Federico Ercole per Dagospia
C’è una coppia al collasso sull’orlo del divorzio che trascorre svogliata e depressa il crepuscolo di un rapporto amoroso estinto in una casa di campagna. Con i due adulti disillusi vive la figlia, una bambina consapevole della crisi, che gioca triste con i suoi pupazzi, due balocchi costruiti per assomigliare ai genitori.
it takes two
Potrebbe essere l’inizio di un dramma psicologico sulla fine dell’amore e il sorgere di un trauma infantile quand’ecco che dopo pochi minuti It Takes Two, per Playstation 4 e 5, le serie di Xbox e Microsoft Windows, diventa una spassosa e non per questo superficiale favola nello stile e nei toni di quella Pixar che piacque ad Haiao Miyazaki. Le lacrime della bambina compiono un incanto pseudo-vudù e i pupazzi divengono contenitore della coscienza dei genitori mentre i loro corpi si svuotano, così che un manuale senziente per ritrovare la felicità di coppia li guiderà attraverso una strabiliante terapia per tentare alla ricerca della felicità coniugale.
Si tratta della nuova opera di Josef Fares per Electronic Arts, un tempo regista di cinema con Jalla Jalla e Kops ma dal 2013 inventore di videogiochi memorabili e duplici come Brothers e A Way Out, entrambi incentrati sebbene in maniera diversa, sulle dinamiche cooperative tra due personaggi.
it takes two
Ispirato a Tre Millimetri al Giorno di Richard Matheson e Tesoro mi si sono ristretti i Ragazzi di Joe Johnston, It Takes Two ci precipita minuscoli in un mondo ingigantito e qui anche modificato dalle leggi narrative del fantasy e, come ci dichiara il titolo e secondo la tradizione del Fares dei videogiochi, bisogna giocare in due per risolvere le tensioni della coppia. Vivendo così un’avventura ludica, in rete o seduti vicino (assai più bello), che travolge i giocatori con continue invenzioni straordinarie, ribadendo al contempo l’importanza della condivisione e il suo valore non solo giocoso ma persino terapeutico.
it takes two
CE NE VOGLIONO DUE
Attraverso uno schermo condiviso segmentato dallo split-screen, vaghiamo per ambientazioni domestiche, naturali o trasfigurate dalla fantasia, ridefinendo il concetto di cooperazione ludica perché non c’è un’idea, per quanto essa sia valida e possa funzionare per giochi interi, che non venga sostituita da un’altra e un’altra ancora, negando ogni monotonia e ripetizione, adeguandosi alle invenzioni di un game-design così funzionale e perfetto da dissimulare la sua natura artificiosa, risultando vero e plausibile, mai meccanico.
it takes two
Cominciamo in uno scantinato, dove gli attrezzi hanno acquistato un loro esistenza, armati una di un martello e l’altro di uno sparachiodi, aiutandoci per aprire strade impensabili, collaborando sempre, accompagnati da dialoghi continui, ironici e talvolta amari. Proseguiamo tra i rami e all’interno di un albero partecipando alla guerra tra vespe e scoiattoli, qui muniti di uno lancia-fiammiferi e un fucile ad acqua che sputa una un’appiccicosa sostanza incendiaria.
Giungiamo in una cameretta che diventa oceano stellare, potendoci ingigantire e rimpicciolire come Alice o sfidare le leggi di gravità. Poi oltre, mentre ci troviamo a cavalcare eterei pesci gatto in acque luminose, a volare con un deltaplano costruito con delle vecchie mutande perdute, a sfidarci in innumerevoli mini-giochi competitivi e opzionali.
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Dobbiamo per lo più risolvere favolosi enigmi ambientali ma ci sono anche sezioni di combattimento, anche queste incentrate sulla cooperazione, e risultano appassionanti gli epici e spettacolari combattimenti con i “boss”, un aspirapolvere impazzito o una vespa gigante e meccanica.
Non siamo mai penalizzati dal “game-over”, ci si materializza di nuovo all’istante dopo un errore fatale, perché la sfida non è vincere ma capirsi, interpretare il gioco del compagno e adattarsi reciprocamente all’azione, riflettere insieme, comunicare. It Takes Two richiede la connessione internet per verificare periodicamente la licenza del gioco (unica cosa vagamente discutibile) anche quando si gioca in cooperativa locale sulla stessa console. Basta tuttavia, in assenza di una connessione domestica, attivare brevemente l’hot-spot del telefono.
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BELLEZZA CONDIVISA
Così come le sue dinamiche ludiche, anche le ambientazioni di It Takes Two sono sempre cangianti e ammirevoli, favorendo la gioia dell’esplorazione e della scoperta, alternando fasi contemplative o riflessive a momenti ritmati di azione sfrenata e non scervellata. Si nega quindi il solipsismo dell’esperienza di un videogame, andando ad edificare un modo di giocare insieme che non è solo cooperativo o competitivo, ma emozionale, un viaggio insieme in un altrove incantato dove senza l’altro non si è più in gioco, non si può vincere e nemmeno perdere.
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Ci vogliono una ventina di ore di continue sorprese per terminare It Takes Two con un’immediata nostalgia per questa esperienza così profonda, divertente e appagante, ma questo non finisce affatto perché si possono continuare i tanti mini-giochi, dagli scacchi a videogame ancestrali, che sono disponibili, una volta scoperti esplorando, nel menù del titolo.
Capolavoro di un giocare non egoistico, It Takes Two è l’ideale per essere condiviso anche con chi non ha consuetudine con i videogame, risultando così propedeutico e formativo, non solo una squisita terapia per qualsiasi coppia ma come un prezioso strumento per indicare il valore artistico e ludico di quest’arte interattiva a chi ne dubita.
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