Jessica d'Ercole per “la Verità”
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Nel Canto VI dell' Inferno Dante descrive una pioggia putrida che costringe i golosi a vivere come ombre nel fango, in compagnia di Cerbero latrante, per l' eternità. Fra i dannati che non resistettero a tenere a bada la ghiottoneria c' era anche Ciacco che per Dante s' era «dato del tutto al vizio della gola, era morditore e le sue usanze erano sempre co' gentili uomini e ricchi, e massimamente con quelli che splendidamente e dilicatamente mangiavano e beveano».
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Meglio non andò ai golosi del Purgatorio, tormentati da una fame e una sete che non potevano saziare mai. In questo girone ci finì pure papa Martino IV, passato alla storia più per la sua voracità che per l' impegno pastorale. Ingordo di anguille, simbolo del peccato originale perché somigliavano al serpente, se ne fregava dello scandalo al punto che secondo alcuni storici la causa della sua morte fu appunto la «grassezza ed indigestione di saporito pesce del lago di Bolsena cucinato e annaffiato con Vernaccia». In seguito, anche se non sarà Dante a dircelo, di mangioni in questo girone ne finiranno molti.
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A cominciare da Honoré de Balzac che in un solo banchetto fu visto ingoiare cento ostriche, dodici costolette d' agnello, un' anatra, due pernici, una sogliola, il tutto seguito da dolci, frutta, caffè e liquori.
Carlo Magno (742-814) era un divoratore di carni rosse, selvaggina e di carne di maiale in quantità spropositate. Malato di gotta, a banchetti più sani preferì la morte. Jacques Duèze (1316-1334), ovvero Papa Giovanni XXII d' Avignone, il 22 novembre 1324, si fece organizzare da sua nipote un baccanale a base di otto buoi, 55 montoni, otto maiali, quattro cinghiali, 22 capponi, 690 polli, 580 pernici, 270 conigli, 37 anatre, quattro gru, due fagiani, due pavoni, 292 uccellini, un' enorme quantità di pesci, più di 3 quintali di formaggio, 3.000 uova, 2.000 frutti e ben 4.012 pani. Il tutto innaffiato da vino di Bordeaux (Il mio Papa di Giorgio Nadali).
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Papa Giulio II (1443- 1513) amante dei sapori forti e d' aglio: «Grande mangiatore, ma non di cibi scelti, quali amavano i ghiottoni dei Rinascimento, sibbene andavangli a genio piatti sostanziosi, grassi, fortemente conditi d' aglio. La sua vivanda favorita erano le cipolle, che di straordinaria grossezza venivangli appositamente fornite da Gaeta».
Così pure erano ben noti i «frivoli e sconvenienti scherzi, con cui condiva i suoi banchetti che mettevano non di rado in imbarazzo i suoi famigliari». In un rapporto inviato a Mantova, poco dopo la sua elezione, si legge: «Giovedì disinando gli si portarono inanzi certe polpette di vitello, le quali subito ch' egli vidde disse: "evi dentro aglio?". Rispose lo scalco: "Padre santo, no".
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All' hora mezo sdegnato disse: "Levate adesso, come se fosse giovane de XV anni et havesse lo stomaco di struzzo!"» (Il cuoco segreto dei Papi di Furio Luccichenti e June Di Schino).
Ernst Knam (1963), maestro del cioccolato, ha detto che se in terra non esistessero i golosi «sarei andato in Paradiso a vendere cioccolato a Dio».
Otto von Bismarck (1815-1898) per rendere energetici i suoi piatti aggiungeva sempre l' uovo fritto. A un certo punto della sua vita, però, il cancelliere prussiano cominciò a lamentare un misterioso peso allo stomaco e a comportarsi da inappetente. Così la moglie, premurosa, lo fece ingozzare di foie gras: il cancelliere ne era talmente goloso che, a cena, fissava in cagnesco tutti gli ospiti che osavano versarne un po' nel loro piatto. Voleva finirsi tutta la terrina da solo.
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Winston Churchill (1874-1965) nel 1942, a Mosca, si fece conquistare da Iosif Stalin grazie a una cena informale.
Al tavolo, dove sedevano con i traduttori e il ministro degli esteri Vjaeslav, Michajlovi Molotov «arrivano maialino da latte, due polli, manzo, montone, pesci e perfino, alla fine, la famosa testa di maiale, che Stalin finì con le mani» (A capotavola di Laura Grandi e Stefano Tettamanti).
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Giulio Andreotti (1919-2013) una passione smodata per la cucina che lo portò a una collezione sconfinata di tutti i menu dei suoi pranzi ufficiali oggi conservata nei sotterranei dell' archivio all' Istituto Sturzo di Roma. L' oggi ministro della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno, all' epoca l' avvocato che lo difese nei processi per collusione con la mafia e per l' omicidio del giornalista Mino Pecorelli lo ricorda così: «Era goloso in una maniera sfrenata, lo vidi mangiare due cannoli siciliani dopo un' enorme pasta con melanzane».
