Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
DRAGHI
Mani al portafoglio: arriva la stangata della Bce di Mario Draghi sulle banche venete. La vigilanza dell’Eurotower deve indicare l’importo dell’aumento di capitale a carico delle promesse spose (assai malandate) Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Sulla cifra non ci sono ormai molti misteri: dagli iniziali 3 miliardi di euro, il conto finale è destinato a raddoppiare a 6 miliardi.
E si tratta di un conto che, salvo miracoli, sarà quasi totalmente a carico dei contribuenti italiani. Per una ragione molto semplice: il fondo Atlante, oggi azionista dei due istituti, ha mezzi finanziari scarsissimi e gli 1,7 miliardi in cassa non coprono nemmeno la metà delle richieste di Francoforte. Che pretende certezze sul rafforzamento patrimoniale prima del via libera alla fusione, affidata alla regia di Fabrizio Viola (oggi ad di Vicenza e capo in pectore del nuovo soggetto bancario).
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Dunque, non ci sono alternative. L’unico modo per evitare il fallimento dei due istituti del Nord Est è seguire la strada già imboccata dal Monte dei paschi di Siena ovvero quella che porta a via Venti Settembre, a Roma. Il Tesoro attingerà così al fondo da 20 miliardi creato col decreto salva banche di fine dicembre e diventerà azionista di PopVicenza e Veneto Banca.
Un passo inevitabile che riporta l’orologio indietro di oltre 25anni. Era il 1990 quando lo Stato cercò goffamente di uscire dal recinto finanziario, con una riforma - quella che spostò il capitale degli istituti nei patrimoni delle fondazioni bancarie - mai completata e, visti i risultati, assai poco efficace. E la vicenda Mps è la rappresentazione plastica del fallimento di quella riforma pasticciata.
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Del resto, per tenere in piedi le banche si è fatto ricorso ai quattrini dei cittadini. Con l’Unione europea che ieri ha lanciato l’allarme: la peste bancaria può avere effetti assai negativi sulle finanze pubbliche. A Bruxelles, evidentemente, cominciano a sospettare che quei 20 miliardi stanziati dal governo di Paolo Gentiloni non siano sufficienti ad arginare la crisi finanziaria.
Facciamo un po’ di conti: circa 7 miliardi sono già stati messi da parte per la ex banca del Partito democratico (Mps) e altri 6 sono prenotati per il crac Veneto. Nel giro di due mesi, insomma, più di due terzi del cuscinetto finanziario anti crisi sono stati usati, gettando un’ombra su eventuali, nuovi terremoti allo sportello.
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Senza dimenticare che il ministero dell’Economia non ha ancora chiuso il cerchio per la questione senese visto che il negoziato con la Commissione Ue e col vertice dell’istituto non è chiuso: sul tavolo ci sono soprattutto i rimborsi agli obbligazionisti e la pulizia del bilancio, con la cessione di 45 miliardi di sofferenze tutta da definire (l’ad Marco Morelli vorrebbe creare una bad bank aperta a investitori stranieri).
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Gli indennizzi tengono banco anche in Veneto. La transazione coi 185mila ex titolari di azioni è in alto mare e la Bce sta facendo una serie di approfondimenti. Sono formalmente azionisti, ma si tratta per lo più di piccoli risparmiatori. Costretti, insieme con i contribuenti, a saldare il gigantesco conto finale del salvataggio di Stato del sistema bancario. E i veri responsabili? Salvati da governo e Parlamento: le due misure chiave, quella sulla lista dei bidonisti (ovvero i grandi debitori delle banche in crisi) e la tagliola sui premi ai manager di istituti falliti, sono morte sul nascere. Con buona pace della trasparenza.