1. E' MORTO DONALD SUTHERLAND
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(ANSA) - Addio a Donald Sutherland, l'amato attore Oscar onorario che ha recitato in decine di film da Quella sporca dozzina a MASH alla saga Hunger Games è morto a Miami. Aveva 88 anni. Lo annuncia il figlio Kiefer sui social. "Con il cuore pesante, vi dico che mio padre, Donald Sutherland, è morto. Personalmente lo ritengo uno degli attori più importanti della storia del cinema. Mai scoraggiato da un ruolo, buono, cattivo o brutto. Amava ciò che faceva e faceva ciò che amava, e non si può mai chiedere di più. Una vita ben vissuta".
2. BIOGRAFIA DI DONALD SUTHERLAND
Da “Cinquantamila. La storia raccontata da Giorgio Dell’Arti”
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Donald Sutherland, nato a Saint John (Nuovo Brunswick, Canada) il 17 luglio 1935 (86 anni). Attore. Oscar alla carriera. Due Golden Globe. Un premio Emmy. Una stella sulla Hollywood Walk of Fame
• «Una delle star viventi ad aver attraversato uno dei periodi più lunghi della storia del grande schermo (senza parlare delle sue partecipazioni tv)» (Chiara Ugolini, la Repubblica, 17/7/2015)
• «Un brutto affascinante» (Corriere della Sera, 4/1/1980)
• «Un gigante molliccio alto un metro e novantatré centimetri che pesa intorno ai cento chili. Ciccioso, scivoloso (suda quasi in continuazione a causa di certi problemi circolatori), capelli castano chiaro, il labbro pendulo che incornicia la bocca a sedere di gallina, le orecchie enormi leggermente a sventola, gli occhi grandi, azzurri, acquosi e sporgenti come quasi sempre hanno le persone ammalate di morbo di Basedow» (Gerardo Ghinelli, Corriere d’Informazione, 5/4/1975)
• «Ha lavorato con successo in film sia comici sia drammatici, in film di genere come in quelli d’autore, interpretando personaggi stralunati e anticonformisti, ma anche nevrotici e inquietanti» (Treccani)
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• Tra i suoi film: Il castello dei morti vivi (Luciano Ricci e Lorenzo Sabatini, 1964), M*A*S*H (Robert Altman, 1970), Una squillo per l’ispettore Klute (Alan J. Pajula, 1971), A Venezia un dicembre rosso shocking (Nicolas Roeg, 1973), Novecento (Bernardo Bertolucci, 1976), Il Casanova di Federico Fellini (Federico Fellini, 1976), Animal House (John Landis, 1978), Gente comune (Robert Redford, 1980), La cruna dell’ago (Richard Marquand, 1981), Fuoco assassino (Ron Howard, 1991), Grido di pietra (Werner Herzog, 1991), JFK – Un caso ancora aperto (Oliver Stone, 1991), Buffy l’ammazzavampiri (Fran Rubel Kuzui, 1992), Rivelazioni (Barry Levinson, 1994), Virus letale (Wolfgang Petersen, 1995), Space Cowboys (Clint Eastwood, 2000),
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Piazza delle cinque lune (Renzo Martinelli, 2003), The Italian Job (F. Gary Gray, 2003), Ritorno a Cold Mountain (Anthony Minghella, 2003), Orgoglio e pregiudizio (Joe Wright, 2005), Gioventù violenta (Griffin Dunne, 2005), Chiedi alla polvere (Robert Towne, 2006), Tutti pazzi per l’oro (Andy Tennant, 2008), Come ammazzare il capo… e vivere felici (Seth Gordon, 2011), La migliore offerta (Giuseppe Tornatore, 2013), Hunger Games (Francis Lawrence, 2013, e i due sequel del 2014 e del 2015), Ella & John - The Leisure Seeker (Paolo Virzì, 2017) e La tela dell’inganno (Giuseppe Capotondi, 2019)
