Lara Sirignano per "Il Messaggero"
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Il libro in cui ha raccontato la sua storia si intitolava Ero cosa loro, una biografia fatta di violenze, destini già scritti, sopraffazione, fino alla scelta di uscire dalla prigione di una famiglia mafiosa che, su designazione dei fratelli, suo malgrado, aveva finito per guidare.
Sarebbe stato l'amore per il figlio, che avrebbe voluto allontanare da una sorte criminale quasi naturale, a spingerla a pentirsi. «Mentre ero in carcere mi portarono mio figlio. Aveva solo sei anni e mi chiese perché fossi detenuta e cosa era la mafia. Io lo presi in braccio e tentai di spiegarli che la mafia è una brutta cosa», disse durante uno dei primi processi in cui vestiva i panni della collaboratrice di giustizia.
il libro ero cosa loro
Un ravvedimento durato poco quello di Giusy Vitale, 50 anni, sorella di due padrini, storici alleati di Totò Riina, alla guida del mandamento di Partinico, paesone a 50 chilometri da Palermo ostaggio dei fumi maleodoranti di una distilleria.
Gli antichi legami si sarebbero riannodati attorno ai vecchi affari. E Giuseppina detta Giusy, che vantava il primato della prima boss in gonnella e della prima donna ad aver voltato le spalle al clan, è tornata in cella.
Secondo la Dda di Palermo sarebbe a capo di una organizzazione di narcotrafficanti che, insieme ad altri 4 gruppi criminali, si spartiva la gestione dei flussi di stupefacenti tra Palermo, la provincia e Trapani.
L'ORDINANZA
«È assolutamente chiaro come la donna non si sia dissociata dall'ambiente criminale in genere e da Cosa nostra in particolare», scrive il gip nella ordinanza che applica la misura cautelare a 85 tra boss e trafficanti di droga, Giusy compresa.
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Tra gli episodi che dimostrerebbero che l'ex pentita, protagonista di documentari di diverse tv straniere, non ha mai rotto il suo rapporto con il clan c'è una sua conversazione con il nipote Michele Casarrubia del dicembre 2018.
I due sono a Roma per trattare l'acquisto di una grossa partita di cocaina con il clan dei Casamonica. Casarrubia, nell'informare la zia delle dinamiche criminali della cosca di Partinico, le riferisce che, a seguito di un furto di marijuana commesso dal cugino, Michele Vitale, questi era stato convocato dai vertici della cosca per rendere conto del suo gesto.
La donna, per nulla sorpresa, risponde che l'iniziativa è assolutamente fisiologica perché conforme alle regole di Cosa nostra. Regole che Giusy non ha mai dimenticato.
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Ma l'inchiesta della Dda che ha svelato il bluff della prima pentita ai vertici di un clan, racconta, ancora una volta, che a comandare in Cosa nostra sono sempre gli stessi personaggi. I Vitale, in questo caso.
Il 41 bis, che ha ormai messo fuori gioco Leonardo e Vito, non ha interrotto la tradizione. E se Giusy è tornata alla famiglia in nome del business non hanno mai abbandonato la strada tracciata da Cosa nostra il nipote Michele, la sorella Antonina e il genero di Leonardo Vitale, Nicola Lombardo.
A Michele appena adolescente, cresciuto a pane e mafia, il padre ergastolano sussurrava durante i colloqui in carcere di riferire «che c'era una vacca da scannare», chiaro riferimento a un omicidio da eseguire.
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Sulle orme del genitore il giovane Vitale entra ed esce di galera, poi passa a occuparsi degli affari e prende in mano un gruppo criminale capace di coltivare e produrre enormi quantità di marijuana e di gestire un vasto traffico di droghe.
La banda controlla diverse piazze di spaccio e per la cocaina si approvvigiona dalla ndrina dei Pesce di Rosarno e da un noto narcotrafficante romano poi catturato in Spagna. Di peso nell'organigramma del mandamento anche Lombardo, deputato alla risoluzione di controversie tra privati.
PRESTIGIO CRIMINALE
In virtù del prestigio criminale che gli derivava dall'inserimento organico nella famiglia di Partinico amministrava l'ingiustizia mafiosa dirimendo le liti tra imprenditori in disaccordo sulla concessione d'uso di alcune macchinette del caffè, recuperava trattori rubati a un uomo d'onore, faceva ottenere risarcimenti ad agricoltori il cui raccolto era stato devastato dagli animali di un allevatore.
TOTO RIINA
Ordinaria gestione di potere di un clan che ha potuto contare anche sull'appoggio di insospettabili: amministratori locali collusi il Comune recentemente è stato sciolto per infiltrazioni mafiose - ma anche un agente di polizia penitenziaria che, in cambio di ricotta, vestiti e buoni benzina portava fuori dal carcere gli ordini del boss detenuto.
ARRESTO DI TOTO RIINA TOTO RIINA