Gianmaria Tammaro per Dagospia
gianmaria tammaro
Siamo passati dalla televisione boutique, quella à la Hbo che ti confeziona, consiglia e mette sotto il naso la nuova serie tv del momento (“I Soprano”, “The Wire”, i più recenti “Trono di Spade”, “Sharp Objects”, e anche l’italo-americana “Amica geniale”), al supermercato di Netflix e Amazon, dove non sai da dove iniziare, cosa guardare e soprattutto, ecco, perché guardarlo.
Cominciamo da qui, allora: le dieci serie da vedere. Prima, però, una piccola premessa: in questa lista ci sono cartoon, crime, drama; ci sono serie antologiche, e mancano – lo noterete da soli – i grandi classici, quelli di cui tutti parlano (esempio: “Breaking Bad”, “Twin Peaks”, “Lost”). Il perché è abbastanza evidente: diamo per scontato che quelle le abbiate già viste, e proviamo a farvi vedere un’altra ala di questo magnifico supermercato, dove viene conservato il caviale migliore, il vino non riposa nel cartone, e c’è ancora di che sorprendersi.
“BOJACK HORSEMAN”
Forse qui siamo al limite tra “classico” e “non classico”. Non è alla prima stagione, e non è all’ultima. È un cartoon. Il protagonista, il BoJack del titolo, è un uomo-cavallo, stella del piccolo schermo degli anni Novanta, alcolizzato e tossicodipendente. Un depresso cronico.
BOJACK HORSEMAN
La sua storia è una metafora dello star system hollywoodiano (e, più in generale, della condizione umana): ci sono tante battute sugli attori e i registi, si mettono alla gogna luoghi comuni e si schiaccia l’acceleratore della creatività. È una di quelle serie che, a prescindere dal genere, tutti dovrebbero vedere almeno una volta. Si trova su Netflix.
“KIDDING”
Segna il ritorno della coppia Gondry-Carrey. In Italia è stata trasmessa l’anno scorso su Sky Atlantic, ora è disponibile su NowTv e Sky On Demand. Probabilmente è una delle serie più sottovalutate degli ultimi tempi. Non è “Se mi lasci ti cancello” (terribile traduzione italiana di “Eternal sunshine of the spotless mind”), ma riesce, per il tono, ad avvicinarglisi molto.
kidding jim carrey
Questa è la storia di un uomo, un papà che ha perso un figlio, e della sua vita che va in frantumi; è la storia di un presentatore di uno show per bambini, amato da tutti, considerato un buono, che all’improvviso, all’ennesima svolta negativa della sua vita, decide di cambiare: di provare ad essere cattivo. Provarci, però, non vuol dire riuscirci. È una delle migliori prove di Jim Carrey, che qui mette a disposizione di Michel Gondry tutto il suo plasticoso, e drammatico, talento.
“PEAKY BLINDERS”
Il nome di Steven Knight, probabilmente, vi dirà poco. È un regista-scrittore-produttore inglese che ha firmato un grande film della storia recente, “Locke”. Ha creato anche una serie, che si chiama “Peaky Blinders”, e che è probabilmente il crime in costume meglio riuscito degli ultimi – non esageriamo – quindici anni. Siamo nell’Inghilterra post-prima guerra mondiale, all’alba della nascita della criminalità organizzata (quella che poi, nei 90s, diventerà uno spunto per Guy Ritchie).
I protagonisti sono mezzi zingari, veterani di guerra, ammanicati nelle scommesse clandestine e nel business del racket. Il loro capo, Thomas Shelby, interpretato da Cillian Murphy, decide di portarli nel futuro: di prendersi Londra, e di scontrarsi con gli italiani e con gli ebrei. Si fanno chiamare “Peaky Blinders”. Su Netflix.
“PATRIOT”
Su Amazon Prime Video è da poco – relativamente poco, ecco – disponibile la seconda stagione. Il titolo, “Patriot”, dice tutto: il protagonista è un “patriota”, uno che fa l’assassino per i servizi segreti americani, e che per questo motivo è depresso. Vorrebbe fare ed essere altro. Ma non può. È condannato, costretto in una gabbia, un burattino nelle mani d’altri, incapace di riprendere il controllo e di essere finalmente quello che vuole essere.
“Patriot” è una serie (non tv, ma web, visto che va solo in streaming) che è riuscita in pochissimo tempo a ritagliarsi un pubblico e una fanbase, a imporsi come cult (e cosa, oggi, non è un cult?), e a portare altrove, in un terreno quasi inesplorato, la spy story: qualcosa che poi, con le dovute differenze, ha fatto anche “Barry”, comedy di Hbo, dove il protagonista è un ex-soldato, ora mercenario, che vuole fare l’attore.
“LA LINEA VERTICALE”
È una delle serie più belle del 2018; è scritta, e creata, da Mattia Torre, una delle migliori penne che ci sono oggi in Italia (per intenderci: è uno degli autori di “Boris”). La trovate in streaming su Raiplay. Il protagonista, interpretato da Valerio Mastandrea, è malato di cancro; dall’oggi al domani viene ricoverato, prossimo a un intervento difficilissimo, e deve ritrovare un equilibrio nella sua vita – è sposato, ha una bellissima moglie (Greta Scarano) e sta per diventare papà.
