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Gian Micalessin per il Giornale
Dall'indipendenza alla latitanza. La repentina fuga di Carles Puigdemont e di cinque suoi ministri non sarà né eroica, né intrepida, ma è assai furbetta.
Con una mossa da acrobata del sotterfugio l'ex presidente della Catalogna mette a segno un triplice obbiettivo. Il primo, ed il più evidente, è quello di mettersi in salvo risparmiandosi una pur sempre sgradevole permanenza in gattabuia. Il secondo è quello di trasformare in una contesa internazionale il proprio destino e quello dei cinque ministri protagonisti dell'ingloriosa ritirata. Il terzo è il tentativo di coinvolgere nella disputa anche un'Unione europea «residente» in quella Bruxelles dove la combriccola indipendentista spera di trovare sostegni e asilo.
Certo il benservito regalato ai compatrioti catalani non è molto edificante. Abbandonarli al proprio destino dopo averli coinvolti in un disastroso braccio di ferro con Madrid e aver giurato di esser pronto a ogni sacrificio pur di combattere l'immaginaria tirannia spagnola è, se non meschino, perlomeno patetico. Ma tutto questo per il signor Puigdemont conta assai poco. Per questo stralunato artefice d'un referendum illegale e d'una sfida impossibile le promesse evidentemente non valgono. Quel che conta è restare libero, continuare a giocare. Da questo punto di vista Bruxelles rappresenta la scelta migliore.
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Il sistema giudiziario belga è così garantista da non considerare vincolanti neppure i mandati d'arresto emessi da altri Paesi europei. In quell'oasi dell'impunità, già sapientemente sfruttata dai terroristi jihadisti, anche il più incallito assassino può sottoporre a un tribunale locale la legittimità di un mandato d'arresto internazionale o di una richiesta d'estradizione. Se da quell'Eden del garantismo e del diritto deformato la Spagna stentava ad estradare i militanti baschi autori dei sanguinosi attentati firmati dall'Eta, figuriamoci un piccolo mestatore indipendentista. E non a caso ha scelto l'avvocato belga Paul Beckaert, che già quattro anni fa evitò l'estradizione dal Belgio dell'ex militante Eta Natividad Jauregui, alias «Pepona», come ricorda La Vanguardia
Quel che ci vuole, insomma, per tirarla alla lunga e sperare d'innescare uno scontro internazionale tra il procuratore generale spagnolo José Manuel Maza e qualche giudice di Bruxelles. E ai vantaggi giudiziari s'aggiungono calcoli politici e collusioni indipendentiste.
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Dietro la scelta di traslocare di tutta fretta a Bruxelles c'è anche l'invito formulato nei giorni scorsi dal sottosegretario belga Theo Francken esponente di quell'alleanza neo fiamminga sempre pronta a cavalcare la causa dell'indipendenza delle Fiandre. Un modo come un altro per tenere ben attizzate le braci dell'indipendentismo catalano e far tracimare un po' del loro fumo in quei palazzi dell'Unione europea all'ombra dei quali Puidgemont spera di godersi la latitanza.
Due confini più in là restano la Catalogna in crisi, le sue aziende in bilico, il turismo crollato e una Spagna lacerata. Ma di quello a Puigdemont e compagni interessa poco. La parola d'ordine è sopravvivere. Anche alla propria vergogna.
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