1.LA CORSA DI MILANO PER L’EXPO - SEMPRE AL LAVORO 6000 OPERAI
Fabio Poletti per “la Stampa”
CANTIERE EXPO MILANO
Attorno al Padiglione Italia ci sono quattro gru sempre in movimento. Dentro a questi cinque piani di cemento biodinamico e vetro fumé operai col caschetto di protezione srotolano rotoli di catrame, lavorano di fiamma ossidrica, spostano scale e tirano fili elettrici che ancora penzolano. Nel cantiere di Expo 2015 che non dorme mai, 6000 operai sono al lavoro giorno e notte, non c’è Pasqua, non ci sono santi.
Mancano 28 giorni all’inaugurazione e non c’è un centimetro che non sia affollato da camion e caterpillar. «E’ come essere tutti i giorni in battaglia...», giura un operaio sotto l’Albero della vita su cui svetta la bandiera italiana e quella di Brescia, orgoglio degli operai che l’hanno tirato su per 35 metri con fronde di legno e acciaio larghe 27. Sembra finito l’Albero simbolo di Expo 2015. Manca la sommità, mancano alcuni migliaia di led e gli allacciamenti elettrici, mancano venti giorni per tirare finalmente il fiato.
CANTIERE EXPO MILANO
Ottimisti e pessimisti
Nella zona Sud del Cardo, la branchia del pesce grande 170 campi da calcio, il lavoro è ancora più frenetico. Si lavora dentro e fuori il padiglione di Coldiretti e di Confindustria, due piani ricoperti di impalcature. Gli ottimisti dicono che basta togliere gli operai e le scavatrici e a guardare bene si è a buon punto. I pessimisti non trovano un centimetro senza un operaio che parla nei cento dialetti del Nord Italia o nelle lingue di mezzo mondo.
EXPO DI MILANO - PADIGLIONE ITALIA
Sul padiglione della Cina operai acrobati lavorano sul tetto, imbragati come alpinisti. Dentro a quello della Repubblica Ceca, uno dei padiglioni più virtuosi, quasi finito con largo anticipo, gli operai vanno a birrette - ce ne sono bidoni ovunque - e sistemano infissi ed allestimenti interni.
L’altro giorno per l’inaugurazione c’erano un bel po’ ministri cechi e pure Alena Seredova. Anche il Bahrein è messo bene. Dall’Olanda sono arrivate le piante, comprese la palma alta 17 metri che prima sarebbe morta nel freddo milanese. Manca tutta la domotica perché l’irrigazione sarà guidata direttamente da Amsterdam. «In venti giorni finiamo...», giura il capomastro.
Ci vuole ottimismo e un occhio attento al cronoprogramma per essere sicuri di fare in tempo. Il «cruscotto» del sito Expo 2015 con i dati più aggiornati con lo stato dell’avanzamento dei lavori impone una professione di fede: dei 34 lotti controllati dagli italiani il 65% è ancora in lavorazione, il 21% è concluso, il 6% in fase di collaudo, altrettanto con verifiche contabili e amministrative in corso. «I conti li facciamo tra il 20 e il 25 aprile», giurano gli ottimisti nel cantiere che non si può più permettere di dormire.
EXPO DI MILANO - PADIGLIONE ITALIA
Le vie d’acqua attorno al sito sono riempite. Quella della zona Sud è ancora a secco, bisogna decidere bene il da farsi. Ma quello che importa è che «tutto quello che c’è da vedere si vedrà il primo maggio». Tutto senza trucchi e senza inganni. «Il camouflage sarà fatto per abbellire mica per nascondere... Ci sono attorno al sito vecchie strutture industriali che c’entrano poco con l’esposizione...», promette Giuseppe Sala il commissario di Expo 2015 di quei 2 milioni 685 mila e 200 della gara d’appalto chiusa solo il 26 marzo, per gli «allestimenti con funzione di schermatura visiva».
Il Nepal sceglie il teak
EXPO DI MILANO - PADIGLIONE ITALIA
E allora si lavora senza rete nei 53 padiglioni selfbuilding dei paesi partecipanti dove si registrano i maggiori ritardi. Il console russo giura che arriveranno in tempo per l’inaugurazione.
In Brasile dove il commissario per Expo è in carica da due settimane promettono miracoli. Attorno al padiglione della Turchia gli operai lavorano come turchi per fare in tempo. Lo stesso gli estoni.
Solo nel padiglione del Nepal costruito in teak come un mandala, il cerchio della vita, non si scompongono. Il padiglione è alto due piani di legno intagliato a mano. Attorno al perimetro ci sono altre colonne alte due metri interamente intarsiate a fiori e motivi geometrici.
