Franco Montini per “il Venerdì di Repubblica”
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Molti identificano Ferie d'agosto, uscito nel 1996, come il primo film sul berlusconismo, capace di cogliere al volo la degenerazione antropologica di un Paese dove destra e sinistra si scontrano senza possibilità di compromesso. Insomma una commedia dagli intenti dichiaratamente politici. Ma Paolo Virzì, 25 anni dopo, contesta questa lettura.
«La sceneggiatura scritta con Francesco Bruni», ci dice Virzì, «non aveva alcuna pretesa sociologica, né l'ambizione di raccontare l'Italia di quegli anni. Anzi, giocando d'astuzia, come nella tradizione del cinema, per convincere la major italiana dell'epoca, la Cecchi Gori Group, che produceva soprattutto commedie spensierate e natalizie, a realizzare il nostro progetto lo presentammo come un'innocua commedia balneare».
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Però dentro era nascosto qualcos'altro.
«Il film venne scritto proprio nell'anno della discesa in campo di Berlusconi che spaccò l'Italia in due, suscitando le paure, le apprensioni, il terrore nella fascia di popolazione più colta e l'entusiasmo e la voglia di riscatto da un complesso di inferiorità dei ceti più popolari, commercianti, consumatori, ma anche operai, affascinati da un nuovo modo di fare politica, dove l'estetica contava più dei contenuti.
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Insomma Ferie d'agosto era un affresco che illustrava da una parte l'Italia che leggeva libri e giornali, dall'altra quella del karaoke e della tv trash. Le ideologie c'entravano poco: si raccontava più che altro uno scontro culturale».
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Insomma una sorta di progenitore di tanti altri film successivi, a cominciare, per citare un esempio recente, da Come un gatto in tangenziale. Ma come è nata l'ispirazione per Ferie d'agosto?
«Nell'estate del 1994 ero in vacanza con un gruppo di amici a Ginostra nelle Eolie, allora un luogo scomodo e silenzioso, poco frequentato dai turisti. Un giorno, mentre eravamo in spiaggia, a distruggere un'atmosfera incantevole, arrivò un gommone, che sparava musica a palla, stracolmo di bagnati che mangiavano fette di cocomero. Il film è frutto di quell'immagine».
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Venticinque anni dopo l'uscita di Ferie d'agosto il mondo è cambiato. Sono arrivati i cellulari, le piattaforme, la rete, ma i prototipi di quelle due Italie, i Molino da una parte, i Mazzalupi, dall'altra, sembrano immutati...
«È così. E nel frattempo la frattura fra i due gruppi si è ingigantita, complice proprio l'avvento delle nuove tecnologie che, basandosi sulle sensazioni, suscitano e fomentano contrapposizione e odio. Nel film, invece, il confronto era affidato a qualche battuta, come quella rivolta da Molino a Mazzalupi: "Lo sa lei qual è l'ultimo libro che ha letto? No? Glielo dico io: il libretto d'istruzioni del suo cellulare".
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O quella di Mazzalupi a Molino: "Voi intellettuali non ci state a capì un cazzo ma da mò". Insomma è un film assolutamente privo di invettive, che evita la facile satira su Berlusconi, all'epoca molto di moda, che non trasforma mai l'avversario in un nemico. Ferie d'agosto non voleva essere un pamphlet, ma un film ironico e autoironico, capace di mostrare pregi e difetti di entrambi i gruppi.
Non era un film ideologicamente schierato e per questo, all'epoca dell'uscita, non piacque troppo alla sinistra, che mi accusò di eccessiva simpatia nei confronti della controparte. Ricordo che Silvio Orlando, che interpretava Sandro Molino, mi rimproverò dicendomi: è la prima volta che vedo un film di destra fatto da un regista di sinistra».
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A infastidire la sinistra era il fatto che, nonostante i Molino fossero moralmente migliori, i Mazzalupi risultavano più simpatici?
«Silvio Orlando e il suo clan erano il ritratto di un'umanità progressista, tollerante, pronta all'accoglienza dello straniero, ma spocchiosa e incapace di provare un minimo di empatia nei confronti del vicino di casa chiassoso, cafone, pronto a esibire il cellulare e incapace di usare i congiuntivi. I Mazzalupi risultavano più simpatici, perché nonostante rozzezza e arroganza, erano contraddistinti da una travolgente vitalità, anche per merito delle interpretazioni di Ennio Fantastichini e Piero Natoli, entrambi scomparsi precocemente».
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Un'accoppiata sorprendente.
«Fantastichini, reduce dal ruolo impegnativo in Porte aperte di Gianni Amelio, con cui aveva vinto un importante premio europeo, era considerato un attore esclusivamente drammatico. Piero Natoli era un regista, che si considerava imparentato con il cinema di Moretti, di Piscicelli, di Del Monte.
Metterli insieme e proporli come cognati in un doppio ruolo brillante fu un azzardo. Ma bastava vederli apparire con le braghe corte, le camicie sgargianti o le canottiere, il marsupio legato alla vita per suscitare empatia».
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Come sono nati i nomi dei due protagonisti principali?
«Per Sandro Molino, giornalista dell'Unità, ho preso spunto dal nome di un mio caro amico, Sandro Veronesi, e un cognome ispirato a un filosofo all'epoca molto citato da Achille Occhetto: John Stuart Mill. Per l'altro protagonista, titolare di un negozio di armi, volevo un cognome aggressivo e me lo ha suggerito un concessionario romano di automobili Rover, Mazzalupi appunto».
Ferie d'agosto parla anche di temi come l'immigrazione, le coppie gay, le famiglie allargate, destinati successivamente a diventare d'attualità.
«Eppure il cuore del film batte anche altrove. Svelerò un segreto rimasto sconosciuto in tutti questi anni, anche se, come tutti i ladri che provano un'irresistibile attrazione nell'essere scoperti, nelle tante interviste sul film, più di una volta, ho offerto ai mei interlocutori una serie di indizi per scoprire il misfatto.
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Con mia sorpresa nessuno ha mai colto il sottotesto più intimo, sentimentale e romantico del film, ovvero la storia che lega Sandro Molino e Francesca, impersonata da Antonella Ponziani. Quando si incontrano si salutano con una certa emozione e, anche se fingono il contrario, si capisce che già si conoscono.
Successivamente, un poco alla volta, si scopre che sono stati coinvolti in un contrastato, tempestoso e irrisolto rapporto d'amore che ha segnato la vita di entrambi. Ebbene, seppure liberamente, il tutto è ispirato a un'opera giovanile di Cechov, che aveva già fornito lo spunto a Nikita Mikhalkov per il film Partitura incompiuta per pianola meccanica».
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