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Bianco e nero più samurai, si tratta quindi di un “omaggio ad Akira Kurosawa” già si disse e si scrisse ai tempi di Ghost of Tsushima, come se il cinema immenso del regista giapponese fosse limitato al racconto dei guerrieri armati di katana, escludendo così capolavori assoluti come Vivere, Barbarossa o Dodeskaden, e non contemplasse anche sublimi opere a colori.
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Senza negare la grandezza de Il Trono di Sangue e Ran (comunque ispirati al teatro di Shakespeare, Macbeth e Re Lear), i Sette Samurai, Yojimbo, Sanjuro o Kagemusha, limitare a Kurosawa il dominio del cinema dei samurai risulta quasi offensivo per le pellicole magnifiche di altri maestri del cinema giapponese: Kenji Mizoguchi con la Vendetta dei 47 Ronin e Musashi, Masaki Kobayashi con Seppuku e L’Ultimo Samurai, Hideo Gosha con Tre Samurai Fuorilegge o La Spada della Bestia...
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L’insistere esclusivo su Kurosawa quando si tratta della rappresentazione o della messa in scena dei samurai è come citare solo John Ford a proposito di cow-boy, ignorando suoi contemporanei come Howard Hawks o Budd Boetticher, ad esempio.
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Una breve introduzione nostalgica e forse polemica per trattare un altro videogioco occidentale “ispirato” ad Akira Kurosawa a due anni da Ghost of Tsushima di Sucker Punch, ovvero Trek to Yomi, opera assai più ridotta come valore produttivo uscita per Playstation, PC e disponibile sul Game Pass di XBox, dove chi è abbonato al servizio può giocarci senza spese aggiuntive.
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Si tratta di un’avventura concisa, un quasi-indie perché comunque vanta la pubblicazione di Devolver Digital, sviluppato da Flying Wild Dogs; un videogioco d’azione a scorrimento laterale illustrato con un prezioso e ispirato bianco e nero che ci precipita durante il periodo Edo (1603-1868), gli anni durante i quali lo Shogun risiedeva appunto ad Edo, la città che alla fine di quell’era divenne Tokyo.
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UN SAMURAI CONTRO TUTTI
Trek to Yomi ci pone nel kimono di Hiroki, un giovane samurai innamorato della figlia del suo maestro e che durante le fasi iniziali del gioco lo vede perire durante un assalto di banditi sanguinari, ereditando gli oneri verso il villaggio.
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Dopo il tragico preludio, il dramma di Trek to Yomi si amplifica così come l’odio virtuale del giocatore verso i malvagi banditi, un odio amplificato ad arte dal comparto sonoro del videogame, quasi insostenibile con gli auricolari, che utilizza in maniera straziante e perpetua le urla del popolo soccombente insieme ad una musica risonante genuina nel suo essere tradizionale, poiché eseguita da una piccola orchestra con gli strumenti originali dell’epoca. Le urla disperate non tacciono mai e per fortuna abbiamo una katana per eliminare schiere di nemici fetentissimi, miscelando la rabbia con la marziale nobiltà del samurai.
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I combattimenti sono tecnici quanto immediati e sono fondati sulla reazione all’offensiva del nemico più che all’iniziativa del giocatore, garantendo quindi una visione strategica e quieta dell’azione anche nei segmenti di gioco più concitati, permettendo inoltre di giocare e guardare insieme senza negarsi l’innegabile bellezza dell’insieme nell’ottusità di una frenesia che qui sarebbe comunque senza il pregio di un’astrazione visionaria come accade ad esempio in Muramasa di Vanillaware.
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Durante le cinque o sei ore necessarie per giungere alla conclusione, una durata calcolata affinché il gioco non scada nel tedio o nella ripetizione eccessiva, si sale di livello recuperando oggetti più o meno dissimulati nell’ambiente di gioco e imparando a memoria gli attacchi stereotipati degli avversari, diventando infine un samurai devastante sebbene tormentato.
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UN INIZIO STREPITOSO, POI...
La prima ora e mezza di Trek to Yomi è meravigliosa, con la sua pittura in bianco e nero di scenari agresti e urbani che restituiscono la potenza simbolica e naturalistica del cinema giapponese, con i suoi suoni e una narrazione coinvolgente, minimale quanto efficace. Tuttavia ad un certo punto subentra l’elemento soprannaturale, che non sarebbe un difetto, anche se diluisce il verismo tragico della vicenda, se non ci sprofondasse in un’ambientazione assai meno ispirata.
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Scendiamo in un generico oltretomba, già visto e convenzionale tranne che per pochi segmenti, uno spazio alterato che non mantiene quasi più nulla della bellezza così travolgente di quello che si è visto prima. Inoltre, come se fossimo in un Onimusha ma senza la sua forza horror, ecco arrivare mostri e pseudo-zombie. Questa deriva ultraterrena non è comunque così fastidiosa da affossare Trek to Yomi, che rimane godibile fino alla fine, ma affligge la “stimmung” che si era diffusa durante le prime fasi, muta la poesia fino al limite dell’annullamento.
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Trek to Yomi è più che consigliabile soprattutto a chi è abbonato al Game Pass di Xbox e non può essere considerato un gioco mediocre, neppure quando scivola nel grigiore del consueto. Trek to Yomi comincia illudendo il giocatore di crescere verso le vette emozionali di un climax che invece non non giunge mai, scemando invece la sua forza nel diminuendo inspiegabile di un trito aldilà, dal quale il protagonista fatica ad emergere così come il giocatore.
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