Francesca Santolini per la Stampa
EMERGENZA CLIMA
La pianura padana è la zona della penisola dove si concentra il 35 per cento della produzione agricola nazionale e dove si produce circa il 40 per cento del pil italiano. Tuttavia, negli ultimi mesi la sua principale riserva d’acqua, il bacino idrico del Po, si è ridotta drasticamente.
Mentre il Sud Italia è stretto nella morsa del gelo e bloccato da bufere di neve, al Nord scatta l’allarme siccità, con il livello del Po sotto di 3,5 metri rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. È quanto emerge da un monitoraggio della Coldiretti sullo stato di salute del più grande fiume italiano (a volerlo seguire per intero si percorrerebbero circa 652 chilometri). Una fotografia che racconta molto nitidamente delle anomalie climatiche che segnano i nostri tempi, con un’Italia alla rovescia e spaccata in due. Al nord non piove e non nevica dall’inizio dell’inverno, e gli effetti si fanno sentire con il ripetersi di incendi boschivi fuori stagione, mentre cresce l’allarme degli agricoltori per la mancanza di acqua necessaria a creare le riserve idriche per i prossimi mesi. La mancanza di precipitazioni rischia di compromettere colture come grano e mais, provocando danni enormi alla produzione agricola.
FIUME PO 3
Il Veneto ha quasi 1 milione di ettari coltivati, 80 mila imprese agricole, con circa 5 miliardi di euro di produzione agricola all’anno. Tuttavia il rigoglioso Nord est si trova alle prese con una terribile siccità: temperature massime più alte di 3 gradi e neanche una goccia di pioggia da molti mesi. Una drammatica crisi idrica che risale fino alla foce dei grandi fiumi.
Qui i contadini oltre alle secche devono fronteggiare un altro problema: l’acqua salata. Il basso livello delle falde ha favorito l’infiltrazione dell’Adriatico lungo le foci dei fiumi in secca, determinando l’aumento dei livelli di sale nell’acqua dolce (il limite di salinità dell’acqua per poter essere utilizzata per l’irrigazione si aggira intorno ai due grammi al litro). Il fenomeno prende il nome di cuneo salino ed è uno dei problemi che fa più paura agli studiosi e agli agricoltori. Quali sono le cause? I motivi sono tanti: dall’abbassamento del canale di scorrimento del fiume, per il continuo prelievo di sabbia e pietrisco, agli stati di magra del Po, proprio come sta avvenendo in questi giorni, un fenomeno sempre più frequente a causa del cambiamento climatico.
FIUME PO SICCITA'
Nelle campagne del litorale veneto, i fiumi portano sempre meno acqua dolce nei campi, e così il cuneo salino rende inutilizzabile l’acqua per irrigare il terreno, causando ingenti perdite dei raccolti e danni enormi agli agricoltori. Con il cuneo salino la perdita del raccolto può arrivare fino al 100% perché il suolo salificato può distruggere completamente le colture, con il paradosso di avere terreni fertilissimi. Ma a rendere la situazione preoccupante è anche il livello dei laghi, con quello di Como che si trova sotto di 34 centimetri rispetto alla media storica, con un riempimento poco sopra il 23%, sottolinea la Coldiretti. La mancanza di precipitazioni e la siccità al Nord, è la conseguenza di un aumento delle temperature, con un 2018 che è stato lungo tutta la Penisola, secondo i dati del Cnr, il più caldo dal 1800 ad oggi, con una anomalia di +1.58°gradi sopra la media del periodo di riferimento (1971-2000). Con l’aumento medio delle temperature, l’eccezionalità degli eventi atmosferici è ormai diventata la norma, l’alternarsi di siccità e gelate, sconvolgimenti stagionali, bombe d’acqua o addirittura uragani. Il risultato di questi eventi estremi è, tra le altre cose, un conto salatissimo che paga anche l’agricoltura: secondo la Coldiretti, ammontano a 1,5 miliardi di euro le perdite subite solo nel 2018. Il fatto che questa situazione costituisca ormai una conseguenza pressoché stabile dei cambiamenti climatici in corso, è testimoniato da diversi studi.
cambiamenti climatici
L’analisi dell’ agenzia regionale per la protezione dell’ambiente dell’Emilia Romagna (Arpae) conferma, in questo senso, i dati delle Nazioni Unite e dell’Ispra: “Dal 1960 a oggi sul bacino del Po si osserva un aumento delle temperature medie annue di circa due gradi, che potrebbero arrivare a tre o quattro alla fine del secolo”. Al tempo stesso, rispetto a trent’anni fa le precipitazioni medie annue sono diminuite del 20 per cento. Inoltre, secondo uno studio del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), il cambiamento climatico gioca un ruolo determinante nel ridurre le riserve idriche del bacino, “il ciclo idrologico alterato provoca uno scioglimento anticipato dei nevai e le stagioni di coltivazione diventano più lunghe, facendo così crescere la domanda d’acqua e i prelievi: è un circolo vizioso”. È probabile, se non certo, quindi, che l’aumento delle temperature medie finirà, anche nei prossimi anni, per danneggiare i raccolti sia in termini di quantità sia di qualità, mentre la richiesta d’acqua sarà sempre maggiore.
In generale, infatti, gli esperti segnalano la difficoltà di poter garantire le stesse quantità d’acqua usate oggi per irrigare i campi, considerato che il cambiamento climatico, oltre a manifestarsi con fenomeni atmosferici violenti, comporterà una riduzione della disponibilità di acque superficiali, causando una riduzione delle risorse idriche complessivamente disponibili.