Mancano 28 giorni e Chamidra Maharjaa arrivato da Kathmandu con il suo scalpello e altri 50 artigiani, lavora come un matto senza perdere il sorriso : «Per intagliare una colonna ci metto dieci giorni». Attorno al tempio, quando sarà finito, di colonne intarsiate ce ne saranno 42, incise a mano millimetro dopo millimetro con santa pazienza nepalese e un bel po’ di dinamismo milanese.
2. EXPO, I COSTI IMPAZZITI DEL PADIGLIONE ITALIA
Alessia Gallione per “La Repubblica”
Alla fine Giuseppe Sala assicura che anche il padiglione che sarà il simbolo dell’Italia a Expo aprirà il primo maggio. Ma la consegna è da brividi: 30 aprile, il giorno prima. Il tour che faranno i visitatori tra mostre e ristorante «sarà garantito», dice il commissario unico. Nonostante alcuni piani del palazzo principale che comprendono gli uffici e l’auditorium, però, saranno terminati a manifestazione iniziata. Questione di priorità. Perché la corsa non è ancora finita. In ogni caso c’è già una certezza: per riuscire a trasformare un cantiere in uno spazio visibile al pubblico i costi aumenteranno.
EXPO GATE MILANO
Tutto il padiglione, composto da Palazzo Italia e da altri edifici lungo il cosiddetto cardo, tra costruzione e allestimenti sarebbe dovuto costare 63 milioni di euro pubblici. Arriverà a 92 milioni: quasi 30 milioni, il 50% in più, necessari per rivedere il progetto e poi per aggiungere operai che lavorano 24 ore su 24, mezzi e materiali. Spese extra che, spiega Sala, «saranno coperte dagli sponsor privati. Il bilancio del padiglione è in pareggio».
MATTEO RENZI A MILANO PER L EXPO FOTO LAPRESSE
Ci ha voluto mettere la faccia, Sala. Su tutta l’area ci sono 6.500 operai e la maggior parte dei padiglioni, spiega il commissario, sarà terminata «tra il 20 e il 25 aprile». Si dice sicuro: «È così in ogni Expo. Le strutture sono in gran parte finite all’esterno.
Le criticità sono poche: riguardano i padiglioni di Nepal, Turchia, Russia, forse Estonia». E anche per quelli «se devo fare una scommessa dico che arriveranno in tempo». Se non sarà così, dice il commissario, «c’è un unico responsabile della brutta figura e sono io, ma sono certo che non avverrà». Il mantra è: «Il primo maggio saremo pronti».
Un’inaugurazione a cui, a cominciare da Sergio Mattarella non ci saranno molti capi di Stato. Questione (anche) di sicurezza. Certo, i ritardi e gli scandali ci sono stati. Ma, adesso, si sfoga, «sono costernato dal clima che si è generato» intorno all’evento.
Il cda di Expo ha affrontato ieri la questione tempi e costi di Padiglione Italia. La gran parte (24 milioni) dei 30 di aumento riguarda l’azienda principale (coinvolta nell’inchiesta di Firenze sulle gradi opere) che sta costruendo le strutture: Italia costruzioni.
MATTEO RENZI A MILANO PER L EXPO FOTO LAPRESSE
È con questa impresa che è stato raggiunto un accordo economico che dovrà passare al vaglio dell’Anac e dell’Avvocatura dello Stato. Italiana costruzioni partiva da una commessa di 28 milioni(18,5 per Palazzo Italia e 9,2 per il cardo); potrebbe arrivare a 52 milioni. Nel conto vanno messi 16 milioni di lavori extra per modificare il progetto e 8 milioni di “maggiori oneri”.
Se la struttura non sarà consegnata in tempo, però, l’impresa perderà il 20 per cento. Lo stesso Sala ammette problemi lungo il cardo – dove ci sono gli spazi di Regione Lombardia e la mostra di Confindustria. Ma con un’accelerazione, promette, le parti visitabili dovrebbero in gran parte farcela. Mancano 28 giorni.
3. SCANDALI, RITARDI E SPRECHI MA LA VERA SFIDA DI MILANO SARA’ L?ACCOGLIENZA
Roberto Rho per “la Repubblica”
Tra 28 giorni esatti, alle 10 di mattina, cominceranno a girare i tornelli dell’Expo 2015. Cosa vedranno i primi visitatori? Milano deve prepararsi a una memorabile figuraccia internazionale, come molti hanno pronosticato in questi giorni? O viceversa saprà affascinare e coinvolgere, come sperano tutti coloro che sull’Expo hanno rovesciato secchiate di ottimismo, anche quando le circostanze lo avrebbero sconsigliato?
expo milano jpeg
Chi ha osservato con i propri occhi l’evoluzione dei cantieri sul sito di Rho-Pero e chi ha ascoltato ancora ieri sera le rassicurazioni motivate del commissario Giuseppe Sala, così convinto di poter presentare al pubblico una confezione completa dell’Expo da addebitare esclusivamente a se stesso la responsabilità di un esito diverso, sa che, il 1° maggio, Milano sarà sostanzialmente pronta.
