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Fabrizio Accatino per lastampa.it
«È un artista con una creatività straordinaria e un nome di grande fascino, se volesse curare il nuovo allestimento del museo per noi sarebbe un sogno». Prove tecniche di matrimonio tra il Museo Nazionale del Cinema e Dante Ferretti. Insieme a sua moglie Francesca Lo Schiavo (6 Oscar in due),
il grande scenografo sarà a Torino il 28 maggio per l’inaugurazione della mostra di cimeli Movie Icons. Oggetti dai set di Hollywood. Terrà anche una masterclass, ricevendo il premio Stella della Mole all’eccellenza artistica.
Ferretti conferma le parole del direttore del museo, Domenico De Gaetano. «Con lui e il presidente Enzo Ghigo ci siamo telefonati e scritti, a Torino ci ragioneremo insieme».
Le piacerebbe?
«Beh, la Mole Antonelliana è una struttura bellissima. Ci sono stato tante volte, anche nel 2012 mentre lavoravo all’illuminotecnica dello Statuario dell’Egizio. E al Museo del Cinema ho già donato in passato alcuni bozzetti, di cui era stato fatto un catalogo».
A Torino ci sarà anche Francesca Lo Schiavo, con cui condivide lavoro e riconoscimenti. Come vi siete conosciuti?
«Al mare in Sardegna, a Portobello di Gallura. Lei era molto amica di De André, che abitava lì vicino, e quando diedi una festa per inaugurare casa mia Fabrizio se la portò dietro. Nacque una simpatia. Scoprimmo che entrambi abitavamo a Roma, entrambi ai Parioli, entrambi avevamo lo stesso garage. Una coincidenza incredibile».
A quel punto?
dante ferretti francesca lo schiavo
«Una volta in città iniziammo a scambiarci messaggi romantici sotto i tergicristalli, dopo poco ci siamo messi insieme e alla fine ci siamo sposati. Lei era arredatrice d’interni, ma ancora non sapevo quanto fosse brava. Quando propose di lavorare insieme a me le risposi che non se ne parlava proprio. Ed eccoci qua. Dante Ferretti Lo Schiavo, a scelta con le maiuscole o senza».
Ce l’ha ancora il suo mitico studio a Cinecittà?
«Da oltre quarant’anni tengo lì tutti gli oggetti e i bozzetti su cui ho lavorato, ma li sto per dare al museo che mi dedicheranno ad Ancona. Inaugurerà fra qualche mese, spero di arrivarci vivo».
(...)
Quand’è nata la sua passione per il cinema?
dante ferretti francesca lo schiavo foto di bacco
«A 13 anni, appena iscritto all’istituto d’arte di Macerata, la mia città. Di notte rubavo i soldi dai pantaloni di mio padre, l’indomani dicevo ai miei che andavo a fare i compiti dai compagni e invece mi infilavo al cinema. Vedevo due film al giorno, a volte tre».
E le sue pagelle?
«Sempre rimandato a ottobre con cinque materie, più ginnastica in cui avevo il 2 fisso. Mio padre non capiva: “Ma se sei sempre a studiare!”. Quattro anni così. Poi feci un patto col babbo: se fossi uscito bene dalla maturità mi avrebbe lasciato andare a Roma, all’Accademia di Belle Arti. Gli ultimi mesi mi chiusi in casa e mi diplomai con tutti 8 e 10».
Questo è il 60esimo anno di una carriera straordinaria. Com’è iniziato tutto?
«L’architetto presso cui facevo praticantato lavorava come scenografo per Blasetti. Un giorno mi chiama ad affiancarlo in un paio di film di Domenico Paolella. Alla fine della lavorazione, la produzione mi presenta a Luigi Scaccianoce, scenografo per Welles, Rossellini, Losey, che stava cercando un assistente. Era il 1963 e il suo film successivo si sarebbe girato ai Sassi di Matera».
Non un film qualunque. Era “Il Vangelo secondo Matteo”.
«Pasolini è quello che mi ha dato la possibilità della vita. E visto che Scaccianoce sul set si vedeva poco, nel 1969 il regista mi promosse suo scenografo ufficiale. Mi stimava molto, con lui feci nove film, eppure fino alla fine ci siamo dati del lei».
Ricorda l’ultima volta in cui l’ha visto?
«Era già morto. Quella sera entro in un bar sul Lungotevere insieme a Elio Petri, proprio mentre la radio dà la notizia dell’omicidio. Ci precipitiamo all’obitorio, davanti al Verano. Lì l’avvocato di famiglia, Nino Marazzita, mi chiede di aiutarlo a tracciare una pianta del luogo del delitto. Lo seguo all’idroscalo di Ostia, prendo le misure e disegno tutto nel minimo dettaglio».
Dopo arrivò Fellini, e anche di lui divenne scenografo di fiducia.
francesca lo schiavo dante ferretti foto di bacco (2)
«Nel 1968 ero stato assistente nel suo Satyricon. Un giorno mi dice: “Ferrettino, ricordati che il prossimo film lo devi fare con me”. Visto che aveva fama di mangia-collaboratori, gli rispondo: “Maestro, facciamo fra dieci anni”. Nel 1978 ci incontriamo per caso sotto un lampione di Cinecittà. “Sono passati”, mi dice. Faccio Prova d’orchestra, e tutti quelli che seguono».
Com’era lavorare con il suo caotico immaginario?
«Spesso prendeva spunto dai suoi sogni. E, visto che abitavamo vicini e mi dava un passaggio per Cinecittà, ogni mattina mi chiedeva cosa sognavo io. Non avendo nulla da rispondere, mi misi a inventare. Lui si accorgeva che mentivo, ma si divertiva ad ascoltarmi».
Che cosa gli raccontava?
«Le mie fantasie erotiche infantili. Quando a Macerata accompagnavo mia mamma dalla sarta e mi accucciavo per terra per guardarle le mutandine. Oppure quando mi mandava dalla pescivendola popputa e io la guardavo dal basso verso l’alto, mentre brandiva l’anguilla che io immaginavo come un membro virile. In La città delle donne, i sogni di Mastroianni quando esce da sotto il letto e scende dal toboga sono quelli che gli avevo raccontato io».
(...)
In Italia funziona al contrario, quest’anno ai David di Donatello le categorie tecniche le hanno premiate in un sottoscala.
«Quella sera ero in prima fila al Teatro 5. Quando parte il collegamento e vedo dove stanno dando le statuette a scenografi e costumisti, mi giro verso Isabella Rossellini e le dico: “L’avessero fatto a me, avrei tirato giù dalle scale rotoli di carta igienica”. Sembrava fossero davanti ai gabinetti. Una cosa vergognosa».
Da trent’anni non lavora più in Italia. Ci tornerebbe se la chiamassero?
«Il fatto è che oggi nella maggior parte dei film italiani si gira dal vero, non si ricostruisce quasi nulla. Definirli minimalisti è pure troppo. Diciamo che sono mi-».
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