• Nel 2018, alla notizia che l’Academy gli avrebbe assegnato l’Oscar alla carriera, commentò: «Non mi sentivo in scadenza, ma a 82 anni, il tempo cominciava a scarseggiare». Titoli di testa «“Prima di iniziare, confesso: sono sordo”. Donald Sutherland ha gli occhi chiusi, si aggiusta la cravatta. “Non sento”, risponde alla prima domanda. La seconda: “Prego?”. Terza: “Chiamiamo un interprete”. In piedi sulla porta, si volta e sussurra all’orecchio: “La sto prendendo in giro”. Giù una sonora risata» (Filippo Brunamonti, la Repubblica, 20/1/2018). Vita Figlio di Frederick, elettricista, e Dorothy Sutherland. Famiglia severa ma unita. «Non ho mai sentito litigare papà e mamma»
• «Sono canadese. Quindi ho assorbito influenze britanniche e francesi. Tuttavia di inglese ho solo, credo, il senso dell’umorismo. Di francese, invece, dovrei avere una certa irruenza, lo spirito polemico e l’amore per i formaggi e per il buon vino»
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• «Da ragazzo, l’idea di fare l’attore non mi sfiorava nemmeno. Non ero neppure un ragazzino normale, nel senso che non correvo al cinema a vedere Alan Ladd e Gary Cooper, e nella mia stanzetta non avevo alla parete le foto di Betty Grable o di Michèle Morgan. Studiavo, giocavo a calcio, leggevo molte poesie, ero affascinato dalla geografia e potevo trascorrere ore ipnotizzato da una mappa, e collezionavo fiaschi paurosi con le ragazze. Mi sudavano le mani e questo le infastidiva molto. Ero, insomma, una via di mezzo tra Charlie Brown e Linus»
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• Primo lavoro: presentatore radiofonico. «La prima volta che sono entrato in una radio avevo 13 anni. Ci sono andato con la scuola, con la mia classe, di solo 9 studenti. Vivevo in un piccolissimo paese canadese, 2 mila persone e una stazione radio con tre studi. La maestra ci spingeva a fare domande e io, con estremo imbarazzo di tutti i miei compagni, ho chiesto: “ma come avete fatto a far entrare questo enorme piano attraverso questa piccola porta?”
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Mi guardarono tutti come fossi stupido e io sono stato in imbarazzo per mesi. L’anno seguente sono entrato per chiedere scusa della figuraccia dell’anno prima e loro mi hanno chiesto: “Non ti andrebbe di lavorare per noi part-time?”. All’epoca io avevo una bella voce. Mi pagavano trenta centesimi all’ora, sono stato disc-jockey, ho letto i notiziari e tutto mi pareva meraviglioso» (alla Ugolini).Da giovane Donald vorrebbe diventare scultore. Un giorno, però, sente delle persone elogiare un’interpretazione di Churchill e capisce che pure lui, anche se non è mai stato in un teatro, vuole recitare.
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«A sedici anni andai da mia madre, donna onesta al limite della brutalità. “Mamma, secondo te sono attraente?”. Lei mi guardò quasi con le lacrime agli occhi, come se riuscisse a trattenere la scomoda verità: “Donald, la tua faccia ha personalità”. Io volevo già fare l’attore e quella era l’ultima cosa al mondo che volevo sentirmi dire» (a Simona Siri, La Stampa, 14/1/2018)
• «La strada che ha portato l’adorabile, brutto canadese ad essere uno degli attori più ricercati e corteggiati del mondo è stata lunga e perigliosa. A dargli forza e tenacia per percorrerla fino al successo non è stato l’amore per l’arte, ma la rabbiosa determinazione a mettersi al sicuro dal bisogno. “L’amore per il cinema — è una delle frasi che Donald infila in tutte le interviste — io lo identifico con la sicurezza di poter staccare in qualsiasi circostanza un assegno con la certezza di non arrischiare l’arresto per truffa”.
