DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Federico Ercole per Dagospia
Dopo ore di lotta, pensieri e osservazione, momenti ludici e dialettici oppure solo contemplativi condivisi con l’esperto di picchiaduro e disegnatore Jacopo Tagliasacchi, risultano più che evidenti l’estro, la cura, la passione e la sovrabbondanza marziale posti da Capcom nel sesto Street Fighter uscito per PlayStation ed Xbox
Era dal lontano 1999, con lo stupefacente, prima incompreso poi lodato Third Strike, che Capcom non disegnava Street Fighter con una simile consapevolezza artistica, abbracciando toni "street" che coinvolgono tutti i sensi, partendo dalle elegantissime schermate di selezione accompagnate da toni funky e jazz per arrivare ai nuovi lottatori, buffi e al contempo fascinosi, che si aggiungono alla pugna insieme agli irrinunciabili world warriors, amatissimi sin dal seminale Street Fighter 2.
C'è un'agilissima ninja graffitara, Kimberly, che tinge il campo di battaglia con spray fosforescenti.
C'è Marisa, imponente lottatrice italiana con una fissazione per le vestigia dell'antica Roma che picchia i leoni a mani nude in una stereotipata ma consapevole rappresentazione del Colosseo. C'è poi Jamie, sfuggente lottatore di Hong Kong che mischia passi di breakdance alle tecniche “zuiquan” (il leggendario stile dell'ubriaco) accompagnandosi sempre con una fiaschetta di non ben precisata bevanda "speciale". E ancora Manon, statuaria modella francese che stordisce gli avversari con eleganti balletti classici uniti a micidiali prese degne del miglior Zangief.
Si tratta di personaggi tutti farseschi i rappresentanti di questo capitolo, Capcom non si nasconde e abbraccia in maniera totale l'anima giocosa e ridanciana che caratterizza la serie con diciotto lottatori a rappresentare tantissime nazioni in un'improbabile, serena e ludica conferenza di lotta, così distante dalle fosche nubi che aleggiano nei rapporti fra paesi in questo turbolento periodo.
BOTTE A PORTATA DI TUTTI
Inclusivo è l'approccio che Street Fighter 6 riserva ai meno esperti di un genere che spesso risulta impenetrabile per chi non è cresciuto con questo nelle fumose sale giochi degli anni '90. L'introduzione del sistema di controllo "moderno" spoglia l'esecuzione delle tecniche di complicate combinazioni relegando il lancio dli “hadoken” e affini alla pressione di un singolo tasto, permettendo di competere anche chi non è mai riuscito ad afferrare l'ingombrante “moveset” tipico dei picchiaduro a due dimensioni.
Gli sviluppatori hanno inoltre semplificato l'utilizzo delle tecniche più complesse: via l'astruso “V-system” di Street Fighter 5, in questo capitolo tutto dipende dalla barra “drive”, che regola fra le altre cose l'utilizzo del “parry” e del “drive impact” (un colpo "impenetrabile" che ci rende momentaneamente incrollabili).
C'è poi una vasta sezione “tutorial” che rivaleggia con quella di Guilty Gear Strive per completezza, semplicità e pedagogia del combattimento. Anche gli scontri online sono caratterizzati da questo approccio rilassato: è possibile costruirsi un avatar (con un ricco e variegato menù di personalizzazione) e passeggiare nei corridoi di una sala arcade virtuale dove confrontarsi con le più bizzarre invenzioni degli altri giocatori, sedersi per una partita a qualche cabinato d'epoca (al momento ce ne sono ben 15!) o dedicarsi a scalare le classifiche con i personaggi canonici.
A CIASCUNO IL SUO, GUERRIERO DELLA STRADA
La creazione dell'avatar è la porta per la modalità più sorprendente di Street Fighter 6: il world tour. Capcom, fatto tesoro delle critiche allo sfilacciato comparto single player del precedente capitolo, propone un'estesa avventura “open world” ambientata nella fittizia Metro city, città in cui si svolgevano le scorribande dello storico Final fight, serie di picchiaduro a scorrimento da sempre legata a doppio filo narrativo con Street Fighter. Qui la cultura della lotta permea ogni aspetto della vita: è possibile sfidare in combattimento anche le anziane signore a passeggio, che potrebbero sfoggiare inaspettate capacità marziali.
Calchiamo le strade con il nostro personaggio esplorando spazi tridimensionali intricati, interessanti da scoprire e ricchi di citazioni e suggestioni per gli appassionati: fra una chiacchierata con i vetusti boss di Final fight e un'impacciata conversazione su cellulare con il mitico Ryu (che da guerriero errante è giustamente allergico alle nuove tecnologie) seguiamo l'avventura del nostro rivale Bosch, in un canovaccio principale mai troppo interessante che però accompagna il racconto delle vite dei personaggi principali, qui nelle veci di maestri, ormai invecchiati e alle prese col mondo e la complessa dialettica del contemporaneo.
Non manca nemmeno, per i più tradizionalisti, la classica modalità arcade con una sequenza di sfide arricchita da splendide illustrazioni che raccontano le vicende di ogni lottatore. Completandola si sbloccano una pletora di bozze, disegni ed omaggi ad opera degli straordinari artisti che hanno contribuito a tratteggiare negli anni la poliedrica creatura di Capcom: da Akiman a Bengus, è possibile intuire le evoluzioni (e talvolta gli inciampi) che il picchiaduro ha vissuto nella sua continua trasformazione visiva.
Ed è proprio al disegno che Street Fighter 6 deve la sua maggiore forza, sposando totalmente l'anima chiassosa, ironica , irriverente e sensuale che permea ogni aspetto della produzione, andando ad influenzare anche i dettagli più trascurabili di uno scenario o le animazioni di sfida di un avversario. Quella che si mostra a schermo è un'elegante e al contempo sguaiata danza fra lottatori, ipnotica nelle sue sproporzioni scientemente studiate, uno dei pochi casi in cui anche limitarsi ad osservare il gioco, magari per carpire i segreti di un campione, risulta utile ed appagante per gli occhi.
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