Fabio Pavesi per “Verità & Affari”
diego della valle
Quel giochino non poteva andare avanti all’infinito. Per anni Diego Della Valle, l’ingegnoso e brillante patron di Tod’s ha raccontato al mercato i fasti della sua azienda del lusso. Ma quel racconto non coincideva più da tempo con la realtà. Dal picco dei 140 euro toccati nell’estate del 2013 il titolo Tod’s non si è mai più ripreso da una lunga caduta all’indietro.
Quello è stato lo Zenith della brillante avventura borsistica dell’azienda marchigiana. Poi il vuoto. Un baratro, andato di pari passo al rallentamento della profittabilità del gruppo che lo ha progressivamente allontanato dai successi delle grandi aziende della moda e del lusso.
Il confronto era ormai impietoso da tempo e il valore del titolo non reggeva più al confronto con i giganti veri del lusso. Dalla stessa Lvmh, a Hermes, a Prada a Hugo Boss solo per citare i colossi stranieri con cui gli analisti comparavano le performance di Tod’s. Ma il confronto sulla redditività vedeva perdente Tods’ anche nei confronti di quella pattuglia di titoli domestici raggruppati nel segmento del luxury.
CONFRONTO IMPIETOSO CON GLI ALTRI MARCHI DEL LUSSO
DIEGO DELLA VALLE CON SCARPE TODS
Da Moncler, a Ferragamo a Brunello Cucinelli. Del resto bastava guardare i numeri dei bilanci, che è quello che conta al di là delle narrazioni retoriche. Tod’s da oltre un decennio non marciava più ai ritmi fastosi del suo passato. E proprio il 2013, l’anno del record di Borsa è lo spartiacque.
Abituata a vedere tassi di redditività crescenti con il Mol ad arrivare al 25% dei ricavi e l’utile operativo sopra il 20% del fatturato, da allora Tod’s ha messo la retromarcia. Il Mol sui ricavi ha cominciato una mesta frenata, mai più recuperata. Già nel 2017 era scesa al 15% dal record del 25% del 2013. Poi ancora più giù. Con i dati della profittabilità industriale operativi finiti in rosso nel 2020.
il logo tods al colosseo
Un decennio di fatto di lenta erosione, con gli utili netti che dai 140 milioni del 2013 si erano più che dimezzati nell’anno pre-pandemia, prima di finire in perdita per 70 milioni nel drammatico 2020.
Mentre Tod’s languiva, gli altri tenevano il passo di marcia tale da meritarsi le valutazioni a premio che la Borsa riconosce ai titoli del luxuy, in virtù della loro alta e costante redditività. Brunello Cucinelli ad esempio ha un valore del Mol sui ricavi al 16%; Ferragamo tocca il 19%; Moncler supera il 30%.
chiara ferragni casualmente indossa e promuove tods
Tod’s invece si ferma sotto il 7%. Fotografia analoga anche sul reddito operativo con Cucinelli all’11%; Ferragamo al 13% e Moncler che sfiora il 30%. Tod’s invece aveva nel 2021 utili operativi solo al 6,8% dei ricavi. E questo il confronto solo con i competitor di Piazza Affari.
IL DIVARIO CON I COLOSSI EUROPEI
Il divario si fa ancora più profondo con i giganti del lusso europei con Hermes sopra il 40% di redditività lorda e la stessa Lvmh, che terrà una quota del 10% in Tod’s dopo il delisting, che ha numeri di profittabilità che si avvicinano costantemente al 30% dei ricavi.
LA CRESCITA DEL TITOLO TOD'S IN BORSA NEL 2021
Vista così è questa probabilmente la vera ragione profonda dell’uscita di Tod’s dal listino. Ormai la Borsa non riconosceva più, da anni, a Tod’s i multipli di mercato assegnati a titoli del lusso. E quindi Tod’s non era più apprezzata come Della Valle pensava meritasse. Più che il fantomatico sviluppo dei marchi, apposto come giustificazione al delisting, conta il fatto che la Borsa aveva già voltato le spalle all’azienda di calzature e abbigliamento marchigiana. Fine di una narrazione di comodo. Al mercato interessano i numeri e come si si vede quelli non mentono.
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