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    PUCCINI VA IN PERIFERIA – TRANS, SPINELLI, SENZATETTO, PALAZZONI ANONIMI E CONTEMPORANEITÀ IPERREALISTA, MIMÌ SI AMMALA DI CANCRO E NON DI TISI – LA “BOHEME” DI ALEX OLLÉ (LEADER DELLA FURA DELS BAUS) DEBUTTA IL 13 GIUGNO ALL’OPERA DI ROMA: “IL MONDO BOHEMIEN DELLA PARIGI DELL’800 NON ESISTE PIÙ E PUCCINI È COME I BEATLES…”


     
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    Valerio Cappelli per Corriere della Sera – Roma

     

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    La Bohème come non l' avete mai vista. Trans e spinelli. I pretoriani della tradizione faranno un salto sulla sedia. Eppure non c' è nulla di pretestuoso: è lo spettacolo della stagione, quello di Àlex Ollé (leader della compagnia catalana La Fura dels Baus) il 13 all' Opera di Roma.

     

    Teatro dove torna per la quarta volta (la quinta se si considera la Butterfly a Caracalla), portando la sua visione contemporanea del capolavoro di Puccini, diretta da Henrik Nánási. Una versione già applaudita nel 2016 a Torino (in questi giorni è su Sky Classica) e concepita con una premessa: «Il mondo bohémien della Parigi dell' 800 non esiste più».

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    E allora eccoci nel grande gioco della vita, alla periferia di una città non così definita. Ci sono carabinieri: potremmo essere in Italia? Anche, ma sarebbe fuorviante dirlo. Ci sono prostitute e trans, nelle notte imbiancata dalla neve, macchiata di una luce rossa: potremmo essere nel «red district» di Amsterdam? Sì, eppure non siamo in Olanda.

     

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    Di sicuro la scena è dominata da un palazzone anonimo lontano da un qualunque centro storico, «di quelli che oggi vengono assediati dai turisti», dice il regista raggiunto a Parigi mentre prova Il Trovatore (lo scorso anno lo presentò a Roma).

     

    Un formicaio che lui paragona a un bosco di ferro, scale antincendio, condizionatori sulle facciate, tante piccole finestre. E ecco che per una volta si vede la casa di Mimì (Anita Hartig), sopra il loft degli squattrinati Rodolfo (Giorgio Berrugi), Marcello (Massimo Cavalletti)...

     

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    Segni della contemporaneità resa in modo iper-realista da un regista che nella maturità ha acquistato peso e profondità perdendo certe tinte «trasgressive» che non sempre facevano centro: la cuffietta tutta pizzi e ricami è un basco rosso, il pennello di Marcello è una bomboletta da writer.

     

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    Sneakers, jeans, felpe, qualche cellulare. C' è un senzatetto sulla panchina. Ma nulla è scontato. Il caffè Momus entra in scena come una sorta di vagone, ed è «uno di quei luoghi trendy, alla moda che si trovano nelle periferie, che non sono solo abbandono e miseria, ci vivono anche gli artisti che sognano un futuro radioso».

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    Hanno fame del futuro, che vorrebbero mangiarsi con un boccone, fame di vita e di successo. I camerieri del caffè sono ragazzi e ragazze, portano la stessa parrucca di un azzurro fluorescente. Àlex Ollé fa indossare a un personaggio una giacca gialla: «È il mio omaggio a Jep Gambardella, il protagonista del film La grande bellezza di Sorrentino».

     

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    In questo quadro si anima un mercato all' aperto così come esistono oggi, tende sotto cui si vendono dvd o camicie, e si incrociano le razze. Se a Torino Musetta era una cantante di colore (a Roma Olga Kulchynska si alterna con la splendida moldava Valentina Nafornita che viene dall' ensemble della Staatsoper di Vienna) qui la dimensione multietnica vive nella seconda compagnia con la coreana Vittoria Yeo (sarà nel Macbeth dell' 11 luglio di Riccardo Muti a Firenze) o nel figurante che vende borse finte coperte da un telo, scene quotidiane delle metropoli odierne.

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    Ci sono momenti ilari, quando all' inizio al proprietario di casa, Benoît, i quattro allungano uno spinello, prima che se ne vada senza l' affitto. L' età degli inganni e delle utopie resiste fino alla morte di Mimì, che diventa «metafora dell' addio alla giovinezza, di quella gioventù perduta che fino allora aveva vissuto al momento».

     

    Mimì tossisce, stremata, ha perso quasi tutti i capelli. È un altro colpo di teatro: «Oggi non si muore più di tisi, così lei appare malata di cancro, reduce dalla chemioterapia». La vicenda è quella che conoscono tutti, «come Don Chisciotte», dice Ollé, «è l' opera di dettagli e sfumature, non c' è una grande storia con grandi personaggi.

     

    Ma stiamo parlando di un gigante, Puccini è come i Beatles, Nessun dorma e altre arie sono hit come Let it be». Tutti i sentimenti risultano autentici, «c' è cameratismo tra i cantanti che sono anche amici tra loro nella vita. E in scena si vede».

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