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Nelle intenzioni del padre, Sutherland avrebbe dovuto diventare un ingegnere. Il futuro divo ha infatti frequentato l’università fino alle soglie della laurea, fino a quando cioè non decise che avrebbe fatto più presto a far soldi con la professione di attore che non lavorando come ingegnere. “Per mio padre — confida Donald — fu una delusione terribile”» (Ghinelli)
• Sutherland comincia a recitare nei teatri canadesi. Paradossalmente, non era mai stato a uno spettacolo, prima di iniziare a lavorare. «Credevo che da quel momento tutto sarebbe stato facile e che sarei diventato un famoso divo. Purtroppo mi sbagliavo di grosso». Dopo pochi mesi rimane disoccupato. Non riuscendo a ottenere altre scritture, decide di trasferirsi a Londra, e di iscriversi alla London Academy of Dramatic Arts. Rimane il problema di come pagare l’affitto e di mettere insieme il pranzo con la cena. «Ho tirato la cinghia per anni.
Per di più, quasi quotidianamente qualcuno mi prendeva da parte per consigliarmi di cambiare mestiere. Un insegnante, avendo saputo che mi arrangiavo facendo il muratore o il camionista, arrivò a dirmi: “Donald il camionista è un ottimo lavoro. Dai retta a me lascia perdere la recitazione e cerca di far carriera coi trasporti»
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• «Sutherland continuò a tenere duro e con un colpo di furberia riuscì finalmente a far girare la ruota della fortuna. Saputo che a Londra cercavano attori per una rappresentazione dell’Amleto e che il regista, per essere originale, voleva a tutti i costi qualche attore danese, Sutherland si scelse la parte di Fortebraccio e se la studiò a memoria in danese, senza capirci una parola naturalmente. Quando gli fecero il provino recitò le sue battute in danese: il regista ne fu estasiato e lo scritturò immediatamente» (Ghinelli)
• Prima audizione per un film: nel 1962, dopo otto anni di teatro. «Andò bene, o almeno così mi sembrava. Il giorno dopo ricevetti la telefonata dal regista e dal produttore che volevano spiegarmi perché non potevano darmi la parte: “Quello che hai fatto ieri è stato fantastico, ma per noi il personaggio è un tipo comune, il classico ragazzo della porta accanto e tu hai la faccia di uno che non è mai vissuto vicino a nessuno”» (Siri)
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• Poco dopo, viene ingaggiato per una parte di secondo piano in un film italiano: Il castello dei morti vivi. Si trasferisce a Roma. «Vivevo con una ragazza che avevo conosciuto lì e lei aveva mandato le informazioni sulla mia nascita a Francesco Waldner, il famoso astrologo. Lui la chiamò, le disse: “Devo assolutamente incontrare questa persona, perché diventerà una star del cinema”. Andai a trovarlo, Waldner aprì la porta, mi guardò. “Sono Donald Sutherland”, mi presentai. Al che lui disse: “Devo aver commesso un errore”. E richiuse»
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• A Hollywood approda nel 1967: ottiene una parte importante in Quella sporca dozzina grazie a un altro colpo di fortuna. «Eravamo all’ultimo giorno di prove. Io avrei dovuto recitare in un piccolo ruolo, avevo una sola battuta in tutto il film. Stavamo per andarcene, quando uno dei protagonisti, Clint Walker, alzò la mano per chiedere di parlare. Robert Aldrich, il regista, lo vide: “Che cosa c’è?”. E Clint cominciò a spiegargli che non riteneva corretto che una star di Hollywood come lui interpretasse un nativo americano. Aldrich si prese una pausa, mi guardò, e disse: “Tu, con le orecchie grandi, la parte è tua”». Quel film mi ha cambiato la vita» (a Enrica Brocardo, Vanity Fair, 2/10/2018)
