DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Estratto dell’articolo di Arcangelo Rociola per “la Stampa”
Tra Meta e gli editori australiani è guerra aperta. L'azienda che possiede Facebook, Instagram e Whatsapp ha deciso di non rinnovare l'accordo da 70 milioni di dollari firmato con i media di Canberra per rispettare una legge voluta nel 2021 dal governo australiano. La legge impone ai colossi tecnologici di trovare un accordo con gli editori per ospitare gli articoli sulle piattaforme. Ma di quell'accordo Meta non ne vuole più sapere.
Per non violare la legge l'azienda di Mark Zuckerberg ha deciso di rimuovere la sezione "notizie" che compariva sulle proprie applicazioni, sezione nata proprio in virtù della norma del 2021.
Una decisione, quella di Meta, duramente criticata dal governo australiano. E dagli editori che oggi chiedono all'esecutivo guidato da Anthony Albanese di non piegare la testa e passare al contrattacco. Il presidente esecutivo di News Corp Australia, Michael Miller, ha detto che la decisione di Meta mette a rischio centinaia di posti di lavoro ed espone gli australiani a truffe e disinformazione. «L'Australia non deve rinunciare alla leadership di Paese pronto ad affrontare Big Tech. Meta pensa di essere al di sopra del governo e delle leggi. Non ha alcun interesse verso le nostre comunità».
[...] Meta dal canto suo si è difesa dicendo che oramai le persone non usano più i social per informarsi o tenersi aggiornati. E che attualmente il traffico sulle piattaforme sociali legato alle notizie è inferiore al 3%. Percentuale che Meta condivide con tutti i grandi network.
Quel 3% rappresenta un lento ma costante cambiamento nell'uso dei mezzi. Sempre meno fonte di informazione e dibattito, soprattutto per effetto di alcuni cambiamenti voluti dalle social stessi, che hanno ridotto la visibilità di notizie e link dei giornali per dare priorità a gruppi, foto e video. Ma è pur vero, come sostiene Miller, che sui social spesso ci si imbatte in informazioni artefatte, video e foto create con l'intelligenza artificiale, a volte strumenti per tentare truffe a danno degli utenti.
E - temono gli editori di Canberra - senza la presenza di giornali qualificati, tutta l'informazione sulle piattaforme potrebbe venire veicolata da fonti non attendibili, se non di veri e propri cavalli di Troia per azioni criminali. Un danno enorme per le democrazie. Al momento la partita è apertissima.
Diversi Paesi stanno cercando di stringere accordi tra editori e social, un tempo piazze virtuali, oggi un po' più giardini privati. Tanto da indurre i colossi a fare spallucce a chi chiede loro di farsi carico del loro ruolo sociale: quello di tassello delle democrazie, piattaforme dove viaggia anche l'informazione e che contribuiscono alla possibilità che questa sia corretta e verificata.
«Non sono sicuro Meta ritenga ancora quel 3% di traffico che arriva dai giornali strategico. Senza i giornali perderebbe sì centralità nel dibattito pubblico e nella diffusione delle informazioni. Ma il danno più grave lo potrebbero avere i piccoli media che vivono soprattutto sui social e che Facebook non esisterebbero», spiega a La Stampa Matteo Flora, tra i massimi esperti di social network e docente di Sicurezza delle Ai presso la European School of Economics. […]
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