uiguri musulmani cinesi
Carlo Nicolato per “Libero Quotidiano”
C'è una via cinese nella lotta contro il radicalismo islamico. Una via che non fa troppe distinzioni tra buoni e cattivi, tra moderati ed estremisti, tra quella che spesso viene generosamente definita «religione di pace» e quella che invece nei fatti non lo è. Sarebbe in realtà la via comunista, che nega a prescindere la libertà di religione, ma in questo caso il comunismo, se ancora in Cina si può parlare di comunismo, è più che altro una scusa.
Nemmeno in Cina infatti l' islamismo, e il terrorismo con sé, è un problema da poco: c' è una regione nell' estremo nord ovest del Paese, lo Xinjiang, grande quanto la Francia, la Germania e la Spagna messi insieme, abitata per la metà dagli Uiguri, etnia turcofona di religione islamica che lotta per l' indipendenza e di conseguenza infastidisce non poco Pechino.
UIGURI IN RIVOLTA
Secondo molti la loro fede in questo caso c'entra poco, secondo altri invece è ciò che unisce gli uiguri nella lotta, supportata non a caso dai movimenti islamici turkmeni ai quali li accomuna una certa inclinazione all' attentato terroristico (l' ultimo dei quali a febbraio, quando tre uomini con coltelli hanno ucciso cinque persone e ne hanno ferite diverse altre, prima di essere a loro volta uccisi dalla polizia).
Dicevamo del comunismo, è stato infatti con l' arrivo nello Xinjiang del nuovo leader locale del partito, il pluridecorato nella repressione del Tibet Chen Quanguo, che le cose per gli islamici locali hanno inziato a mettersi molto male.
UIGURI IN RIVOLTA
Forte della quasi carta bianca ottenuta da Pechino, dopo solo qualche mese dal suo insediamento (agosto 2016) Chen ha varato un paio di provvedimenti che da soli da noi in Europa creerebbero scompiglio in qualche milione di famiglie di immigrati.
Per prima cosa ha vietato il nome Muhammad in tutte le sue declinazioni, nel senso che da aprile scorso, mese in cui la legge è entrata in vigore, le famiglie locali non potranno chiamare più i loro figli col nome del profeta, ma nemmeno con quello di Arafat, il defunto leader palestinese, di Jihad o di Medina, dal nome della città saudita sacra agli islamici e dove peraltro sarebbe sepolto lo stesso Maometto.
Chen Quanguo
La seconda misura è il taglio delle barbe lunghe, che vale per tutti i maschi del Paese. Una misura significativamente contraria a quella imposta dalle autorità dove vige la visione più ferrea della sharia, in cui la barba viene considerata «una benedizione di Allah». A chi trasgredisce la regola del nome sembra venga negata la registrazione del bambino, e quindi l' assistenza sanitaria e scolastica allo stesso.
Non si sa invece a cosa vada incontro chi non si taglia la barba. Si sa però che con l'arrivo del nuovo segretario locale del Partito comunista molti uiguri sono stati costretti a consegnare il loro passaporto e se vorranno recarsi all' estero dovranno sottoporsi a lunghe trafile e controlli per la sua restituzione. Ad altri invece, quelli che hanno la fortuna di possedere un'auto, è stata ordinata l' installazione di dispositivi satellitari per tenere sotto controllo i loro movimenti.
Xinjiang Uygur
Le misure del durissimo Chen Quanguo si sommano a quelle già presenti da qualche anno, come il divieto di pellegrinaggio non autorizzato alla Mecca, il divieto di digiuno durante il Ramadan per gli studenti universitari, quello del velo nei luoghi pubblici e quello di frequentazione di certe moschee per i minori di 18 anni.
Tra l' altro da qualche tempo nello Xinjiang è anche attiva un' applicazione anti-uiguro, con la quale ogni cittadino può segnalare situazioni di pericolo legate alle attività degli islamici. Sono previsti premi: nella sperduta città di Altay sono state promesse ricompense fino a 5 milioni di yuan, pari a circa 640mila euro, a chi permette la cattura dei militanti islamisti più pericolosi.
xinjiang province, china