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• Con M*A*S*H* arriva il successo definitivo. Il 26 marzo 1975 il Corriere d’Informazione scrive: «Sutherland fa parte della “nuova bruttezza” di Hollywood, che piace. È antidivo ma non troppo. Per esempio, contesta Marlon Brando. Dice di lui: “Gira una boiata come Il padrino e poi rifiuta l’Oscar consumistico”. Lui, se gli danno l’Oscar, se lo prende”»
• Donald diventa uno degli attori più rappresentativi del cinema americano degli anni Settanta. Bernardo Bertolucci lo vuole in Novecento, Federico Fellini in Casanova. «Un giorno lui stava facendo un’intervista sul set. Il giornalista gli chiese perché avesse scelto me per la parte. Ero abbastanza vicino da sentire la conversazione. Mi aspettavo che dicesse che mi aveva voluto perché ero un grande attore, cose del genere. E, invece, la sua risposta fu: “Perché ha gli occhi di uno che si masturba molto”»
• «Federico mi fece ritoccare il naso e allungare il mento con un trucco esasperante... Gli altri dicevano che ero orribile, io mi trovavo meraviglioso: ero finalmente diventato un personaggio felliniano»
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• Per un anno e mezzo Fellini lo tiene segregato sul set del film, quasi tutto girato a Cinecittà, con un’appendice nei dintorni di Anzio. «Per un anno e mezzo, Sutherland-Casanova era stato costretto ad andarsene in giro con il cranio mezzo rasato, sfidando quell’ironia romanesca così lontana dal suo gelido humour di uomo nato nel nord, in Canada. Di incidenti sul set ne aveva collezionati parecchi. Per un po’ ha dovuto tenere il braccio al collo per una lussazione, un orecchio gli si è mezzo distaccato durante un duello simulato (e meno male che le armi erano di plastica), un alluce gli ha fatto soffrire pene atroci ogni volta che doveva infilare certi stivali strettissimi.
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“Con Fellini era ridotto alla disperazione”, raccontano alcuni tecnici della troupe. Certo, non dev’essere piacevole essere torchiati dalle cinque del mattino fino a tarda sera, e al momento di tornare in albergo sentire Fellini con la sua vocetta flautata che ti dice “Bene, bravo Donald, ora rifacciamo”» (Roberto Farnesi, Corriere d’Informazione, 10/8/1976)
• «Posso solo dirle che le prime 5 settimane sono state le peggiori della mia vita e che nei 12 mesi successivi mi sono posto tutte le domande che un attore e un uomo dovrebbe farsi nella vita. La mia relazione con Federico era molto problematica e lo è stata a lungo, poi improvvisamente, intorno alla quinta settimana di riprese, come per magia tutto ha cominciato a funzionare. Lui si sedeva sulle mie ginocchia, mi chiedeva cose impossibili e io le facevo, come stregato.
Non l’avrei potuto fare con nessun altro. Federico non guardava mai in moviola, lasciava che lo facesse Ruggero Mastroianni (montatore del film, fratello di Marcello, ndr), perché la dimensione bidimensionale interferiva con la sua immaginazione tridimensionale. Era magico (lo ripete tre volte, come incantato, ndr). E mi manca così tanto… perché ero così intimamente connesso con lui. Mia moglie mi odia quando lo dico, ma la nostra era quasi una relazione sessuale per il genere d’intensità che sprigionava. L’ho rivisto qualche volta, qui in Italia, o a New York, poi improvvisamente se ne è andato. La sua perdita, la sento terribilmente.
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Ricordo che mi era venuto a trovare a Parma, sul set di Bernardo, ed eravamo andati via con la Mercedes che la produzione mi aveva dato. Sul sedile posteriore avevo accumulato libri su Casanova. Lui li vede: ‘Che cos’è questa roba?’. ‘Le memorie di Casanova, Federico’. Allora lui apre un finestrino e lo butta fuori. ‘Che cosa fai, Federico?’ urlo io. E lui: ‘Questo non è un film su Casanova. È un film su di me!’”.