Ad Andrea Zaghi del Golosario Andreotti raccontò: «Mi ricordo che a Betlemme acquistai, sotto gli sguardi perplessi di chi mi accompagnava, delle frittelle per strada.
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Messe in bocca emettevano quasi una sorta di gas».
Luciano Pavarotti (1935-2007) non si definiva goloso ma incontinente: «Mangio a ruota libera e siccome ho lo stomaco di ferro, mangio il doppio, il triplo delle calorie che mi servono. Preferisco i primi piatti, la pasta, i tortellini, i maltagliati, gli gnocchi.
La mia mamma, la mia nonna e le mie zie me li facevano sempre e mi davano un gran piacere». Mario Monicelli (1915-2010), goloso di prima levatura, andava matto per la pizza rustica, il polpettone al tartufo, i dolci. Giancarlo Dotto: «Il Grande vegliardo era sostenitore molto credibile del concetto che a tavola non s' invecchia, specialmente quando digerisci bene e lui digeriva tutto, tranne i panettoni, di cui era goloso fino alla perdizione».
MARIO MONICELLI E BRUNA PARMESAN
Monicelli, secondo Paolo Villaggio, non digeriva neanche le storiche abbuffate del venerdì sera, preparate con amore, da Ugo Tognazzi: «Una volta Monicelli, alla fine della cena, prese una busta di plastica trasparente e cominciò a girare per la tavola e a riempirla degli avanzi. Tognazzi, ancora vestito da cuoco, col cappello bianco, chiese: «Mario cosa fai? Ti porti a casa gli avanzi? Ti è piaciuta così tanto?». La risposta di Monicelli: «No, li porto all' istituto italiano di criminologia. Ti voglio denunciare per tentato omicidio!»».
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Marcello Mastroianni (1924-1996) diceva de La Grande Bouffe: «Uno dei film fra i più particolari mai girati, in cui il cibo entrava nelle interpretazioni di noi attori, così come le nostre interpretazioni erano strettamente legate al cibo, se non addirittura determinate da esso. Difatti Ugo Tognazzi ci sguazzava, perché per lui era un sogno che si realizzava, tutto quel cibo preparato da Fauchon. Il bello è che noi mangiavamo sul set e poi, nella pausa, andavamo anche in un ristorantino di fronte.
Come se non fosse bastato quello che avevamo già mangiato».
Giosuè Carducci (1835-1907) aveva una passione sfrenata per i tordi: «I maremmani sono superiori agli altri, si nutrono di coccole di ginepro, di mortella, di olive. Le carni prendono l' amarognolo, gusto insuperabile. Roba da far risuscitare i morti!». Gabriele D' Annunzio (1863-1938) impazziva letteralmente per la cucina della sua amata cuoca Albina, che aveva ribattezzato Suor Intingola, al punto di lasciarle anche 300 lire di mancia anche per una sola frittata, un pourboire spesso accompagnato da lettere lusinghiere: «Per me non c' è al mondo nessun sapore più squisito della pernice fredda. Ho mangiato tutto ed ho leccato gli ossetti col rammarico che anche una pernice fredda abbia una fine».
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Giacomo Puccini (1858-1924), tra una composizione e un capolavoro, si dilettava a creare personalmente ricette: dalla pasta con le anguille o alle aringhe coi ravanelli. Ma il massimo per lui era andare a trovare la sorella, suor Angelica, monaca in un convento di Lucca, spinto più che dall' amore fraterno dalla passione per i suoi fagioli cotti al fiasco.
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Marisa Laurito (1951) che del cibo ha fatto una ragion di vita, non perdeva occasione per mettersi ai fornelli anche mentre lavorava: «In Pari e dispari giravamo a Miami, finivo sempre prima degli altri, così correvo nella roulotte di Carlo Pedersoli (Bud Spencer) per cucinare. Alle 13 Sergio Corbucci comunicava alla troupe: «Scusate, abbiamo bisogno di un' ora per studiare».
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Studiavamo i bombolotti alla matriciana, una cofana tanta di pasta da dividere in tre: io, Sergio e Carlo, con del buon vino, mentre Terence Hill restava fuori, non partecipava, lui era già ascetico; poi verso le 14 gli statunitensi ci bussavano alla porta per sollecitarci a tornare sul set, e Sergio rispondeva: «Stiamo provando!»; io e Carlo ridevamo, dalla roulotte usciva un profumo inconfondibile».
Sergio Leone (1929-1989) che, quando un ponte esplose anzitempo sul set di Giù la testa, al preoccupato «e mo' che famo?» della squadra, rispose «Annamo a magnà!».«Gli obesi vivono di meno, però mangiano di più» (Stanislaw J. Lec).
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