Federico Ercole per Dagospia
the last of us parte 2
Nello spazio e nel tempo fittizio dei videogiochi siamo tutti, il più delle volte, “assassini”; persino chi nella quotidianità è il più pacifista, bonario e inoffensivo si può dilettare ad investire passanti virtuali, eliminare il nemico con un colpo di fucile da cecchino dritto in fronte, spiaccicare funghetti senzienti balzandogli addosso e urlando “mamma mia!”, strisciare silenzioso alle spalle di un samurai e terminarlo con un unico, sleale affondo di Katana.
D’altronde è solo un gioco e infine non siamo che assassini di numeri, per lo più assemblati affinché diano vita illusoria ad avversari spietati, malvagi e aggressivi.
Nella maggior parte dei giochi uccidere è un’attività scaccia-pensieri, automatica, giusta se intesa nella sua dimensione ludica.
the last of us parte 2
In The Last of Us Parte II, in arrivo per PlayStation 4, non è invece così perché l’ultima e monumentale opera di Naughty Dog ci impone, sparandoci nel cuore un dardo emozionale, di assumerci la nostra responsabilità etica di giocatori, straziandoci mentre nel contempo ci delizia con un’arte del videogame, del racconto e della messa in scena che ci appare sconvolgente, addirittura inaspettata malgrado l’alta qualità dei trascorsi lavori dello studio di Uncharted.
The Last of Us Parte II prende noi, ormai insensibili e divertiti assassini virtuali, e ci punisce come fossimo Alex di Arancia Meccanica, costringendoci a guardare/esperire ad occhi sbarrati la conseguenza devastante della violenza, il suo orrore, dimostrandosi nel contempo il videogame più violento che si possa giocare e il più non-violento, veicolando un messaggio assai simile al film di Stanley Kubrick.
the last of us parte 2
AMORI E MORTI ALLA FINE DEL MONDO
Non posso e neppure voglio raccontarvi i dettagli della trama di The Last of Us Parte II, l’opera post-apocalittica più significativa dai tempi de Il Giorno degli Zombie di George Romero. Ci sono meccaniche di gioco e momenti di narrazione che sarebbero utili per comunicare la dimensione straordinaria e terribile di questo videogame, ma anticiparli significherebbe alterare l’impatto emotivo del giocatore, sebbene non mutino il valore e il significato. The Last of Us Parte II si svolge pochi anni dopo il finale sconcertante del primo episodio, riuscendo a trasformarlo nella premessa di un nuovo dramma di rara gravità.
the last of us parte 2
Gli Stati Uniti e il mondo sono ancora oppressi dalla piaga del Cordyceps, il parassita fungino davvero esistente (guardatevi il documentario Planet Earth della BBC) che trasforma gli insetti in orripilanti “zombie” folli e cannibali per diffondere le sue spore e che nell’invenzione del gioco si è diffuso tra gli umani. Ad aggirarsi per i ruderi di un’America riconquistata dalla natura ci sono quindi orde di infetti più o meno orribilmente mutati, ma come in ogni narrazione post-apocalittica è per lo più l’essere umano a diventare il mostro peggiore, riunendosi in pericolose, predatorie congreghe.
A Jacksonville, Wyoming, dove comincia l’avventura, incontriamo i due indimenticabili protagonisti del primo capitolo, ovvero la giovane e ormai durissima Ellie e lo stanco, tormentato, Joel. Tornare da loro dopo tutti questi anni risulta persino commovente, così come assistere all’amore che sorge tra Ellie e la bruna amica Dina. Tuttavia questa già fragile, incrinata serenità, cede poco dopo in maniera traumatizzante, scatenando un’epica della vendetta che ha la potenza sanguinaria ancestrale della tragedia greca.
the last of us parte 2
Non ci sarà solo odio durante le oltre trenta ore di gioco, perché con un’intuizione ludica e narrativa eccezionale Naughty Dog ci induce a comprendere le ragioni di tanta “funesta ira” scatenante la rabbia omicida di Ellie e sebbene ci siano nemici davvero disumani, la maggior parte di questi sono persone distrutte o sfruttate, né migliori né peggiori della protagonista. E in The Last of Us Parte II torna, ampliato, quel lirismo del primo episodio e della sua espansione Left Behind, lunghi momenti intimistici di struggente tenerezza, dolce quiete spazzata via da un’inevitabile rossa tempesta. C’è molto amore, finalmente anche sesso, in questo secondo episodio, o meglio il sogno di un amore in tanto incubo, amori disperati in un’agonizzante era dell’odio.
