Filippo Facci per “Libero Quotidiano”
filippo facci con pistola
Due domande: com’è possibile che il procuratore Nicola Gratteri abbia proposto di vietare la pubblicazione delle intercettazioni e però non venga giù il mondo, com’è sempre accaduto negli ultimi vent’anni in casi analoghi? Poi: com’è possibile che una nuova legge possa realmente vietare ciò che sarebbe già vietato, salvo che tutti se ne strafottono appunto da vent’anni? Cominciamo da quest’ultima cosa.
Non bastasse tutto il resto - e non basta - a gennaio la Terza sezione civile della Cassazione ha ripetuto ciò che era nero su bianco da 24 anni: citare virgolettati e intercettazioni d’indagine (anche non secretate) è vietato dal Codice agli articoli 114, 329 e 684, e questo senza nessuna delle tremila «leggi bavaglio» che non sono mai andate in porto e che servirebbero a vietare «severamente» ciò che è già vietato. Non fosse chiaro - e non lo è, evidentemente - l’articolo 114 al secondo comma dice che «è vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari».
marco travaglio foto andrea arriga
Dunque come mai i giornalisti se ne strafottono da vent’anni? Risposta: perché è una violazione a cui i magistrati hanno sempre strizzato l’occhio, oppure, più raramente, perché i giornalisti alla peggio rischiano una multa di 130 euro (con oblazione, cioè senza neanche un processo) e ciao a tutti. È la stessa prassi che in sostanza ha sempre «tollerato» la pubblicazione di pochi e brevi virgolettati a corredo degli articoli: ma vietato era e vietato rimarrebbe. E quindi: perché una nuova legge ora dovrebbe funzionare?
Risposta: per la stessa ragione per cui si temeva che avrebbe funzionato la legge proposta del 2010, e che infatti sollevò un canaio: perché le pene e le sanzioni diventerebbero salate, e perché una riformulazione del divieto ne renderebbe probabilmente inequivoco il rispetto.
Il governativo Gratteri, infatti, ha proposto tra l’altro il divieto ai magistrati di utilizzare il testo integrale delle intercettazioni e, nel caso di loro pubblicazione, galera 2 a 6 anni più una multa da 2000 a 10.000 euro. Giusto? Sbagliato? Abnorme? Ordinario? La nostra risposta non fa testo: ci si limita ricordare - noi ingenui - che non esiste un solo paese occidentale in cui si possa pubblicare tutto ciò che si pubblica in Italia. Direttori e cronisti - nostra opinione - usano protestare solo perché pubblicare certe intercettazioni resta uno dei pochi espedienti per far impennare le vendite. Chi perciò invita a sanzionare soltanto le toghe che diffondono le carte - e non solo i giornalisti - sa benissimo che le carte possono uscire da tutte le parti, e che nessuna toga, in ogni caso, è mai stata punita per questo.
NICOLA GRATTERI
Basti prendere quanto ha raccontato l’altro ieri Marcello Sorgi: in un bar di Napoli dove stazionava con alcuni colleghi, dopo una telefonata, si presentò un funzionario della Prefettura che consegnò una chiavetta contenente un file pieno di intercettazioni dell’allora ministro Mastella e famiglia. Qualcuno vuol credere che sarà sanzionato qualcuno?
E qui veniamo all’altra domanda, per certi versi più sconcertante. Nel giugno 2010, quando il governo Berlusconi si apprestò a votare una legge assai più tenue di quella ora proposta da Gratteri, scesero in campo - anzi si «mobilitarono» - giornalisti, magistrati, politici, politicanti, professori, circoli, comitati, associazioni, «artisti», attori, cantanti, jazzisti, sindacalisti, satiri, comici, buffoni, grillini, blogger, popoli rossi e viola, e insomma, fu una straclassica mezza rivoluzione all’italiana.
INTERCETTAZIONI
Se riguardate i giornali del tempo troverete centinaia di interventi, e comizi, presidi, parole ormai svuotate di significato come «censura» e «casta», e poi ancora l’Arci, i partigiani, la Federazione della stampa, Micromega, il solito carnevale dove è perennemente «in gioco la Costituzione» eccetera. Come mai ora, invece, non accade nulla? Oltretutto è stato (anche) il Fatto Quotidiano a dare la notizia dell’iniziativa di Gratteri e del suo proposito d’ingabbiare e multare i giornalisti: un giornale, cioè, di norma favorevole a una sorta di controllo sociale esercitato dal grande orecchio delle procure. Che accade, dunque?
silvio berlusconi bruno vespa
Ieri Dagospia l’ha messa così: «Se anziché Gratteri a proporre il carcere fosse stato Carlo Nordio, vicino a Forza Italia, e se al governo ci fosse Silvio Berlusconi, starebbero tutti gridando al bavaglio liberticida». Ma forse sono inceppati dalla sorpresa, per l’offensiva c’è tempo. In fondo quella di Gratteri è solo una proposta: ben altre, anche in dirittura d’arrivo, sono state affondate.