DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Candida Morvillo per il ''Corriere della Sera''
A 83 anni, Mario Bellini ha presentato alla Design Week di Milano due tavoli, tre coffee table, tre installazioni, un vassoio, una sedia. Ha cantieri aperti a Roma (per il Museo del Foro Antiquarium), a Trieste (per la torre di Generali) e a Genova (per il Parco Scientifico Tecnologico Erzelli). Ai Caraibi, sta resuscitando l' isola Virgin Gorda, spazzata via dall' uragano Irma, ed è un lavoro di anni, con ville, porti, alberghi.
Racconta: «Ho visto i pontili crollati, le finestre e i tetti sfondati, e ho incontrato solo persone che non ci pensano proprio ad andarsene, anche se sanno che potrebbe succedere ancora». Conta di cominciare a costruire anche una città in Cina, «una Venezia sui canali, che incornicia il villaggio preesistente in un immenso sipario». Ha progetti per un decennio, ma dice di non sentire la stanchezza e che l' unico segno dell' età è la difficoltà a ricordare le date. A Milano, nella sua casa dalle librerie alte nove metri e affacciata su un giardino, stende su un tavolo appunti con gli anni cerchiati in colore che, poi, però, non guarderà mai.
Fra i massimi maestri del design, ha vinto otto Compassi d' oro, un record. Il MoMa di New York ospita 25 sue opere nella collezione permanente e già nel 1987 gli aveva dedicato una retrospettiva. Ha fatto il Padiglione Islamico del Louvre di Parigi ed è stato il primo a disegnare un mobile di plastica e un personal computer, ha di fatto inventato la monovolume ed è una storia bizzarra: «Ne presentai la struttura al MoMa, nel '72. Pensavo che mi avrebbero chiamato General Motors, Chrysler, Ford. Niente, quell' auto era talmente avanti che la prima, non mia, fu prodotta 13 anni dopo e solo gli storici del settore mi riconoscono la paternità dell' idea».
Qual è il primo mobile che disegnò?
«Un tavolo minimalista, quando la parola ancora non usava, presentato alla Biennale dello Standard di Mariano Comense. Avevo 27 anni, vinsi il Compasso d' oro, misi il tavolo su un furgoncino e lo portai a Cesare Cassina, uno di quei geniali mobilieri della Brianza che iniziavano a cambiare la storia del mobile. Lui lo guarda e dice ai suoi, in milanese: dite a questo figlio che, se vuole, da domani disegna per noi».
Com' erano quei mobilifici degli Anni 60?
terminale olivetti mario bellini
«Il centro ricerca di Cassina era come una sala parto: coi falegnami, i tappezzieri, quelli che saldavano il ferro. Lo dirigeva Francesco Binfaré. Noi designer andavamo a turno per non spiare gli altri. Un giorno, dico a Francesco: facciamo una sedia. La facemmo coi tondini di ferro e il ragazzo che li saldava davanti a noi. Vidi lo scheletro e pensai di rivestirlo di cuoio. Nacque la Cab, ancora in vendita ovunque. Fare una buona sedia è più difficile che fare un grattacielo».
E perché mai?
«La sedia esiste dai tempi di Tutankhamon, è un paramento del corpo umano: se consenti a una sedia di essere brutta, è sgraziato e brutto anche chi ci si siede».
Ora ne ha presentata una il cui prototipo era del 1970.
1972 car a sutra monovolume di mario bellini
«Da allora, la mia Teneride di Cassina era stata nei musei, ma la tecnologia non consentiva di realizzarla: volevo che, sedendosi, si schiacciasse come un soffietto. Ora ci siamo riusciti, se ti siedi, si flette. È diventata viva».
Cos' è per lei il design?
«Spesso lo chiedo alle commesse. Sono diabolico, prendo un tostapane e domando: "Questo è di design? Sì? E perché?". Nessuno sa rispondere e io mi diverto. A lungo, non ho saputo rispondere neanch' io. Oggi, penso che il design sia la fine dei vecchi stili e, quindi, lo stile del nostro tempo».
Lei è nato assieme al design.
1972 car a sutra monovolume di mario bellini
«Pensi che, all' università, avevo per professore Giò Ponti, che era visto con sufficienza dagli architetti della vecchia guardia perché disegnava anche mobili e oggetti».
Invece lei iniziò proprio con gli oggetti.
062 mario bellini;alessandra repini nin 4555
«Era il 1960, volevo sposarmi e avevo bisogno di lavorare. La Rinascente aveva messo su uno strano "ufficio di ricerche merceologiche e progettuali" affacciato sul Duomo. Cercavano architetti per "disegnare cose". Lampade, mobili, tutto. Eravamo tre amici e ci offrimmo: "prendi tre e paghi uno"».
Primo oggetto di design?
«Una lampada. Quando il reparto chiuse, iniziai a disegnare, fra gli altri, per Olivetti».