Era Fellini. “Una volta siamo andati alla Scala insieme, lui non aveva il biglietto, ma voleva vedere l’opera. Appena abbiamo messo piede nel foyer è stato riconosciuto e decine di persone hanno cominciato a danzargli intorno in una specie di balletto adorante. E lui, per gentilezza a tutti diceva: ‘Naturalmente conoscete Sutherland?’. E qualcuno mi fa: ‘Graham Sutherland, che piacere, ha una bella cera. Graham Sutherland (pittore inglese, ndr) era morto da anni. Non avevano idea di chi fossi’» (Piacenza).
Politica
Molto impegnato. Ambientalista. Antimilitarista. Si batté contro la guerra in Vietnam. Dice di non «aver rinunciato a essere profondamente canadese, quindi democratico e liberal».
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Amori
Tre mogli. Con Lois Hardwic (1936-2010), attrice e ballerina, conosciuta negli anni dell’università, furono sposati dal 1959 al 1966. Con Shirley Douglas (1934-2020), attrice, figlia del un pastore battista e statista canadese Tommy Douglas, dal 1966 al 1971, ebbero due gemelli, un maschio e una femmina, Kiefer e Rachel (n. 1966), che con il divorzio furono affidati alla madre. Con Francine Racette, attrice franco-canadese, si conobbero nel 1974, vissero assieme sedici anni, si sposarono nell’agosto 1990, e sono ancora uniti.
«Qual è il segreto di una relazione? “A James Joyce una volta hanno chiesto del rapporto con la musa e compagna Nora Barnacle. Joyce ci ha pensato su, poi ha detto: ‘Riconoscerei il peto di mia moglie in una stanza piena di peti’. Concordo. Quarant’anni fa ero a Londra a girare Alien Thunder. In un momento di pausa sul set, vedo per la prima volta mia moglie Francine. Incantevole, con un vestito bianco. Si avvicina, mi guarda e fa: ‘Tutto a posto?’. E… Prrr!! Una pernacchia. Ero a un tavolo da poker con gli attori dietro la roulotte; uno di loro, imbarazzato, grida: ‘Sono stato io!’. (ride)Anche mia madre era così. Ogni passo ‘prrr’. Be’, l’amore non è solo questo, certo. Ma i peti sono una parte essenziale del rapporto”» (Brunamonti)
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• Con Francine, Donald ebbe tre figli: Roeg (n. 1974), Rossif (n. 1978) e Angus Redford (n. 1979). I nomi Kiefer, Roeg, e Redford, li scelse in onore di Warren Kiefer (alias Lorenzo Sabatini), che lo diresse in Il castello dei morti vivi, Nicolas Roeg, che lo diresse in A Venezia… un dicembre rosso schocking e Robert Redford, che lo diresse in Gente comune. «Quando mio figlio aveva un anno e mia moglie accompagnava a scuola il fratello maggiore, le maestre, saputo il nome del piccolo, le dissero scandalizzate che non si poteva chiamare un figlio Redford! Lei tornò a casa in lacrime e io per accontentarla le ho concesso di anteporre Angus. Ma per me resta Redford. Per un anno, nell’indecisione, lo abbiamo chiamato Bonbon. Sul passaporto è stato Bonbon per un bel po’» (alla Piacenza)
• «Altra donna della sua vita, anche se le biografie “ufficiali” non la nominano, era stata Jane Fonda: assieme i due attori hanno fatto una lunga tournée nel Vietnam e per poco non sono finiti davanti alla Corte Suprema per tradimento e istigazione alla diserzione. Da queste vicissitudini sembrò nascere un legame che si rinsaldò quando Alan Pakula diresse i due attori nel film poliziesco Una squillo per l’ispettore Klute. Gli uffici stampa non persero occasione per ricamarci sopra un bel romanzetto sentimentale.
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Ma poco dopo Donald ridimensionò l’episodio pur ammettendo di essersi divertito a lasciare che certe voci galoppassero. “Ci pensate? Una moglie che la sera invece di assalirti con i problemi del lavabo che si è ingorgato, della lite con la vicina, dei figli da sgridare, della rata della nuova macchina, ti parla dei problemi dei Papua decimati, del conflitto medio-orientale, della prossima Convenzione democratica, dei diritti civili delle minoranze. No, a pensarci bene, con Jane Fonda è molto meglio restare buoni amici e basta”» (Ghinelli).
