamato serve competitività, solidità, dedizione. Che a molti sembrerà disumana. E una squadra che ti aiuti nella preparazione e nel recupero.
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Inutile chiedersi se a Miami è nata una stella. Chiaro che Sinner è una luce forte e l'interruttore, anche con qualche intermittenza, resta nelle sue mani. E sarà molto bello in questa giornata di miracoli e di resurrezioni poter tornare a tifare per un ragazzo che quando batte l'avversario alza timidamente il pugno e poi dice: «Quando sei lì a pelare le patate, non vuol dire che proprio non sai cucinare ». No, per niente, tutti a tavola.
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