DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
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Francesco Battistini e Antonio Crispino per www.corriere.it
milano genova odissea in autostrada 4
«Guidate con prudenza», avverte il display. Ci prendono in giro? Prudenza, certo. E pure fortezza e temperanza e dio-solo-sà quante virtù cardinali ci vogliono per pazientare in coda a 32 gradi e a 4 chilometri l’ora e nel continuo dimagrire da tre corsie a due corsie a una corsia. Una volta, quando ci vantavamo nel mondo d’avere le autostrade più belle, un po’ come facevano i lombardi con la loro sanità, a quel tempo i pannelli luminosi si scusavano per il disagio e se non altro garantivano che stavano lavorando per noi.
Adesso, raccomandano solo prudenza a chi da un’ora è più immobile d’un appalto Anas.
Fin da Pavia si pensa al cantiere, fin da Alessandria si sente il cantiere: dietro una curva improvvisamente, come il mare d’Ivano Fossati, eccolo il cantiere. E la coda. Ci siamo. Quattro frecce, freno lieve, e Isoradio che alle 11,08 del mattino ci avverte di quello che ormai, grazie tante, ci stiamo sciroppando da mezz’oretta buona, «un rallentamento nell’allacciamento tra Masone e l’A10». Mettetevi comodi: «Tempo di percorrenza, due ore e venti minuti».
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Scene da un ingorgo. Il camionista portoghese che tira il freno a mano del suo veiculo longo — tanto dove dovete andare? — e scende a far pipì sulla massicciata. «Porto alimentari e devo arrivare al porto entro le quattro», dice Mario de Camoes, 26 anni, di Oporto: «È la terza volta che ritardo. Se non ce la faccio, Genova maledetta, stavolta mi mettono in disoccupazione». Il seriano Diego Tiraboschi che ha piantato previdente una canadese all’area di parcheggio Betulle, davanti alla sua Nissan, e pensando alle vacanze la prende bene: «Con quel che noi bergamaschi abbiamo passato quest’anno, chi se ne importa delle code…».
Carlo B. di Concorezzo, 75 anni, che narra le cinque ore impiegate l’altro giorno a raggiungere la sua casetta di Andora: «È stata mia moglie a chiamare Isoradio per informarli che eravamo tutti bloccati, loro mica lo sapevano…». E poi suo nipote Manolo, 26 anni, che ogni weekend mette in conto sei ore solo per fare Domodossola-Pietra Ligure. Venerdì, il serpentone ha acchiappato anche l’ex presidente del Genoa, Aldo Spinelli: «Ma è normale metterci un’ora e mezza per sei chilometri?».
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Che Nervi, e il riferimento non è al più bel lungomare di Genova. C’è Cristoforo Colombo che ci esplora da un cartellone pubblicitario del Museo del Mare, noi viaggiatori senza vento: non era meglio la bici elettrica, da Tortona a Santa Margherita, come ha fatto il sindaco di Milano una settimana fa? Hotel di prim’ordine e seconde case, tutto in Liguria è più vuoto: chi ha voglia d’incolonnarsi per mezza giornata e per qualche ora di spiaggia?
«Io ho messo i miei dipendenti in smart working, come nelle settimane del Covid, e a Genova non ci vengo proprio», spiega al telefono Gian Enzo Duci, 46 anni, il presidente degli agenti marittimi di tutt’Italia: «In questo weekend di solito c’era il picco delle code ai traghetti. Invece ora sono a mezzo servizio e le code sono in autostrada. Il post-pandemia qui non c’entra. Il problema dura almeno da dicembre, ed è drammatico se perfino i nostri associati più grandi, come i cinesi della Cosco, stanno pensando a porti e a percorsi alternativi».
Genova è una balena spiaggiata e anche il sindaco, Marco Bucci, avverte che non sa come far arrivare dal Basso Piemonte l’asfalto necessario a inaugurare il nuovo ponte: «Non mi posso permettere che stia quattro ore sotto il sole, altrimenti è da buttare via…».
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Il caos è la norma, su bitume e su rotaia. E siccome nei vagoni della Liguria non è obbligatorio il distanziamento, e in Lombardia invece sì, si vede anche questo: treni in marcia con altri treni che li seguono subito dopo, per raccattare nelle singole stazioni i passeggeri in eccesso, quelli costretti a scendere appena entrano in territorio lombardo.
«Senza strade e senza treni in Liguria non ci vieni» rima lo spray d’un lenzuolo appeso all’uscita di Masone. Quelli della valle Stura sono furibondi: tra frane e lavori in corso, l’A26 è impraticabile e ci sono fabbriche tipo la Baretto, che vive di trasporti eccezionali, obbligate alla semiparalisi e a far traballare cento posti di lavoro. «Con questi cantieri autostradali ci hanno isolati», guida la protesta alla rotonda il sindaco di Campo Ligure, Gianni Oliveri, 60 anni: «Mi chiedo che cos’abbiano fatto a Roma nei mesi della pandemia. Non si potevano fare allora, tutti questi lavori?».
Tira aria di complotto. Il governatore Toti si chiede se i cantieri servano solo in Liguria, visto che i ponti sono crollati anche in Lombardia e in Toscana. «Ci sono 285 gallerie da monitorare, 350mila metri quadri d’onduline da revisionare», dice polemico Massimo Schintu, che rappresenta i concessionari autostradali: «Benissimo. Ma queste ispezioni liguri valgono anche nel resto d’Italia? L’Anas le smonta, le onduline delle sue gallerie? E i Comuni e le Province le smontano?».
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All’uscita di Masone, la gente protesta coi fischietti e grida vergogna, fate schifo, la pazienza è finita. Quando girava «L’ingorgo», Comencini s’immaginava già quest’apocalisse stradale d’un Paese paralizzato e arrugginito. Però era quarant’anni fa. E sul jersey, lungo la colonna d’auto, lo sceneggiatore all’ultimo aveva appeso uno striscione che incoraggiava l’Italia. Anche a Masone ne hanno uno bianco e blu, per le auto che sfiorano il girone infernale dell’A26. C’è scritto: «Lasciate ogni speranza o voi che entrate…».
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