Alcuni momenti, come il monologo finale di Mastandrea, sono puro teatro: essenziali, immediati, dritti e tosti come un pugno in faccia. Il tema, lo sappiamo, è piuttosto deprimente: ma in tutta questa tristezza c’è anche tanta speranza.
“DAS BOOT”
Dopo “Babylon Berlin”, Sky Europa è riuscita a fare di più e a fare meglio; è riuscita a produrre una serie tv internazionale, con un cast internazionale, che riprende le redini di un film cult (“Das Boot”, 1981). Siamo in Francia, in piena occupazione nazista. E mentre i tedeschi varano e testano i loro incredibili sottomarini, gli U-boot, sul continente si prepara la resistenza.
Questa è una cosa che si dice spesso delle serie tv e della loro grande differenza con le fiction, ma: in “Das Boot” anche i nazisti vengono mostrati per quello che sono, esseri umani imperfetti e non semplicemente e banalmente mostri (non tutti lo erano, almeno). I protagonisti, da una parte e dall’altra, sono ragazzi: figli della rivoluzione hitleriana e all’opposto orfani di un governo degno di fiducia, in grado proteggerli in tempo di guerra. Disponibile su NowTv e Sky on demand.
“ELECTRIC DREAMS”
Tutti conoscono “Black Mirror”, e tutti – più o meno – l’hanno almeno visto una volta. In pochi sanno che prima di sbarcare su Netflix “Black Mirror” era una serie originale di Channel 4, canale inglese; e ancora di meno sanno che la stessa rete, appena due anni fa, ha creato un’altra serie antologica, questa volta basata sui racconti di Philip K. Dick e prodotta da Bryan Cranston (il Walter White di “Breaking Bad”).
Qui in Italia è disponibile su Amazon Prime Video. Anche se nell’epoca post-“Black Mirror” tutto sembra abbastanza già visto e prevedibile, “Electric Dreams” è una piacevolissima variante del racconto post-apocalittico e futuristico. Vuoi per il materiale di partenza, che è ottimo; e vuoi pure perché, per una volta, non c’è quella voglia compulsiva di trovare collegamenti con l’attualità e la cronaca politica.
“HALT AND CATCH FIRE”
È una serie che ha cinque anni, che è finita due anni fa, che è andata in onda sull’americana AMC e che ora, finalmente, sta per arrivare in Italia: dal 13 marzo, in occasione del trentennale della nascita del web, su Rai4. “Halt and Catch Fire” riesce a riassumere brillantemente quasi vent’anni di storia: il boom economico delle tech company, la nascita e lo sviluppo dei computer; poi i videogiochi, quindi, finalmente, la rete e le sue molteplici declinazioni.
Alcuni personaggi, come quello interpretato da Lee Pace, sono stati – giustamente – paragonati a guru veramente esistiti, come Steve Jobs. Ma la cosa più bella di questa serie è l’equilibrio che è stato trovato tra finzione e fatti, tra romanzo e documentario. Si passa dai garage polverosi alle torri di vetro della Silicon Valley, di San Francisco, della California. Il tutto meravigliosamente condito con una colonna sonora piena di grandissime canzoni e intramontabili hit.
“ATLANTA”
Alcuni lo conoscono come Childish Gambino: il musicista, l’uomo di “This is America”. Altri, quelli che per la prima volta l’hanno visto in tv, lo conoscono come Donald Glover. In entrambi i casi, è innegabile che ci troviamo davanti a un genio creativo. La sua “Atlanta” – ora alla seconda stagione, andata in onda su Fox Italia e disponibile su NowTV – ha cambiato sensibilmente la rappresentazione della comunità nera nel piccolo schermo.
childish gambino
Il protagonista è un ragazzo che lascia il college per fare da agente a suo cugino, un rapper. La storia si svolge nella periferia di Atlanta. Tutto il racconto è un modo intelligente, sopraffino, per smitizzare e mostrare sinceramente i neri. Glover non ne ha per nessuno: mette alla berlina anche il vittimismo dei suoi. Una terza stagione è in lavorazione.
“ABSTRACT”
Se c’è una cosa in cui Netflix è diventata imbattibile, sono i documentari. Ne sforna in continuazione, tra crime, reportage e biografie. C’è la storia della tifoseria del Sunderland: commovente. C’è il cult “Wild Wild Country” sul santone Osho. E c’è “Abstract”, che è una docu-serie sul design, sull’architettura, sull’importanza di mettere a frutto l’ordine, la pulizia, l’utilità e l’immediatezza della forma. È una serie sull’artigianalità dell’arte: sull’importanza di studiare, di ristudiare, di capire. Tra gli episodi più belli, vanno segnalati quelli con l’illustratore del New Yorker, Christoph Niemann, e quello con Tinker Hatfield, uno che ha fatto del design di scarpe una rivoluzione.