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Benjamin Genocchio per “Artnet”
E’ un condom pieno di noccioline. Anzi, peggio. E’ l’incrocio fra un dirigibile e la “Sydney Opera House”. Così aziendale e prudente nel design, sebbene voglia risultare “cool”, che puoi lasciarti alle spalle il “Museo della Fondazione Louis Vuitton” di Parigi, costato 143 milioni di dollari, come fossi appena uscito da un negozio di lusso con interni monocromatici e in vetro firmati Peter Marino.
E’ uno spazio per lo shopping rinfoderato in un profilattico d’arte e creatività, un edificio noioso e privo di immaginazione, mascherato per sembrare interessante e coraggioso. Da qualche tempo il mondo della moda ha ingoiato quello dell’arte e questa, come la “Art Basel di Miami Beach”, è l’apoteosi della fatale assimilazione: tutto ciò che è radicale, provocatorio, sporco e difficile dell’arte contemporanea, è stato rimosso per creare un palazzo a forma di borsa con tanto di monogramma “LV” all’ingresso.
E’ stato commissionato da Bernard Arnault, immaginato come un museo di arte contemporanea e un “performing arts center”, ma ha l’identità di una azienda, un modello preciso che determina l’aspetto, l’ambiente e la missione. Sembra di andare ad assistere al lancio di una nuova linea di abbigliamento.
Frank Gehry è il suo architetto. Il problema è che non è più riuscito ad eguagliare il “Guggenheim” di Bilbao e, da allora, ha proposto design derivati per clienti pigri e privi di ingegno che cercano un’immagine innovativa. Arnault sapeva bene cosa chiedere: qualcosa che sembrasse innovativa e creativa, senza però doverci competere. L’edificio infatti riguarda interamente la moda. L’architetto scelto è di moda, l’arte in mostra è assolutamente innocua. Le opere proposte tentano disperatamente di non farsi nemici.
frank gehry fondazione luis vuitton
Lo stesso museo è di dubbio valore dal punto di vista dello spazio espositivo perché con tutti questi vetri e punti panoramici, si ammira di più l’architettura che l’arte. Non è stata posta attenzione al movimento e al flusso delle persone, una volta dentro. Dovunque l’immagine predomina sulla sostanza e visitatori si ritrovano in bagni stretti, ascensori piccoli e ristoranti non adeguati alla capienza della struttura.
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