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    DRAGHISMO A DESTRA – GIULIANO FERRARA, VOTANTE PD, LEGGE L’INTERVISTA DI CROSETTO AL “CORRIERE” (RECIPROCO RICONOSCIMENTO DI VALORI, NO RIFORME COSTITUZIONALI IN SOLITARIO, PREOCCUPAZIONE COMUNE PER LA CRISI D'AUTUNNO E PER LE SUE CONSEGUENZE) E SENTENZIA: “PER LETTA SAREBBE STATO MEGLIO POTER DIRE "O NOI O SALVINI", PIUTTOSTO CHE "O NOI O MELONI", DATO IL FILM GIÀ VISTO DEL WANNABE MINISTRO DELL'INTERNO E IL SUO FORTE GRADO DI SPERNACCHIAMENTO” 


     
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    Giuliano Ferrara per “il Foglio” - ESTRATTO

     

    giuliano ferrara foto di bacco (4) giuliano ferrara foto di bacco (4)

    Il problema aritmetico imposto dalla legge elettorale è mettersi insieme per avere più voti e seggi e poter governare. Il problema politico è un'alleanza credibile. L'apparenza sotto elezioni è decisiva, non si sfugge, la sostanza programmatica e l'attendibilità intrinseca di una coalizione di governo e dei suoi uomini e donne vengono dopo. 

     

    Su questo piano, la destra o centrodestra ha accumulato vantaggi. Aveva un handicap, era divisa tra chi è stato sempre all'opposizione e chi ha governato nel corso della legislatura. Non è cosa da poco, ovviamente. E' riuscita con tempismo a cancellare l'handicap mettendo in crisi il governo di unità nazionale, piuttosto popolare anche nei ceti medi imprenditoriali e rassicurante per una maggioranza di cittadini, con il vantaggio di attribuire la causa dello sfascio e dell'anticipo elettorale estivo ai grillozzi. 

     

    enrico letta foto di bacco (4) enrico letta foto di bacco (4)

    Quella che Letta con superficialità chiama "la resa a Meloni" è un altro atout: hanno, senza bisogno nemmeno di dirlo, un candidato alla guida del governo, una donna, un tipo di politico non sperimentato in quel ruolo, una figura di opposizione in una legislatura molto divisiva, un capo erede della Bad Godesberg missina di Fiuggi (lasciamo la casa del padre), che ha temperato il suo naturale estremismo ideologico, e un chiassoso narcisismo dell'arrembaggio tradizionalista e sovranista, con una posizione in politica estera e sulla guerra in Europa solidamente atlantica e europeista e occidentalista. 

     

    Se poi l'intervista al consigliere politico meloniano Guido Crosetto di ieri al Corriere (reciproco riconoscimento di valori, no riforme costituzionali in solitario, preoccupazione comune per la crisi d'autunno e per le sue conseguenze) completa sul serio questo quadro dell'apparenza e si riverbera sui modi della campagna elettorale, bè, per Letta sarebbe stato meglio poter dire "o noi o Salvini", piuttosto che "o noi o Meloni", dato il film già visto del wannabe ministro dell'Interno e il suo forte grado di spernacchiamento. 

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    Insomma, il centrodestra, con un anticipo di tempi importante in una campagna breve e accaldata, ha fatto della buona aritmetica realista, non gravata da remore moralistiche e ideologismi minoritari, e malgrado infinite riserve degli italiani e internazionali sulla sua palatabilità e maturità di forza di governo, è chiaramente in vantaggio. 

     

    Questo vantaggio, effetto bandwagon come dicono gli anglosassoni, se usato con agilità e acume politico, provocherà una corsa sul carro che ci stupirà, ma non poi così tanto. Se ci sono stati fior di liberali per Salvini (l'esimio professor Giovanni Orsina è un esempio) e molti perbenisti che ora fanno gli schizzinosi hanno tifato Grillo o Raggi (niente nomi per pietà), fioriranno i liberali per Meloni (mi pare orientato in questo senso il professor Luca Ricolfi, si dice candidato ombra all'Istruzione, di cui si intende). 

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