Disegnò calcolatori, fatturatrici. Fino al primo Pc della storia.
«Era la P101, la presentammo a New York nel '65 ed era incredibile se si pensa che, a fine Anni 50, i primi computer occupavano stanze. Con Olivetti, collaborava già Ettore Sottsass: furono create due unità, lui coordinava i grandi computer, io i prodotti di consumo. Gestivo 50 persone in un ufficio bellissimo nella natura, chiamato, non so perché, pollaio».
MARIO BELLINI E MARISA BELLISARIIO
Andava d' accordo con Sottsass?
«Ci siamo cordialmente ignorati. Lui era lì da prima, gli piacevano i giovani, a patto che facessero parte del suo ballo e io non sognavo di fare il suo aiuto. Ero indemoniato di lavoro, nel frattempo, disegnavo anche mobili, elettrodomestici, di tutto».
Perché la grande Olivetti tramontò?
«Perché, con la P101, si passava dalla meccanica all' elettronica e servivano finanziamenti, nuove professionalità. Girava la storia che gli americani temessero che gli italiani potessero eccellere in quel campo, che la Cia ci tenesse d' occhio, erano ipotesi verosimili, ma ipotesi».
L' America fu il suo tuffo nella modernità.
«Il primo viaggio lo feci per la mostra del MoMa nel '72. Chiesi al museo una lettera di presentazione che spiegava che, su loro incarico, studiavo la cultura americana e che invitava a mettersi a disposizione. Partii con Binfaré e il fotografo Davide Mosconi: eravamo tre pazzi scatenati, pieni di macchine fotografiche, cineprese. Suonavamo ai campanelli, entravamo nelle case. Senza quella lettera, saremmo stati arrestati».
E che cosa avete visto?
«Siamo entrati nelle ville di Beverly Hills occupate dai figli dei fiori, nella stanza da letto di Hugh Hefner in sua assenza, nella chiesa di uno che si diceva Satana, nello studio di Andy Warhol che, altro che factory, sembrava un loft altoborghese. Abbiamo intervistato un "apostolo" mormone sulla poligamia».
Come le vengono le idee?
«Disteso a letto, prima di dormire, a occhi chiusi. Mentre la coscienza si spegne, è possibile immaginare le cose più complesse, la mente si espande, diventa un luogo».
E che cosa fa, si alza e disegna?
«Rimando al giorno dopo e, se l' idea è volata via come un uccellino, fa niente, ritornerà.
La voliera è nella testa».
Cosa rende iconico un pezzo di design?
«Lo scopri solo se poi vende. A volte, è troppo in anticipo sui tempi. La prima cosa che feci in Cassina fu la 932, una poltrona senza struttura, quattro cuscini legati con cinture, non ebbe successo. L' anno scorso, l' ho riconcepita, alleggerita, sembrava nuovissima».
Invece, gli imbottiti Le Bambole fecero successo e scandalo.
«Oliviero Toscani li fotografò con sopra Donna Jordan in topless. La foto fu censurata con una pecetta sul seno: diventarono il divano e la poltrona che tutti volevano, ma li volevano anche perché erano morbidi, erano i primi dentro i quali si sprofondava».
sedia teneride di mario bellini per cassina
Quando capisce che un disegno è finito?
«Mi fermo quando l' oggetto parla e interpreta la sua capacità di dare emozione».
Perché per anni non ha disegnato edifici?
teneride mario bellini per cassina
«Non mi piaceva interagire con le gabbie dell' urbanistica né con la politica. Poi, negli Anni 80, realizzai i due condomini industriali di via Kulishoff a Milano e farli mi piacque. Dopo, di edifici ne ho fatti in Giappone, Australia, Germania, Stati Uniti, negli Emirati Arabi. Però, curiosamente, la prima cosa in assoluto che ho costruito è stata una casa».
Quando?
«A dieci anni. Per la guerra, la mia famiglia era sfollata a Cavaria, nel Varesino. Eravamo una banda di dieci cugini in un grande parco verde. C' era una fornace di mattoni che io e mio cugino Antonio usammo per tirar su una casa di tre metri per due. La libertà di crescere nel verde, inventarsi i giochi, mi ha regalato l' immaginazione necessaria al mio lavoro».
Perché disse no a Steve Jobs?
«Venne a trovarmi due volte, dopo avermi conosciuto ad Aspen nell' 81. Sarei finito a disegnare tavolette. L' iPhone e l' iPad sono niente, sono superfici su cui compare un' immagine: non c' è nulla da disegnare».
mario bellini poltrona cassina
Sarebbe diventato molto più ricco.
«Lo sarei diventato anche se avessi chiesto le royalties sul Pop 45, il mangiadischi colorato. Ne hanno venduti milioni. Era il '68 e portò la musica fuori casa. Ma, almeno, reinventare quello è stato divertente».
Come vuole invecchiare?
«Ogni sera andando a dormire e sognando di dare, il giorno dopo, corpo ai miei sogni».
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