LA BELLEZZA DELLA FINE DELL’UMANITÀ
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La bellezza di The Last of Us Parte II intesa come pura contemplazione del panorama è travolgente e duplice, considerato il suo essere indissociabile dall’orrore. Le ambientazioni corrotte dalla rovina e dal contagio sono esaltate dalla sublime virulenza della natura che domina i ruderi di architetture decadute: alberi, erba fiori, acque e putride masse fungine tra nebbie di spore. L’esplorazione è ampliata dalla vastità dei luoghi per i quali trascorriamo, diventando spesso non lineare e premiando la curiosità e il coraggio con innumerevoli storie da scoprire lasciate a marcire tra i relitti di abitazioni e locali, stralci desolanti di vite estinte da anni restituite tramite una narrazione ambientale o epistolare.
Ci sono luoghi che obbligano a fermarci per osservarli in tutta la loro sfiancata magnificenza, sbalorditi del lavoro pittorico degli artisti di Naughty Dog svolto per dipingerli tramite dettagli preziosi. Ogni spazio risulta vivo e tangibile, non solo funzionale al gioco ma necessario per alimentare una fotografia naturalistica o fanta-urbanistica dalla potenza di quella dei film di Michael Cimino o Michael Mann.
the last of us parte 2
Le luci e le ombre, i colori e le forme dei tanti luoghi di The Last of Us Parte II contribuiscono ad alimentare un verismo davvero concreto anche quando più visionario, così come i modelli dei personaggi, donne e uomini mai così credibili, non esasperati da scelte estetizzanti o di design, volti e corpi di persone “vere”, tormentati da fatiche, dubbi e dolori.
Come in ogni grande cronaca fittizia di una o più vite non bastano una modalità narrativa o un genere, sia esso del cinema, della letteratura o del videogioco, per definire il trascorrere delle esistenze e non imbrigliarle in un racconto univoco: il secondo The Last of Us muta dall’horror più splatter per sfumare nella commedia sentimentale, dalla fantascienza catastrofica al gioco di guerra, dalla coralità all’intimismo, dal noir all’avventura zoologica, dal western al melodramma, per scivolare di nuovo, sempre, nella tragedia umanistica più disperante e universale che avvolge il giocatore rendendolo complice e insubordinato di ogni inevitabile sciagura.
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L’ARTE ULTRA VIOLENTA DELLA NON VIOLENZA
Ellie sa come uccidere, lo ha imparato nel primo episodio. Ma qui il massacro possiede una brutalità inedita, un realismo disturbante che si riflette sui volti deformati dal dolore delle vittime pugnalate alle spalle, massacrate con una scure o una mazza da baseball, arse vive bruciate da una molotov, esplose nei pressi di un ordigno.
Ci sono innumerevoli modi di uccidere, tutti sporchi e pesanti, perché l’omicidio è cosa orrenda e i cadaveri qui non spariscono dissolvendosi in un oggetto bonus ma restano a terra, con il viso stravolto dall’ultima sofferenza, mentre sentiamo i loro amici, forse le nostre prossime vittime, chiamare spaventati il loro nome, piangere la loro morte. Non c’è compiacimento nell’uccisione, illustrata con un terribile pathos, ma il rigetto. Eppure andiamo avanti, sconvolti ed ebbri, fino a fondo in questa terrificante, più che coinvolgente storia di vendetta.
the last of us parte 2
Opera interattiva rigorosamente per adulti, The Last of Us II è un videogioco epocale ed è impossibile comprendere la sua profondità senza esperirlo fino alla fine, essere travolti dai suoi dolorosi colpi di scena, piangere d’improvviso quando si scioglie in un amorevole morbidezza, deliziarsi con i suoi segreti e improvvisi splendori, vivere la pluralità del racconto e il valore della sua filosofia etica. Un videogioco distante ma neppure troppo, per il suo dialogo “a posteriori” sul nostro presente, da Death Stranding, altra opera d’arte di un nuovo umanesimo.
The Last of Us Parte II è un capolavoro che sarà ricordato oltre il suo essere videogame, un perentorio e agghiacciante epitaffio da un immaginario purtroppo plausibile che potrebbe porsi sulla lapide di una probabile umanità la cui grandezza si offusca nella meschinità, scivolata nel baratro dell’estinzione tanto a fondo e così abbruttita dalla necessità della sopravvivenza da avere infine dimenticato ciò che la rese umana per ricordarsene troppo tardi, quando pietà, compassione e empatia sono ormai cosa inutile e defunta. Una umanità che non siamo ancora noi, ma quasi. Quasi.