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    E ORA LA MAROGNA DIVENTA UNA ROGNA GIURIDICA (E POLITICA) - E' IL PRIMO CASO DI ESTRADIZIONE DALL'ITALIA AL VATICANO DI UN CITTADINO ITALIANO. ABBIAMO CHIESTO ALL'AVVOCATO GENTILONI SILVERI COSA PUÒ SUCCEDERE ALLA LADY DI BECCIU, IN CARCERE A SAN VITTORE IN ATTESA DELLE PRONUNCE DELLA CORTE D'APPELLO E POI DEL MINISTERO DI GIUSTIZIA. I TEMPI, I REQUISITI, IL RUOLO DELLA SANTA SEDE E DEL GOVERNO ITALIANO


     
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    Dago-Intervista ad Alessandro Gentiloni Silveri, penalista esperto di questioni internazionali

     

    Avvocato, è frequente l’estradizione dall’Italia al Vaticano di cittadini italiani?

    «A quanto consta, questo sarebbe il primo caso. Il motivo si trova nel peculiare assetto dei rapporti tra Italia e Stato Città del Vaticano in materia di giustizia penale. L’articolo 22 del Concordato dispone che le persone responsabili di un reato in territorio vaticano vengano punite in Italia dietro apposita richiesta della Santa Sede, ma aggiunge che ciò debba avvenire «senz’altro» se il colpevole si sia ‘rifugiato’ in Italia. Questa regola, di fatto, supera in radice la necessità di richiedere l’estradizione, pure teoricamente prevista dal trattato.

     

    Giovanni Angelo Becciu Giovanni Angelo Becciu

    Senonché, il termine rifugiato è stato interpretato dalla giurisprudenza vaticana con rigore, escludendo che la presenza del colpevole in Italia dettata da ragioni di mero fatto possa valere a far scattare la giurisdizione italiana. È verosimilmente per questo motivo che, nel caso di specie, le autorità d’Oltretevere hanno assunto l’inedita decisione di chiedere l’estradizione per processare il presunto colpevole in Vaticano. Viceversa, sono note diverse richieste di estradizione rivolte allo Stato Città del Vaticano, dall’Italia così come da altri Stati».

     

    Cosa si intende per ‘estradizione’ di una persona?

    «L’estradizione è la procedura attraverso la quale una persona viene consegnata da uno Stato -definito ‘richiesto’ o ‘di rifugio’- ad un altro Stato -definito ‘richiedente’- a causa del suo coinvolgimento in uno o più reati. Il fondamento teorico dell’estradizione è di impedire che l’autore di un illecito penale si sottragga alla giustizia del Paese dove si è verificato il fatto fuggendo all’estero, dove le Autorità di quello Stato non possono agire perché violerebbero la sovranità dello Stato di rifugio. Si tratta di un meccanismo giuridico che ha radici antiche ed è praticato, con sempre più limitate eccezioni, pressoché in tutto il mondo, con modalità analoghe nei diversi Stati».

    cecilia marogna cecilia marogna

     

    Da cosa è regolata una procedura di estradizione?

    «Nella maggioranza dei casi, l’estradizione è regolata da veri e propri trattati internazionali, bilaterali o multilaterali -ad esempio quello tra gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea- debitamente ratificati, attraverso i quali il Paese richiedente e quello richiesto si impegnano reciprocamente ad estradare e stabiliscono, oltre alle condizioni per la consegna, le modalità dell’intera procedura. Nell’ambito europeo, inoltre, l’esigenza di favorire la consegna di persone e di velocizzarne l’esecuzione ha condotto all’adozione, nel 2004, di una snella procedura che prende il nome di Mandato di Arresto europeo, che ha soppiantato l’estradizione».

    ALESSANDRO GENTILONI SILVERI ALESSANDRO GENTILONI SILVERI

     

    Per venire estradati è necessario essere stati già condannati?

    «No. La consegna può essere domandata o perché la persona interessata, essendo già stata condannata in via definitiva nel Paese richiedente, deve scontare la pena -ed allora si parla di estradizione esecutiva- oppure perché deve ancora essere assoggettata ad un processo affinché vengano accertate le sue eventuali responsabilità. È questo il caso di Cecilia Marogna: l’estradizione si definisce processuale. Tuttavia, è necessario che a carico dell’interessato sia stato emesso, nel Paese richiedente, un mandato di cattura. Nel caso di specie, risulta che le autorità vaticane abbiano richiesto l’arresto e la consegna in data 13 ottobre 2020».

