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    FIGHT CLUB ALLA ROMANA – IL PARCO DELL’APPIA ANTICA, A ROMA, È STATO TRASFORMATO IN UN RING DOVE SI SVOLGONO MATCH SEMI-CLANDESTINI: IL TUTTO ALLA LUCE DEL SOLE E OVVIAMENTE A BENEFICIO DI SMARTPHONE. PERCHÉ L’UNICA REGOLA NON È NON PARLARNE, COME NEL ROMANZO DI PALAHNIUK, MA DIFFONDERE TUTTO SUI SOCIAL – SI COMBATTE SENZA PROTEZIONI E ALL’APERTO. NON CI SONO STIME UFFICIALI DEL GIRO D’AFFARI, MA L’IMPRESSIONE, FRA SCOMMESSE E PUBBLICITÀ, È CHE I SOLDI SCORRANO COME IL SANGUE…


     
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    Paolo Foschi per www.corriere.it

     

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    «La ferita che fa male è all’orgoglio»: il Lupo di Morlupo, professione zoologo e pugile per passione, età indefinita, con un sopracciglio devastato e sanguinante, da vero duro commenta così la sconfitta appena incassata contro Thunder Junior.

     

    Benvenuti nel “fight club” nella valle della Caffarella, all’interno del Parco Regionale dell’Appia Antica, nel cuore di Roma. La zona è frequentatissima da persone che portano a spasso i cani, da podisti e da famiglie. Ed è battuta spesso dai guardiaparco, preposti alla tutale dell’area.

     

    Eppure, qui nelle ultime settimane – come si vede in numerosi video che girano in rete – si sono svolti diversi combattimenti molto violenti. Match semi-clandestini,nel senso che vengono organizzati al di fuori dei contesti sportivi ufficiali e riconosciuti. Ma il tutto si svolge comunque alla luce del sole e a beneficio di telecamere: i match vengono filmati e i video pubblicati sui social.

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    Pugni e sangue

    La regola è semplice, sono ammessi solo i pugni, come nella boxe, ma non c’è il ring. E le protezioni sono scarne: guantini leggeri da Mma (le tostissime arti marziali miste) e paradenti. Niente caschetto (obbligatorio nel pugilato per i dilettanti) e soprattutto niente ring: ci si batte all’aperto, sul prato, dove capita. Qualcuno lotta con le scarpe, altri a piedi nudi.

     

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    La moda dei combattimenti di strada, partita da San Pietroburgo, è arrivata dunque anche in Italia, dove è stata cavalcata da Simone Cicalone, youtuber ex agonista degli sport di combattimento, che almeno dai video sembra uno dei promoter.

     

    Tutto era cominciato qualche anno fa, quando un’associazione russa che si chiama Strelka organizzò i primi violentissimi incontri “underground”: le arene erano allestite in garage, capannoni industriali dismessi e location post industriali.

     

    Pugili o lottatori a fine carriera, esperti di arti marziali, membri delle forze speciali, ultrà del calcio: sono loro i protagonisti di questa disciplina ribattezzata street fight in cui tutti i colpi sono ammessi e che in poco tempo ha trovato tantissimi praticanti pronti a farsi massacrare in cambio di qualche centinaio di dollari di premio, davanti a una platea di scommettitori e appassionati di sport di combattimento.

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    Scommesse e pubblicità

    Il fenomeno, grazie anche alla pubblicazione dei video su Youtube e su altre piattaforme social, è cresciuto rapidamente, ha richiamato in Russia fighters da tutta Europa e anche dall’Asia e poi si è diffuso all’estero, soprattutto nell’est europeo.

    Dagli ambienti underground le arene si sono spostate all’aperto: in mezzo alla strada, nei parchi, nei cortili delle scuole o in spiaggia. Non ci sono stime ufficiali del giro d’affari, ma l’impressione - fra scommesse e pubblicità – è che i soldi scorrano come il sangue, anche se probabilmente finiscono in gran parte nelle tasche degli organizzatori e non in quelle di chi esce con le ossa rotte dalle arene. La versione italiana in realtà è un po’ meno violenta rispetto a quella originaria russa, ma le immagini dei combattimenti sono impressionanti.

    Fight Club Thailand Fight Club Thailand

     

    Violenza e sogni di gloria

    Raffiche di pugni, smorfie di dolore e sangue, tanto sangue. Secondo quanto scritto sui social dagli organizzatori, sono presenti a ogni incontro uno staff medico, un’ambulanza e un arbitro. Almeno a vedere le immagini, i fighter – che sono reclutati attraverso il web - non sembrano professionisti: la tecnica è infatti spesso approssimativa, alcuni dei combattenti appaiono decisamente fuori forma, ma si lanciano a testa bassa nella lotta senza paura.

     

    E le botte sono vere, i colpi, anche se scoordinati, violentissimi e spesso devastanti. In questa specie di girone dantesco dei fighters, c’è chi sogna di diventare pugile, chi vuole semplicemente incassare qualche banconota, chi è invece animato da chissà quale motivazione. Molti sono italiani, qualcuno viene dal nord Italia. Poi ci sono gli stranieri: romeni, ucraini, russi, moldavi.

     

    FIGHT CLUB FIGHT CLUB

    I combattimenti nel parco

    L’ultima grande riunione di street fight si è svolta di fronte al Casale della Vaccareccia, uno dei luoghi più suggestivi della Caffarella, davanti a decine di persone. Difficile capire come è possibile che nessuno sia intervenuto per bloccare il violento show.

     

    «Qualche mese fa alcune persone che si sono presentate a nome di Strelka ci chiesero di organizzare con loro alcuni eventi in Italia – commenta Saverio Longo, presidente della Federazione Italiana Grappling Mixed Martial Arts (7000 tesserati circa per 240 società affiliate) – ma abbiamo declinato l’invito. Non ci interessano queste attività, noi organizziamo combattimenti in un sistema fortemente regolamentato, al chiuso o all’aperto non importa, ma su ring che rispondano a precisi requisiti. Il nostro sport è sicuramente cruento, per questo nulla può essere lasciato all’improvvisazione, servono regole severe per garantire la massima sicurezza ai nostri tesserati.

     

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     E grazie a questa attenzione, in realtà nel nostro sport gli incidenti sono comunque più rari rispetto ad attività come il rugby o come il judo. Ai nostri campionati italiani, a cui partecipano circa 400 atleti, alla fine delle gare registriamo 3 o 4 infortuni, spesso nemmeno gravi: un naso rotto, una spalla slogata o cose del genere». Saverio Piccolo ha comunque avuto modo di vedere alcuni dei video dei combattimenti di strada all’italiana: «Essendo ammessi solo pugni, tutto sommato non si tratterebbe di attività pericolosissime, anche se le protezioni sono molto leggere. Il vero problema è che i fighter sembrano un po’ improvvisati e impreparati a combattere e per chi non ha una preparazione adeguata combattere può essere molto pericoloso. Peraltro, questi incontri più che uno sport, sembrano delle violente risse».

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