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Antonio Lodetti per “il Giornale”
Nelle mille metamorfosi e nelle mille rappresentazioni creative di David Bowie, il periodo 1974-1976 è uno dei più travagliati e complessi. È il periodo che anticipa la trilogia berlinese dell' artista, un periodo duro e cupo in cui Bowie perde la testa sopraffatto dalla cocaina e dalle manie per l' occultismo, l' esoterismo e il nazismo.
È il Bowie strafatto che si è trasferito a Los Angeles («ma ho scoperto dopo di essere lì, quando l' ho letto sui giornali», dirà) che viveva in una villa a Doheny Drive dove non faceva entrare la luce del sole, circondato da candele nere sempre accese, sfingi bianche e da oggetti magici ed esoterici egizi e scriveva (o almeno tentava di scrivere) canzoni su fogli di carta o addirittura sui muri...
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Si nutriva solo di latte e peperoni verdi trascorrendo la sua vita in uno stato di «terrore psichico» (sosteneva che le streghe volessero rubargli lo sperma per partorire un figlio di Satana e la sua paranoia era arrivata a livelli altissimi).
Fu in quel periodo che emersero le sue celebri fissazioni per il fascismo e per il nazismo. Bowie disse che Adolf Hitler era stata la prima rockstar e che «l' Inghilterra avrebbe dei benefici da un leader fascista. Dopotutto, il fascismo è il vero nazionalismo».
Al rientro in Inghilterra, fece scalpore la foto i cui posa, a bordo della sua Mercedes, con il braccio teso nel saluto romano. Qualcuno lo definì «un superuomo ariano fascista senza emozioni», mentre l' ufficio stampa dell' artista rilasciò un comunicato specificando che la star era stata immortalata nell' atto di salutare i fan.
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(Bowie nel '75 fu anche arrestato al confine russo-polacco per possesso di materiale nazista) Bowie arrivava dall' album Young Americans e, tra montagne di cocaina e visioni mistiche di ogni genere, partorì uno dei suoi dischi più controversi e importanti, quello Station to Station che univa ineditamente il funky al soul per arrivare all' elettronica tedesca di gruppi come i Kraftwerk e i Tangerine Dream.
In quei tempi così bui - segnati anche da un' amicizia autodistruttiva con Iggy Pop, a cui portava la droga in ospedale - Bowie partorisce uno dei suoi personaggi più iconici, «The thin white Duke», il «fine Duca Bianco». Sul set del film L' uomo che cadde sulla Terra Bowie scrisse dei racconti sotto forma di pseudobiografia e li intitolò The Return of the thin white Man. Divenne così il raffinato Duca Bianco e andò in tournée in America ottenendo un successo strepitoso.
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Ma la fascinazione per il soul e l' elettronica - che apriranno la strada alla trilogia berlinese Low, Heroes e Lodger - non si fermano qui. In quel periodo Bowie aveva concepito, nel 1974, The Gouster (dove si traveste da gangster), un vero e proprio album soul mai pubblicato - che in parte confluirà in Young Americans.
Uscirà a settembre nel cofanetto Who can I be now? 1974-1976, che fa seguito al box dello scorso anno Five Years 1969-1973. L' album è la base di Young Americans, che poi uscì in modo molto diverso da come Bowie l' aveva concepito.
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«Sono quaranta minuti di funk glorioso», lo descrive la critica, mentre Bowie ne parla come di «un' opera connotata dai suoni dei giovani afroamericani anni Sessanta, a Chicago». Tony Visconti, il produttore del disco, ha spiegato: «Eravamo fan dello show televisivo Soul Train. Non eravamo né giovani né neri ma è sicuro come la morte che volessimo fare un disco soul killer, che fosse un po' pazzo; del resto pionieri come i Righteous Brothers erano già arrivati prima di noi in quel campo».
Bowie ha inciso il disco mentre lavorava a New York con John Lennon a nuovi brani come Fame e Across the Universe (non è il brano dei Beatles che tutti conoscono). Era un progetto cui teneva più Bowie che Lennon, infatti l' ex Beatle dichiarò di Fame:
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«Era terribile. Non so perché David volesse farlo, è una delle canzoni più brutte che io abbia mai scritto». Il sound di Bowie è particolare, gioioso e grintoso con il chitarrista (e compagno di sballo) Carlos Alomar, Mike Garson al piano e all' organo, Willie Weeks al basso, Andy Newmark alla batteria e il fantastico David Sanborn al sassofono (e in origine c' era anche Luther Vandross ai cori).
Un chiodo fisso per David era quello di sfondare con una hit in America; per questo nel cd appare una versione «funk» del brano del 1972 John, I' m only dancing, con l' aggiunta nel titolo della parola «again», molto diversa dall' originale di due minuti e mezzo.
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Dai nastri ritrovati arrivano anche I am a Lazer, Shilling the Rubes e After Today e la prima versione di Young Americans. David pensava di produrre qualche artista soul come Lulu o Ava Cherry (una sua nuova fiamma per cui aveva messo in piedi il trio The Astronettes) ma poi non ne fece nulla e tenne per sé brani quasi disco come Can you hear Me. Il cofanetto contiene anche il cd Re:call 2, con singoli e b-sides del periodo.
DAVID BOWIE IS BOWIE SUKITA 5 BOWIE THE GOUSTER