     

    Come si sviluppa la procedura?

    «In due fasi. La prima si svolge davanti all’autorità giudiziaria dello Stato richiesto. Per l’Italia, è competente in prima istanza la Corte d’Appello e poi, in caso di ricorso, la Corte di Cassazione. L’obiettivo di questa prima fase, definita giurisdizionale, è di stabilire se esistono le condizioni giuridiche per consegnare la persona richiesta. All’atto pratico, si tratta di un vero e proprio procedimento penale, che tuttavia non ha come obiettivo determinare la colpevolezza o l’innocenza, ma solamente verificare se tutti i requisiti legali per l’estradizione sono soddisfatti.

     

    CECILIA MAROGNA CECILIA MAROGNA

    La seconda fase scatta solamente se i Giudici hanno emesso una sentenza favorevole all’estradizione, ed ha natura politico-amministrativa. L’autorità competente in questo caso è il Ministro della Giustizia, che emette un decreto di concessione o rigetto dell’estradizione sulla base di motivazioni di opportunità politica, oppure di tutela della sovranità, sicurezza, o di altri interessi essenziali dello Stato italiano. Il Governo, quindi, ha il potere di negare una domanda di estradizione di cui le Corti italiane hanno riconosciuto la legittimità giuridica, ma non l’inverso».

     

    Le autorità italiane quindi non si pronunceranno sulla fondatezza delle accuse vaticane?

    «Non con il criterio dell’«oltre ogni ragionevole dubbio», che in un processo penale italiano ordinario è necessario per ottenere una condanna. Se non esiste un trattato di estradizione tra i due Paesi, o se il trattato nulla dispone sul punto, come avviene per il Concordato, i Giudici italiani devono accertare l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza e questo impone una valutazione accurata degli elementi di presunta responsabilità della persona richiesta per il reato oggetto di estradizione. Gli elementi in questione vengono presentati dal Paese richiedente insieme alla richiesta di estradizione ed eventualmente smentiti da attività difensive svolte in Italia. Inoltre, per un principio generale, il fatto per cui viene domandata l’estradizione deve costituire reato sia per l’ordinamento del Paese richiedente che per quello del Paese di rifugio».

     

    Per quali altri motivi giuridici l’estradizione potrebbe venire rifiutata?

    CECILIA MAROGNA CECILIA MAROGNA

    «L’estradizione può costituire il veicolo attraverso cui regimi dittatoriali o non democratici tentano di ottenere il rimpatrio di dissidenti o oppositori politici. Esistono, sullo scenario internazionale, esempi di Stati dove vengono fabbricate accuse penali poi poste alla base di richieste di estradizione.

     

    Per impedire questi fenomeni, la legge prevede che le Corti italiane rifiutino la consegna di persone se il reato per cui si procede ha natura politica, oppure se esiste la ragionevole convinzione che il procedimento penale sia uno strumento di persecuzione del singolo individuo per motivi politici, religiosi, di razza, condizioni personali, solo per citarne alcuni. Anche al di là di questi fenomeni, l’Italia -così come la maggior parte delle democrazie- non può estradare persone se, nel Paese di destinazione, rischiano di subire un processo non equo oppure trattamenti inumani e degradanti negli istituti penitenziari dove potrebbero scontare la condanna. Infine, non si può far luogo ad estradizione se per gli stessi fatti pende in Italia un procedimento penale, oppure c’è già stata condanna».

     

    Il Vaticano potrebbe intervenire nel procedimento italiano, perorando le ragioni a favore dell’estradizione?

    «Lo Stato richiedente può partecipare alla procedura di estradizione attraverso un difensore abilitato al patrocinio in Italia, purché l’intervento venga formalizzato entro certi termini e, soprattutto, esista reciprocità, ovverosia il medesimo diritto di intervento venga riconosciuto alla Repubblica Italiana nello Stato Città del Vaticano in casi analoghi».

     

    Durante il procedimento, la persona interessata è trattenuta in carcere?