Si disse anche che lui e Julie Christie avessero fatto l’amore per davvero sul set di A Venezia un dicembre rosso shocking. «Julie mi è simpatica perché è curiosa e golosa come me. Assieme abbiamo visitato Venezia, e lei mi faceva da guida». «Curiosamente, i lunghi mesi di riprese del Casanova non hanno dato adito ad alcun pettegolezzo: come se anziché negli studi fumosi di Cinecittà, Donald Sutherland fosse rimasto chiuso in un monastero.
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Eppure una battuta di carattere sentimentale gliel’hanno messa in bocca durante la lavorazione del film felliniano. Eccola: “Casanova mi piace perché mi assomiglia. Come lui, io ho mancato tutte le promesse fatte in gioventù, come quella di imparare a vivere armonicamente con gli altri. Casanova mi fa tenerezza perché è un fallito che ad ogni batosta si rialza, si spolvera e, per dimenticare, s’innamora. Sono anch’io un po’ così”» (Ghinelli).
Fortuna «Per spiegarvi quanto conta la fortuna nella vita di un attore vi racconterò questa storia. Nel 1978 ero a Los Angeles in coda davanti a un cinema con mia moglie. L’uomo di fronte a me si voltò: “Lei è Donald Sutherland?”. “Sì”, risposi. “La vedo in forma. Sto producendo un film, venga a trovarmi domani”. La mattina dopo andai e mi offrirono la parte del protagonista nell’Invasione degli ultracorpi. E questo solo perché mi ero trovato per caso in coda e avevo avuto la fortuna che lui si voltasse e che pensasse che avevo un bell’aspetto» (alla Brocardo).
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Curiosità
Vive a Santa Monica, Los Angeles
• Fu uno dei portatori della bandiera olimpica all’inaugurazione dei Giochi Invernali di Vancouver 2010
• Sua bisnonna era cugina di terzo grado del 19° presidente degli Stati Uniti Rutherford B. Hayes
• Nel 1979, mentre lavorava sul set di Niente di personale, un topo d’albergo gli portò via una borsa con dollari canadesi, dollari USA, biglietti aerei, la sua agenda con gli indirizzi, un orologio e l’Ordine del Canada assegnatogli da Pierre Trudeau • Nel 1975, in Il giorno della locusta, interpretò un personaggio di nome Homer Simpson. Nel 1989 apparve in una puntata dei Simpson
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• Per interpretare il cattivo di Hunger Games si è ispirato a uomini reali: uno è Bashar al-Assad
• Legge il New York Times e il Washington Post
• Non guarda serie tivù
• Gli piace ballare e viaggiare
• Non gli piace riguardare i suoi film
• Sull’Oscar alla carriera l’Academy fece incidere: «A Donald Sutherland, per una vita di personaggi indimenticabili ritratti con profonda verità» • «La spaventa la morte? “Per tutta la vita sono stato malato: poliomelite, febbre reumatica, epatite, polmonite, scarlattina, meningite. Sul set de I guerrieri con Clint Eastwood sono persino stato in coma e ho lasciato il corpo per pochi secondi. Si aprì un’enorme porta bianca. Mi sentivo dentro la placenta di un’ostrica blu. Mai stato meglio”. Cosa l’ha convinta a tornare indietro? “Il lavoro, l’amore e Venezia. Io che ho sempre voluto fare lo scultore, lì mi sento a casa”» (Brunamonti)
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Titoli di coda
«La scorsa estate, mentre giravo la serie Trust di Danny Boyle a Roma, in via Margutta, incontro una donna. Mi indica e fa: “Casanova!”. Sono scoppiato a ridere. “Vuole vedere la casa di Fellini? Ora ci abito io”. Mi ha fatto entrare. M’è parso di vedere ancora i fumetti e un suo cappello» (ibidem).