I visitatori — come ha garantito Sala — vedranno tutto quello che si attendono di vedere. Quel che resterà da fare, sarà negli spazi non aperti al pubblico (gli uffici di Palazzo Italia, l’auditorium), o, negli allestimenti interni di qualche padiglione straniero, sarà camuffato dietro una quinta mobile. Poca cosa.
city life milano expo
Ma basterà questo per definire l’Expo un successo? Non ne è convinto chi aveva scommesso su un’Expo “alta”, capace di sviluppare il dibattito sulla nutrizione della Terra con le piante, le coltivazioni, le serre più che con il vetrocemento dei padiglioni. Non ne è convinto chi aveva proposto un’Expo diffusa, che dilagasse in mille spazi della città più che concentrarsi su un’area da “infrastrutturare” e riempire di impalcature. Ma poi si è passati oltre, il format è stato ampiamente rivisto e Sala ne ha messo a punto una versione “sostenibile” perlomeno dal punto di vista dei bilanci, visto che tra il 2008 — l’anno in cui Milano si è aggiudicata il Grande Evento — e oggi c’è di mezzo la più drammatica crisi economica della storia. E oggi parliamo di “questa” Expo, non di quella che avrebbe potuto essere.
Al netto di come si presenterà “questo” sito espositivo, Milano dovrà dimostrare di poter reggere l’urto di una ventina di milioni di turisti distribuiti sui sei mesi, dovrà accoglierli nelle sue strutture ricettive, trasportarli su e giù con tempestività ed efficienza, offrire loro eventi culturali, sportivi e ricreativi anche dentro la cinta daziaria. E tutti sanno che la sfida non è di quelle che favoriscono il relax degli amministratori della città.
Foto di Gianni Congiu
Pure ammesso che anche questa sfida, alla fine, sia vinta, ci sono un prima e un dopo che non potranno essere trascurati al momento di tracciare il bilancio conclusivo dell’avventura milanese. Il prima è come si è arrivati fin qui: il caos gestionale, le lotte di potere, l’indecisione e i ritardi accumulati nell’epoca in cui la città e l’Expo erano governati da Letizia Moratti. La necessità imprescindibile — che l’efficienza milanese si era ripromessa di evitare — di ricorrere alle procedure straordinarie, alle deroghe, ai commissari per sbloccare l’impasse e recuperare quei ritardi (ritardi che, naturalmente, generano ingenti extracosti).
giuseppe sala
La corruzione, che di quelle procedure straordinarie è discendente diretta, e che ha allungato i suoi tentacoli fino al quartier generale di via Rovello: almeno un paio dei più stretti collaboratori di Sala sono finiti travolti dalle inchieste, uno di loro ha appena patteggiato una pena di tre anni. Milano ha avuto parecchio tempo, dalla primavera del 2008 a oggi, per dimostrare che anche in Italia esiste un modo per organizzare un Grande Evento senza ricorrere alle deroghe e alle procedure straordinarie e per impermeabilizzare gli appalti e i lavori dal prevedibilissimo assalto del malaffare. Non ci è riuscita.
Giuseppe Sala ad expo
E poi c’è un dopo, anche questo figlio della scelta sconsiderata — della Moratti — di organizzare un Grande Evento pubblico su terreni privati. Quei terreni li si è dovuti comprare a caro prezzo (dalla famiglia Cabassi e dalla Fondazione Fiera di Milano) e dopo parecchi anni ancora nessuno sa come pagarli. Perché il 1° maggio, quando gireranno i tornelli dell’Expo, non solo non si saprà che ne sarà di quei terreni, chi e cosa ci costruirà, quanto verde resterà, chi li frequenterà in un futuro ancora lontano, ma non si saprà neppure chi dovrà vagliare i progetti, che peraltro ancora non ci sono.
ACCORDO EXPO GIUSEPPE SALA ENRICO LETTA ROBERTO MARONI GIULIANO PISAPIA
Anche qui: sette anni non sono bastati per trovare un futuro per quell’area, che la crisi immobiliare ha reso sostanzialmente invendibile (e questa volta la responsabilità non è solo della Moratti ma anche dell’amministrazione che le è succeduta, quella guidata da Pisapia).