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    DAGOGAMES BY FEDERICO ERCOLE - “VALFARIS” POSSIEDE L’IMPETO LUDICO TRAVOLGENTE DEI GIOCHI DEL PASSATO; SI TRATTA DELL’OPERA NUOVA DEL PICCOLISSIMO STUDIO INDIPENDENTE STEEL MANTIS, USCITA PER NINTENDO SWITCH, PLAYSTATION 4, XBOX ONE E PC - CI SONO LE DUE DIMENSIONI COME FINESTRA DI RAPPRESENTAZIONE PANORAMICA DI UN MONDO VIRTUALE DA PERCORRERE - VIDEO


     
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    Federico Ercole per Dagospia

     

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    Valfaris possiede l’impeto ludico travolgente dei giochi del passato; si tratta dell’opera nuova del piccolissimo studio indipendente Steel Mantis di Gilmore e Jenns, distribuita da Big Sugar, uscita per Nintendo Switch, Playstation 4, Xbox One e PC. Ci sono le due dimensioni come finestra di rappresentazione panoramica di un mondo virtuale da percorrere saltando e correndo, diluvi di esplosioni e proiettili, orde di ostili creature mostruose e talvolta abnormi, le armi per eliminarle e ridurle in mucchietti di orrenda materia inerte di diversa natura purulenta.

     

    Insomma si ritorna al tripudio marziale e frenetico di classici come Contra, che purtroppo una anemica Konami non sa più fare o non vuole, come tante antiche opere d’arte del gioco abbandonate e rimosse durante il suo nuovo, triste e calcistico corso. Attenzione tuttavia alla frenesia perché questa è ingannevole, come nei capolavori del tempo che fu.  Ci vuole quiete interiore, calcolo e memoria per sconfiggere Valfaris e proprio quando ci appare frenetico è perché non abbiamo ancora decodificato la sua ritmica offensiva ed esso presto ci “ucciderà”.

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    Malgrado le meccaniche giocose ancestrali Valfaris non è un clone di Turrican o Contra, neppure un’operazione astuta e nostalgica, o almeno non solo questo, perché possiede una sua precisa identità formale ed estetica; e se utilizza il passato lo fa per ribadire la sua immutabile carica ludica, esaltandola e variandola, rivelandosi un eccellente scacciapensieri oltre che una meravigliante fonte di suggestivi panorami alieni in pixel-art.

     

    NELLO SPAZIO CI POSSONO SENTIRE URLARE, SE SI CANTA L’HEAVY METAL

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    Atterriamo con intenti punitivi su un planetoide artificializzato da una nuova e spietata forma di occupazione, nei loschi panni di Therion, colosso brutale dai capelli lunghi che rappresenta il vertice, almeno quello virile, di un’iconografia metallara. L’obiettivo è quello di farci largo attraverso i livelli componenti il sistema per giungere a massacrare, mentre ci massacrano a nostra volta decine di volte, l’odiato padre del protagonista. Ma non siamo Luke Skywalker alla resa dei conti con Darth Vader, quindi l’ultima cosa che faremo sarà gettare le armi per ribadire la nostra nobiltà interiore di jedi.

     

    Qui più si spara meglio è, e non solo, brandiamo anche una lama per gli attacchi ravvicinati e un’altra arma dal grosso calibro, tipo lanciamissili, da alternare alla pistola.

    Valfaris ci obbliga a alternare ogni risorsa offensiva in nostro possesso perché, ad esempio, se non usiamo la spada non acquisiamo l’energia necessaria per utilizzare le armi più potenti o lo scudo. Ecco che quindi il gioco non risulta mai troppo ripetitivo, proponendoci inoltre durante il suo percorso altre tipologia di armi, tutte potenziabili.

     

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    La noia è azzerata non solo dalle meccaniche imposte dal gioco ma dalla terrificante bellezza sci-fi delle ambientazioni bidimensionali che ricordano il Flash Gordon con la canzone dei Queen, il fantasy nerboruto di Frank Frazetta e la bio-aggressività di certe visioni di Richard Corben: selve tossiche, colossali alveari mutati, tunnel hi-tech precipitati in una folle anarchia.

    Ci sono decine di tipologie di mostri e creature, tutte a loro modo pericolose e i “boss” sono davvero tanti e vari, per lo più disegnati con un’arte della minaccia e del raccapriccio.

     

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    Infine c’è la colonna sonora che riprende l’estetica del gioco, il sogno sci-fi di un Robert Erwin Howard (l’inventore di Conan) cresciuto negli anni ’80 con la musica dei Saxon o dei Judas Priest. Si tratta di violento ed esaltante “metal”, talvolta contaminato di tecno, suoni che si fondono ad arte con l’esperienza e contrappuntano gli spari e i rumori agghiaccianti dei nemici.

    Valfaris riesce quindi ad appassionarci e sorprenderci durante tutta la sua non troppo lunga ma soddisfacente esposizione (si può finire anche 5 o 6 ore ma bisogna essere davvero bravi) rivelandosi un motore potente e fanta-barbarico di ludibrio, risultando un gioiello ancora di più su Switch, quando lo si gioca in portabilità, con gli auricolari e il volume al massimo.

     

    TROPPO DIFFICILE?

    Assolutamente no, sebbene il tasso di sfida sia elevato, perché Valfaris riesce ad adattarsi in maniera naturale all’abilità del giocatore, lusingando anche i meno virtuosi in questo genere, come chi scrive: ho “vergognosamente” impiegato quasi venti ore per arrivare allo scontro definitivo e ancora non ho vinto questa battaglia terribile.

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    Valfaris è pieno di check-point dove salvare la propria posizione, permettendoci quindi di provare e riprovare senza tedio lo stesso segmento, fino a diventare imbattibili. Tuttavia i veri campioni possono non utilizzare i salvataggi e così vedranno le proprie statistiche vitali aumentare, soffrendo molto ma semplificandosi il viaggio.

     

    Dipende dunque dalla volontà del giocatore, tuttavia anche utilizzando sempre i check-point e quindi non migliorando la “linea della vita”, è possibile sconfiggere ogni nemico e superare le difficoltà, anche perché una volta intuita la dinamica d’attacco del cattivo di turno lo si può sconfiggere indenni o quasi, memorizzando azioni e movimenti e utilizzando le armi adeguate.

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    Valfaris è una cavalcata furiosa in un altro mondo crudele e punitivo, più bello da vedere e giocare di tanti fotorealistici colossal dello sparo senza anima alcuna ed è gratificante in maniera epica, come un assolo degli Iron Maiden, perché ci offre tutto quello che ci serve, in termini di potenza distruttiva, per eliminare ogni suo fantascientifico orrore. 

     

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