    «Dipende da due fattori: una richiesta in tal senso da parte del Ministero della Giustizia, sulla base di sollecitazione dello Stato estero, e la valutazione rimessa all’autorità giudiziaria italiana circa il grado delle esigenze cautelari, con particolare riguardo all’esigenza di garantire che la persona non si dia alla fuga durante il procedimento.

     

    giuseppe conte alfonso bonafede giuseppe conte alfonso bonafede

    Un fattore importante è quello del radicamento della persona nel Paese di rifugio: il rischio di fuga di un cittadino residente, che lavora o ha consolidati legami familiari è molto inferiore a quello di uno straniero che è stato arrestato in Italia magari casualmente, perché si trovava a transitare per un breve periodo sul nostro territorio. A seconda, quindi, della valutazione della Corte che procede, il regime cautelare potrà andare dalla custodia in carcere, a tutte le altre misure meno afflittive previste dal codice di procedura, per esempio arresti domiciliari, obbligo di firma, divieto di espatrio. Oppure il processo potrà svolgersi con l’interessato in stato di libertà».

     

    La Corte d’Appello di Milano ha già disposto la custodia cautelare. È una decisione definitiva?

    «L’arresto è avvenuto in Italia perché le autorità vaticane, come di prassi in questi casi, hanno diramato il mandato di cattura anche all’estero. La Corte d’Appello competente per territorio ha convalidato l’arresto e, valutati gli indizi di legge, in particolare valorizzando la gravità dei reati contestati Oltretevere, ha ritenuto che il pericolo di fuga potesse essere neutralizzato solamente con la detenzione in carcere. La decisione può essere impugnata con un ricorso alla Corte di Cassazione, che si pronuncerebbe, in tempi relativamente brevi, solamente sulla situazione cautelare e non sulla richiesta di estradizione. Nel frattempo, comunque, la difesa può sempre sottoporre istanze di modifica del regime cautelare, motivate però da fatti nuovi rispetto a quelli già valutati».

     

    Quali sono i tempi di una procedura estradizionale?

    «Dipende dal calendario stabilito dalla Corte d’Appello che procede, e poi della Corte Suprema se vi è ricorso alla stessa. Se l’estradando rimane in stato di custodia cautelare, i tempi si restringono. Solitamente, in tali casi l’intera fase giurisdizionale di una richiesta di estradizione dura circa sei-otto mesi. Una volta che sia stata emessa una decisione favorevole alla consegna, il Ministro della Giustizia deve adottare il proprio decreto entro quarantacinque giorni».

    San Vittore San Vittore

     

    Il fatto che Cecilia Marogna sia cittadina italiana, e non vaticana, impedisce l’estradizione?

    «No. Diversi Stati prevedono il divieto assoluto di estradare dei propri cittadini, o significative limitazioni alla possibilità di consegnarli, ma l’Italia non è tra questi. Si tratta di retaggi storici antiquati, che derivano dall’epoca in cui i soldati di ventura rischiavano, una volta rientrati in patria, di venire riconsegnati al Paese dove avevano combattuto per rispondere di reati compiuti in battaglia.

     

    Alcuni trattati internazionali, tuttavia, ancora prevedono limitazioni all’estradizione, o divieti, basati sulla cittadinanza, ma questi vincoli spesso vengono bilanciati dalla clausola aut dedere aut iudicare, vale a dire che in caso di rifiuto della consegna per ragione di cittadinanza, lo Stato richiesto, per evitare l’impunità del presunto colpevole, deve processarlo nel proprio territorio. Lo Stato di cittadinanza, in questo modo, assume responsabilità per il comportamento dei propri cittadini all’estero».

     

    Un’eventuale condanna comporterebbe la permanenza nelle carceri vaticane?

    «Non necessariamente. Nel gennaio 2019 la Santa Sede ha ratificato un’importante convenzione internazionale multilaterale sul trasferimento delle persone condannate. Il trattato prevede che, se un cittadino italiano deve scontare una pena detentiva all’estero, in un Paese firmatario della convenzione, ne può essere disposto il trasferimento nello Stato di cittadinanza, così che l’esecuzione della pena avvenga nel contesto socio-familiare di riferimento e favorisca il reinserimento del condannato».

     

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